Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8923 del 05/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8923 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 795-2010 proposto da:
MALIZIA LAURA MLZLRA74T69G482F,

PICCOLI

NICOLINO

PCCNLN57T18D703R, MALIZIA ALDO MLZLDA44R17G482H, DE
LUCA ENZO DLCNZE65D22G482V, tutti domiciliati in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli
2014
3918

avvocati LEONELLO BROCCHI, DEBORA DE LUCA, giusta
delega in atti;
– ricorrenti contro

SERIT S.P.A. SICILIA p.i. 00833920150, già MONTEPASCHI

Data pubblicazione: 05/05/2015

SE.RI.T. S.P.A, in persona del legale rappresentante
pro tempore, già elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
SALARIA 227, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI
GIAMMARIA, rappresentata e difesa dagli avvocati UGO
FRASCA, LUCA FRASCA, giusta delega in atti e da ultimo

DT CASSAZIONE;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1763/2008 della CORTE D’APPELLO
di L’AQUILA, depositata il 23/12/2008 R.G.N. 326/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/12/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
inammissibilità in subordine rigetto.

domiciliata presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA

Svolgimento del processo
Si controverte del diritto degli odierni ricorrenti, quali ufficiali della riscossione
dipendenti della società Montepaschi SE.RI.T. s.p.a. nel periodo in cui la stessa
deteneva in concessione il servizio di riscossione dei tributi per la provincia di
Pescara, a percepire il compenso, di cui all’art. 50 del ceni di settore del 12/7/1995
e dei successivi accordi integrativi aziendali del 25/7/95 e del 22/7/97, per le
riscossioni a saldo conseguite per effetto del pignoramento o per eventuali atti
esecutivi e per quelle conseguite in sede di esperimento d’asta ovvero in sede di
asporto. l ricorrenti lamentano la mancata corresponsione per il periodo settembre
1997 – maggio 2001 di tali compensi, diversi da quelli loro erogati normalmente
per le riscossioni quietanzate a saldo in via esecutiva.
La Corte d’appello dell’Aquila, nel confermare la sentenza di primo grado con la
quale era stata respinta la domanda dei lavoratori, ha spiegato che il tenore
letterale e la “ratio” della normativa collettiva di riferimento inducono a ritenere che
nell’ottica di un’esigenza premiante i compensi in esame sono correlati all’effettiva
riscossione del credito e non all’attività comunque prestata dall’ufficiale di
riscossione, per cui gli stessi non spettano nelle ipotesi in cui la stessa riscossione
sia avvenuta in qualsiasi modo dopo il pignoramento.
Per la cassazione della sentenza propongono ricorso De Luca Enzo, Malizia Aldo,
Malizia Laura e Piccoli Nicolino con tre motivi.
Resiste con controricorso la Serit Sicilia s.p.a., già denominata Montepaschi
SE.RI.T. s.p.a., che deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1.Col primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e l’erronea applicazione di
norme di diritto e dei contratti e degli accordi collettivi nazionali ed aziendali di
settore. In particolare, essi si dolgono, per quel che riguarda la questione dei
compensi oggetto di causa, della disapplicazione, da parte del giudice del

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gravame, della disposizione di cui all’art. 50 del CCNL di settore del 12/7/1995 e, a
tal riguardo, richiamano la tabella n. 5 dell’Accordo integrativo del 22/7/1997.
2. Col secondo motivo, proposto per violazione ed erronea applicazione dell’art.
1362 e segg. c.c., oltre che per vizio di motivazione, i ricorrenti deducono che la

602/1973, all’ari. 101 del d.p.r. n. 43/1988, all’art. 44 del d.lgs n. 112/1999, ed agli
arti. 10 e 34 del d.p.r. n. 43/1988 avrebbe dovuto condurre alla conclusione che il
compenso da essi rivendicato, nella loro qualità di ufficiali di riscossione, non
avrebbe potuto essere riconosciuto, né attribuito al personale amministrativo
interno della società concessionaria, ossia al personale addetto alla cassa.
3. Col terzo motivo, formulato per violazione ed erronea applicazione dell’art. 2697
e segg. c.c., degli artt. 101 del dpr n. 43/88,44 del d.lgs n. 112/99, 34 e 10 del dpr
n. 43/88, si osserva che dalla mancata evasione da parte della resistente
dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c e dalla mancata contestazione delle
circostanze di prova orale capitolate la Corte di merito avrebbe dovuto desumere
elementi di prova a loro favore.
Osserva la Corte che i ricorrenti, pur avendo fondato il motivo principale del
ricorso sulla interpretazione del contratto e dell’accordo integrativo di cui in
premessa, non producono in questa sede, in aperta violazione della regola di cui
all’ari. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), (su cui cfr. l’orientamento espresso dalle sezioni
unite di questa Corte con la pronuncia n. 20075 del 23/9/2010, ormai consolidato)
o, comunque, non dichiarano di aver prodotto in questa sede, ancorché nei
fascicoli di parte del giudizio di merito, tali atti fondamentali ai fini della verifica
della fondatezza delle relative censure.
Si è, inoltre, statuito (Cass. sez. lav. n. 15495 del 2/7/2009) che “l’onere di
depositare i contratti e gli accordi collettivi su cui il ricorso si fonda – imposto, a
pena di improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella
nuova formulazione di cui al d.igs. 2 febbraio 2006 n. 40 – non può dirsi soddisfatto

corretta interpretazione ed applicazione delle disposizioni di cui al d.p.r. n.

con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui violazione il
ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza impugnata, dovendosi
ritenere che la produzione parziale di un documento sia non solamente
incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i criteri di fondo
dell’intervento legislativo di cui al citato d.lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la
funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di
ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362 cod. civ. e seguenti e, in ispecie,
con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del testo
integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre parti dello
stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per l’interpretazione esaustiva
della questione che interessa.”
Si concretizza, in tal modo, una evidente causa di improcedibilità, atteso che le
questioni poste non possono prescindere dalla disamina della normativa collettiva
di riferimento, espressamente richiamata a sostegno del motivo cardine del
ricorso.
Il ricorso è, pertanto, improcedibile.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso improcedibile. Condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese del presente giudizio nella misura di € 2500,00 per compensi professionali e
di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 10 dicembre 2014
Il Consigliere estensore

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