Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8917 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. I, 18/04/2011, (ud. 23/03/2010, dep. 18/04/2011), n.8917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.R., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli in data 22 gennaio

2007, nella causa iscritta al n. 1660/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23 novembre 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale, Dott. ABBRITTI Pietro, che nulla ha osservato.

La Corte:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi

dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al

Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“Il Consigliere relatore, letti gli atti depositati.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che:

1. S.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 22 gennaio 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore della somma di Euro 6.000,00, a titolo di indennizzo per il superamento del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso depositato il 16 gennaio 1996 e ancora pendente alla data del 28 giugno 2006, di presentazione del ricorso per equa riparazione;

1.1. la Presidenza intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 6.000,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di sette anni e sei mesi a quella ragionevole, determinata in tre anni, e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 800,00 per ciascun anno di ritardo;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo dodici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

– la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65 par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo);

– il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio, e l’inosservanza dei parametri europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (motivi da due a quattro);

– il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e con vizio di motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto di pubblico impiego (quinto, sesto e settimo motivo);

– l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, con vizio di motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e disattendendo la nota spese depositata (motivi da otto a dodici);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. i motivi da due a quattro appaiono manifestamente infondati nella parte in cui si censura il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’intera durata del giudizio, in quanto è vincolante per il giudice nazionale il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14); i motivi sono manifestamente fondati nella parte in cui si contesta l’inosservanza dei parametri europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, in quanto l’indennizzo liquidato, pari a circa 800,00 Euro per anno di durata non ragionevole, appare inferiore a quello applicato in casi simili da questa Corte, sulla scorta dei principi fissati dalla giurisprudenza della CEDU, per un ammontare di Euro 750,00 ad anno per i primi trae anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000,00 per ogni ulteriore anno successivo;

4.2. i motivi da cinque a sette appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un giudizio obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.3. restano assorbiti i motivi da otto a dodici, dovendosi procedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in Camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso le argomentazioni esposte nella relazione;

ritenuto pertanto, in base alle considerazioni che precedono, che, dichiarato inammissibile il primo motivo, devono essere accolti, nei termini precisati nella relazione che precede, i motivi da due a quattro, mentre vanno rigettati quelli da cinque a sette, dichiarati assorbiti quelli da otto a dodici, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare, determinato in sette anni e sei mesi il periodo di durata non ragionevole del giudizio presupposto, secondo l’accertamento del giudice di merito non specificamente censurato dalla ricorrente, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009;

secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata;

tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere alla ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di sette anni e sei mesi, l’indennizzo di Euro 6.750,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato la Presidenza soccombente;

ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso, con distrazione delle stesse in favore del difensore della ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie nei termini di cui in motivazione i motivi da due a quattro, rigetta i motivi da cinque a sette, assorbiti quelli da otto a dodici. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 6.750,00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda. Condanna inoltre la Presidenza suddetta al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00, di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 525,00 di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore della ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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