Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8925 del 12/04/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 8925 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: IANNIELLO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 1987-2008 proposto da:
PESTIC SIME, nella qualità di erede di PESTIC ANTE,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 20,
presso lo studio dell’avvocato TRALICCI GINA, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
806

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
80078750587, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA
FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

Data pubblicazione: 12/04/2013

rappresentato

e

difeso

dagli

avvocati

RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, PULLI CLEMENTINA, giusta
delega in atti;

controrícorrente

avverso la sentenza n. 6738/2006 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/03/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
IANNIELLO;
udito l’Avvocato CAPANNOLO EMANUELA per delega PULLI
CLEMENTINA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di ROMA, depositata il 15/01/2007 r.g.n. 8726/03;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Con la sentenza depositata in data 15 gennaio 2007, la Corte
d’appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, ha respinto le
domande svolte nei confronti dell’INPS da Sime Pestic, quale erede di Ante
Pestic, dirette ad ottenere il pagamento delle somma di € 11.531,28, a titolo di
ratei di pensione dovuti al proprio dante causa, con gli accessori di legge.

In proposito, la Corte ha rilevato che, nel ricorso introduttivo, il sig. Pestic, pur producendo conteggi relativi a ratei di pensione dal giugno 1976 al
maggio 1980, aveva chiesto la liquidazione dei ratei di pensione dall’1.6.80,
domanda respinta, in quanto documentalmente provato che tale liquidazione
era già avvenuta. La Corte territoriale aveva poi rilevato che, in appello, il ricorrente avrebbe censurato la sentenza “per la diversa questione della mancata prova dell’effettivo pagamento”, invece che per “una errata decorrenza
della liquidazione” ed aveva pertanto ritenuto tardiva la richiesta.
2 – Avverso tale sentenza Sime Pestic propone ricorso per cassazione,
notificato il 15 gennaio 2008, denunciando la violazione degli artt. 112, 115 e
324 c.p.c. nonché 2733 c.c. e la sentenza della Corte Cost. n. 283 del 1989, oltre al vizio di motivazione al riguardo.
In proposito, il ricorrente sostiene che, in primo grado, invocando la
sentenza della Corte costituzionale n. 283 del 1989 (che aveva ritenuto costituzionalmente illegittimo, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., l’art. 11 della
legge 11 marzo 1988 n. 67, nella parte in cui stabiliva che la prescrizione
quinquennale dei ratei di pensione INPS si applica anche alle rate di pensione
non ancora poste in pagamento), aveva inteso chiedere la retrodatazione al 10
giugno 1975 (pertanto nei limiti della prescrizione decennale dei ratei) della
pensione riconosciuta al proprio dante causa, nato il 30 marzo 1909, solo dal
10 giugno 1980 (vale a dire nei limiti della ritenuta prescrizione quinquennale), in considerazione della data della domanda del giugno 1985.

1

Fraintendendo il significato della domanda, desumibile, nonostante
l’errore nella indicazione della data di decorrenza della pretesa (1° giugno
1980, anziché l° giugno 1976), dal complessivo contenuto dell’atto, in collegamento con i conteggi allo stesso allegati e ribadita dal Pestic nell’atto di appello, la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 112 c.p.c. e le altre norme indicate in rubrica, con una motivazione viziata.

Il ricorso conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:
“Dica la suprema Corte se la domanda debba essere determinata in relazione
all’intero corpo dell’atto nonché alla documentazione prodotta intesa a determinare l’esatta volontà della parte istante”.
3 – L’INPS resiste alle domande con rituale controricorso.
4 — Va anzitutto rilevato che il ricorso, censurando la sentenza impugnata per violazione di legge e per vizio di motivazione, avrebbe dovuto concludersi, a pena di inammissibilità, secondo quanto disposto dall’art. 366-bis
c.p.c., ad esso applicabile ratione temporis, con un adeguato quesito di diritto
nonché con il c.d. quesito di fatto (cfr., ad es. Cass. 18 novembre 2012 n.
24255), consistente nell’illustrazione del momento di sintesi relativamente al
fatto controverso in relazione al quale la motivazione della sentenza è assunta
come viziata, con la precisazione del tipo di vizio denunciato.
Quest’ultima sintetica illustrazione manca del tutto nel ricorso, sicché è
inammissibile ogni possibile censura di vizio di motivazione della sentenza
(peraltro, il ricorso sostanzialmente denuncia una erronea interpretazione della
domanda e quindi la mancata pronuncia su di essa e non un vizio di motivazione della sentenza).
Con riferimento al quesito di diritto, richiesto dal medesimo articolo del
codice di rito per le censure in diritto, va ricordato che, dovendo assolvere alla
funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, esso non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta,
2

per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l’errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne
consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza
della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nel-

Nel caso in esame il quesito formulato dal ricorrente è del tutto teorico,
senza alcun riferimento alla fattispecie concreta in ordine alla quale viene richiesto il dictum della corte.
Il ricorso è comunque infondato anche nel merito, risultando
dall’esame degli atti, consentito al giudice di legittimità in ragione del tipo di
censura svolta, che, in appello, il Pestic ha insistito nel chiedere il pagamento
dei ratei di pensione decorrenti dal 1° giugno 1980, contrastando
l’accertamento del primo giudice secondo cui tali ratei erano stati già pagati,
senza investire in maniera specifica l’argomento della decorrenza, eventualmente erronea, della pensione riconosciuta al suo dante causa; in tal modo non
consentendo alla Corte territoriale una scelta diversa da quella di rigettare
l’appello.
Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respintoNulla per le spese dell’INPS, a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c. e alla
stregua della dichiarazione sostitutiva della certificazione relativa al reddito
goduto dal ricorrente, formulata nelle conclusioni.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così • eciso in Ri a, il 6 marzo 2013
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2.1.0 PM 4114

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lo svolgimento del motivo (cfr., ex ceteris, Cass. 7 marzo 2012 n. 3630)

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