Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8911 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. I, 18/04/2011, (ud. 23/03/2010, dep. 18/04/2011), n.8911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3990/2009 proposto da:

O.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3.477/07 R.G.V.G. della CORTE D’APPELLO di

NAPOLI del 5/03/08, depositato il 14/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2010 dal Presidente e Relatore Dott. GIUSEPPE SALME’;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che O.G. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 25.11.95, non ancora definito.

La Corte d’appello, con decreto del 14 maggio 2008, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, liquidava per il danno non patrimoniale, per la parte eccedente, Euro 750,00 per anno di ritardo, quindi, Euro 6.958,00, dichiarando compensate le spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso O. G., affidato a sette motivi con i quali, nei primi cinque motivi, è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti: a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo); b) Questioni concernenti la quantificazione del danno:

se il periodo da considerare ai fini dell’equa riparazione sia l’intera durata del giudizio e non solo la parte eccedente il termine di ragionevole durata (secondo motivo) e sul punto il decreto sarebbe viziato nella motivazione (terzo motivo), – il giudice non si sarebbe pronunciato sulla domanda volta ad ottenere una ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di materia previdenziale e ciò costituirebbe violazione dell’art. 112 c.p.c. (quarto motivo) e comporterebbe un difetto di motivazione (quinto motivo) e con i motivi 6 e 7, denuncia violazione e falsa applicazione di legge ed erronea compensazione delle spese processuali, sul presupposto della mancata opposizione della parte resistente, nonchè vizio di motivazione in ordine alla disposta compensazione (art. 360 c.p.c., non 3 e 5), ed è formulato il seguente quesito di diritto: “in ipotesi di mancata opposizione della P.A. e di accoglimento della domanda deve seguire la condanna alle spese di lite?” (sesto motivo) e il decreto sarebbe viziato nella motivazione in ordine alla disposta compensazione delle spese del giudizio (ottavo motivo);

che ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che i primi cinque motivi, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati, perchè va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale “spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme e, qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007), restando escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria; b) che, relativamente alla quantificazione del danno, va ribadito che il c.d.

bonus evocato dal ricorrente va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza e la Corte EDU ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali anche se non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 30570 e n. 18012 del 2008); che siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro del giudice europeo, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006;

n. 19029 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006) e che il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008);

che, inoltre, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo: per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole, non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001, ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 11566 del 2008; n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007);

che i principi che possono essere enunciati in relazione ai quesiti posti con i motivi in esame, con conseguente manifesta infondatezza di detti mezzi, avendo la Corte territoriale liquidato per il danno non patrimoniale Euro 750,00 per anno di ritardo, dando applicazione al parametro della Corte EDU, dal quale si è discostata non irragionevolmente, valorizzando il mancato deposito dell’istanza di prelievo non ai fini del computo della durata, ma quale sintomo del non particolare interesse per la causa;

che le argomentazioni svolte dall’istante sono invece astratte, scollegate dalla fattispecie concreta e non si danno carico di dedurre le ragioni specifiche che dovrebbero evidenziarne l’illogicità, risultando prive di ogni specifica indicazione in ordine all’entità della controversia ed alla deduzione di ulteriori elementi già nella fese di merito; che i motivi sesto e settimo, che possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sono manifestamente fondati perchè la compensazione delle spese processuali spetta al potere discrezionale del giudice del merito, che può disporla nel caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano altri giusti motivi; la relativa motivazione è censurabile in questa sede ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed il relativo vizio sussiste quando le argomentazioni del giudice del merito si palesino del tutto carenti o insufficienti, ovvero illogiche, incongruenti o contraddittorie;

che nella specie, la motivazione sopra riportata non è immune dalle censure, poichè la circostanza che l’amministrazione convenuta non avrebbe “dato causa” al giudizio costituisce una ragione erronea, dacchè il giudizio di equa riparazione è stato “causato” dall’apparato giudiziario dei cui comportamenti risponde per scelta legislativa il Ministero convenuto, mentre la mancata opposizione, da sola, neppure può costituire ragione della compensazione, in difetto di ogni ulteriore argomentazione (Cass. 30-12-2009, n. 27728);

che, in relazione alle censure accolte, il decreto deve essere cassato nella parte concernente le spese; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa potrà essere decisa nel merito, disponendo la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze alle spese del giudizio di merito;

che le spese della fase di legittimità possono essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, tenuto conto del parziale accoglimento della domanda, mentre la residua parte seguirà la soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta i motivi da uno a cinque, accoglie i motivi sei e sette, cassa il provvedimento impugnato limitatamente ai motivi accolti e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna l’amministrazione controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida in Euro 1.500,00 (Euro 850,00 per onorari e Euro 600,00 per diritti) e, previa compensazione fino a due terzi, in Euro 400,00 per il giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi, Sezione Prima Civile, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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