Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8913 del 14/04/2010

Cassazione civile sez. III, 14/04/2010, (ud. 25/02/2010, dep. 14/04/2010), n.8913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 13175-2009 proposto da:

Z.S., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36-A, presso lo Studio dell’avvocato PISANI

FABIO, rappresentato e difeso dall’avvocato CALVO GAETANO, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO DI (OMISSIS), in persona del

suo amministratore in carica, elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE CLODIO 12, presso lo studio dell’avvocato AGOSTA GIUSEPPE,

rappresentato e difeso dall’avvocato LAPIS MARIA, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 276/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del

18/02/09, depositata il 03/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il P.G. in persona del Dott. LIBERTINO ALBERTO RUSSO.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte Letti gli atti depositati osserva;

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 22 maggio 2009 Z.S. ha chiesto la cassazione della sentenza, notificata il 23 marzo 2009, depositata in data 3 marzo 2009 dalla Corte d’Appello di Catania, confermativa della sentenza del Tribunale che aveva accolto solo parzialmente la sua domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di infiltrazioni di liquami.

Il Condominio di (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

2 – I due (il primo articolato in tre censure) motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso. Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico-giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione. In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione. Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo articolato in tre distinte censure il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata con riferimento: 1) al diniego della domanda di risarcimento danni da lucro cessante per non avere egli provato il nesso di causalità tra il danno economico sofferto e le lamentate, nonchè incontestate e accertate, infiltrazioni di liquami all’interno del proprio immobile; 2) al diniego della domanda di risarcimento danni da lucro cessante sull’erroneo presupposto e distorto ragionamento ancorato all’esiguità dell’ammontare dei danni quantificati dal C.T.U., alla loro eliminazione in pochi giorni, al manifestato assunto di danni facilmente riparabili con un modesto esborso che avrebbe potuto essere anticipato dall’attore; 3) al diniego della domanda di risarcimento danni da lucro cessante sull’erroneo richiamo della sentenza intervenuta tra il ricorrente e il Comune di Catania avente ad oggetto lo stesso immobile, in seguito al quale al ricorrente era stata rigettata la domanda di risarcimento danni per mancata percezione dei frutti civili dell’immobile per discutibile atteggiamento contraddittorio dell’Ente Pubblico e degli altri Enti deputati in ordine alla sussistenza o meno dei requisiti minimi necessari per l’utilizzo del locale in ragione della sua destinazione d’uso.

Le censure in esame si basano su documentazione di cui non viene indicata la collocazione, nè riferito il contenuto, in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3 n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. Inoltre dette censure non presentano la chiara indicazione del fatto controverso secondo il momento di sintesi sopra enunciato, necessario per specificare le ragioni dei singoli vizi motivazionali denunciati. Infine esse presuppongono esame delle risultanze processuali e apprezzamenti di fatto, attività precluse al giudice di legittimità.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e illogicità della motivazione in ordine al rigetto della domanda di risarcimento del danno ascrivibile al cattivo funzionamento della seconda colonna montante.

La censura, del tutto priva del necessario momento di sintesi, è di merito e, quindi, esula dal sindacato di legittimità.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

Non sono state presentate conclusioni scritte nè memorie nè alcuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 700,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010

 

 

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