Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8925 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18132/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12

– ricorrente –

contro

N.E.;

-intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 48/24/2011, depositata il 7 giugno 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2020 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara che aveva accolto il ricorso proposto da N.E. contro l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dalla Agenzia delle entrate, per l’anno 2004, utilizzando anche lo strumento degli studi di settore ed evidenziando l’antieconomicità dell’impresa di merceria da lui gestita al centro di Massa. In particolare, il giudice di appello evidenziava che l’antieconomicità della gestione era giustificata, da un lato, dalle entrate percepite dal contribuente quale pensionato e titolare di redditi immobiliari e, dall’altro, dall’essere coadiuvato dalla moglie, per la quale non era ancora decorso il periodo necessario per conseguire la pensione “minima”. L’interesse che aveva indotto il contribuente alla continuazione della attività di impresa era, dunque, rinvenibile non nel conseguimento del profitto, ma nella necessità di protrarre l’attività per far decorrere il tempo utile alla maturazione del diritto alla pensione della moglie.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resta intimato il contribuente, nonostante la regolarità della notifica.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Anzitutto, si rileva che il ricorso per cassazione è tempestivo.

Invero, la sentenza della Commissione regionale è stata depositata il 7-6-2011

ed il ricorso per cassazione della Agenzia delle entrate è stato spedito per la consegna il 16-7-2013.

Tuttavia, ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12 “al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e, quindi, concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 9 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 Euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 31 dicembre 2011, dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio…possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio con il pagamento delle somme determinate ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16”.

Inoltre, all’art. 39, comma 12, lett. c) si precisa che “le liti fiscali che possono essere definite ai sensi del presente comma sono sospese fino al 30 giugno 2012. Per le stesse sono altresì sospesi, sino al 30 giugno 2012 i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio”.

La controversia in esame, in effetti, ha per oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento per l’importo di Euro 20.580,25, comprensivo però di sanzioni per Euro 3.823,50 e sanzioni Irap per Euro 279,75 (cfr. avviso di accertamento n. R5X01T200287/2006 e ricorso del contribuente in primo grado prodotti in atti); sicché il valore della lite è inferiore alla soglia dei 20.000 Euro.

1.1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e/o falsa applicazione di legge, segnatamente delle norme di cui al combinato disposto del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il giudice di appello ha ritenuto provata la antieconomicità della gestione imprenditoriale, tanto che il reddito dichiarato era di Euro 178,00 per l’anno 2004, a fronte di costi per lavoro dipendente pari ad Euro 40.990,00, ma ha affermato che tale circostanza non è sufficiente a legittimare l’accertamento di un maggiore reddito imponibile.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la “assenza e/o carenza e/o illogicità della motivazione, ed omessa disamina circa fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto il giudice di appello non ha tenuto conto di alcuni fatti decisivi per la soluzione della controversia, rappresentati, oltre che dai dati provenienti dagli studi di settore, dai quali è emersa la determinazione di maggiori ricavi per l’attività svolta pari ad Euro 26.336,00, anche dagli imponenti costi sostenuti per pagare le spese del personale.

2.1. I motivi primo e secondo, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

Invero, dagli atti processuali emerge che l’avviso di accertamento è fondato non solo sui dati risultanti dagli studi di settore (con determinazione di maggiori ricavi per Euro 26.336,00), ma anche sulla antieconomicità della gestione dell’impresa, in quanto a fronte di un reddito annuo dichiarato per il 2004 pari ad Euro 178,00, sono stati sostenuti costi per spese per il personale pari ad Euro 40.990,00, dovendosi anche tenere conto dell’apporto della moglie del contribuente quale coadiutrice.

Il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, nel testo all’epoca vigente, prevede che “gli accertamenti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, e successive modificazioni, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis del presente decreto”.

Nella specie, emerge dagli atti che l’accertamento si è fondato “anche” sugli studi di settore, da cui è emersa una discrepanza tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi pari ad Euro 26.336,00, ma ha utilizzato anche il metodo induttivo, in relazione alla antieconomicità della condotta imprenditoriale.

Il fatto che l’accertamento sia basato sullo studio di settore non esclude, dunque, che esso possa trovare anche altre giustificazioni, come nel caso di ritenuta antieconomicità della gestione. Si è affermato, quindi, che un accertamento tributario può dirsi fondato su uno studio di settore solo nel caso in cui trovi in esso il suo fondamento prevalente. Ciò non si verifica quando, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, scoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, posti a fondamento dell’accertamento tributario (Cass., 5 dicembre 2019, n. 31814, Cass., 6 giugno 2019, n. 15344).

Per questa Corte l’Amministrazione finanziaria può determinare il reddito del contribuente in via induttiva, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, ove quest’ultima sia intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, che può desumersi anche da un unico elemento presuntivo, purché preciso e grave (Cass., sez. 5, 30 ottobre 2018, n. 27552, che evidenzia l’abnormità della percentuale di ricarico; Cass., sez. 5, 25 ottobre 2017, n. 25257; Cass., sez. 5, 18 maggio 2012, n. 7871).

Non v’è dubbio, quindi, che l’avere dichiarato redditi per l’anno 2004 pari ad Euro 178,00, a fronte di spese per lavoro dipendente per Euro 40.990,00, costituisca condotta antieconomica, idonea a consentire un accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d.

Il giudice di appello ha reso una motivazione del tutto insufficiente, laddove ha giustificato l’antieconomicità della condotta imprenditoriale, semplicemente avvalorando la tesi del contribuente che ha dichiarato di avere continuato l’attività commerciale solo per consentire alla moglie, coadiutrice dell’impresa, di maturare la pensione “minima”. Non è affatto convincente la tesi per cui un’impresa continua la sua attività, con redditi praticamente azzerati (Euro 178,00 nel 2004 ed Euro 344,00 nel 2004), pur continuando ad erogare spese per lavoro dipendente pari ad Euro 40.990,00 nel 2004 ed a Euro 38.403,00 nel 2003, al fine esclusivo di consentire alla coniuge di maturare la pensione minima. Neppure è plausibile che l’imprenditore porti avanti una attività in pareggio di bilancio, attingendo, quindi, per il suo sostentamento alla propria pensione ed alla titolarità di redditi immobiliari. Peraltro, in motivazione non si indicano né l’importo della pensione dell’imprenditore nè l’eventuale locazione a terzi degli immobili di proprietà del N..

Il giudice del rinvio dovrà, dunque, rivalutare gli elementi di fatto, del tutto negletti nella motivazione della sentenza della Commissione regionale. In particolare, occorrerà porre attenzione, oltre che alle risultanze degli studi di settore, anche ai ricavi, ai costi sostenuti, alle spese per il pagamento dei dipendenti, al numero dei dipendenti ed alla posizione dell’attività al centro di Massa.

3. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camere di Consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 14 maggio 2020

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