Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8923 del 14/04/2010
Cassazione civile sez. III, 14/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 14/04/2010), n.8923
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 17446/2008 proposto da:
INTESA SAN PAOLO SPA denominazione assunta a seguito della fusione
per incorporazione del Sanpaolo Imi SpA in Banca Intesa SpA, con sede
sociale in Torino e sede secondaria in Milano, aderente al Fondo
Interbancario di Tutela dei Depositi e al Fondo Nazionale di Garanzia
e capogruppo del Gruppo Bancario Intesa Sanpaolo, in persona del
legale rappresentante pro tempore della società, elettivamente
domiciliata in 1826 ROMA, VIA XX SETTEMBRE n. 3, presso lo studio
dell’avvocato MICCOLIS Giuseppe, che la rappresenta e difende, giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
M.M.C., CURATELA DEL FALLIMENTO AUTOIDEA SRL IN
LIQUIDAZIONE;
– intimate –
avverso la sentenza n. 128/2008 del GIUDICE DI PACE di GRAVINA in
PUGLIA del 13.2.08, depositata il 13/03/2008;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
25/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO.
E’ presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Considerato:
che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore Cons. Dott. Antonio Segreto, letti gli atti depositati osserva:
1. La s.p.a. Intesa San Paolo ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice di pace di Gravina, depositata il 13.3.2008, nella causa civile proposta nei suoi confronti per risarcimento dei danni da M.C.;
2. – Il ricorso è stato proposto per impugnare sentenza depositata dopo il 2.3.2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
L’art. 339 c.p.c., comma 3 (aggiunto dal D.Lgs. n. 40 del 2006) statuisce che: “Le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.
3. – Il ricorso dunque si presta ad essere dichiarato inammissibile in base alla norma appena esposta.
Nè è sostenibile una linea interpretativa del sistema impugnatorio delle sentenze emesse dal giudice di pace ex art. 113 c.p.c., comma 2, secondo cui, fuori dalle ipotesi di appellabilità previste dall’art. 339 c.p.c., comma 3, rimarrebbe la possibilità di impugnare le stesse con ricorso per cassazione.
Questa argomentazione è stata numerose volte già disattesa da questa Corte (ex multis: Cass. n. 13019/2007 e successive; Cass. S.U. n. 27339/2008).
Si tratta di un’interpretazione della nuova norma che non trova supporto nell’oggetto della delega contenuta nella L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, e dei principi e criteri direttivi enunciati nel suo art. 1, comma 3.
Secondo la Corte Costituzionale – che lo ha affermato nella sentenza 11 aprile 2008 n. 98 – dalla legge delega si evince che chiaro intendimento del Parlamento è stato di conferire al legislatore delegato la facoltà di ridurre i casi d’immediata ricorribilità per cassazione, mediante l’introduzione dell’appello quale filtro.
Ciò è stato detto in sede di scrutinio della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 26, comma 1, lett. b), che ha eliminato l’inappellabilità delle sentenze pronunciate sull’opposizione ad ingiunzione per sanzione amministrativa e dunque nel vaglio di legittimità costituzionale di una norma analoga per funzione a quella in esame.
La questione era stata sollevata sotto il profilo dell’eccesso di delega e la Corte, nel dirla infondata, ha osservato che una direttiva ermeneutica per l ‘interpretazione del contenuto della delega va rinvenuta nell’ intento di disciplinare il processo di legittimità in funzione nomofilattica, alla luce del significato assunto da tale espressione, di rafforzamento di tale funzione.
Ciò rende legittimo attribuire alla nuova norma la portata dell’aver determinato lo spostamento al rimedio dell’appello del controllo di compatibilità tra decisione di equità e diritto, che in precedenza costituiva il contenuto del rimedio rappresentato dal ricorso per cassazione.
Per altro verso, l’interpretazione contraria attribuisce al legislatore delegato una scelta illogica, giacchè, una volta, in ipotesi, estesa al vizio di motivazione la verifica della legittimità della decisione di equità, non vi sarebbe stata ragione per mantenerla alla cassazione, anzichè farne ulteriore oggetto dell’appello.
Mentre, appunto per chiarire che con la modifica dell’art. 339 cod. proc. civ., comma 3, si intendeva attuare il solo spostamento, dalla cassazione all’appello, della sede di controllo della decisione d’equità, rimasto lo stesso dal punto di vista dei contenuti, è stato impiegato nella disposizione il termine “esclusivamente”.
Dunque, come la sentenza era in allora inappellabile e però ricorribile per cassazione, ma esclusivamente per motivi riconducibili nel loro insieme al contrasto con norme di diritto non derogabili attraverso l’equità o con principi regolatori della materia, così la sentenza è divenuta, ma solo per quei motivi, appellabile, e di conseguenza è rimasta sottratta al ricorso straordinario per cassazione, perchè è divenuta una sentenza altrimenti impugnabile.
Nè in tal modo è risultato sottratto alla corte il definitivo vaglio sul rapporto tra equità e diritto quale stabilito dal giudice di pace, che, in quanto superi il controllo del giudice di appello, torna a costituire oggetto di sindacato di legittimità, per il tramite di tale decisione.
Per queste ragioni il ricorso è inammissibile”.
Ritenuto:
che il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione, che non sono superati dalle argomentazioni svolte da parte ricorrente nella memoria;
che il ricorso deve, perciò, essere dichiarato inammissibile;
che nessuna statuizione vada emessa in relazione alle spese processuali, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
PQM
Visto l’art. 375, c.p.c.;
dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010