Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8911 del 14/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 14/04/2010), n.8911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30254-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.A.M., D.P.C., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato

VACIRCA SERGIO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LALLI CLAUDIO, giusta mandato a margine dei controricorsi;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1434/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 04/11/2005 r.g.n. 2130/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega ROBERTO PESSI;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per: inammissibile per intervenuta

conciliazione per D.M., rigetto nel resto: in subordine

accoglimento per quanto di ragione.

 

Fatto

Con separati ricorsi al Tribunale, giudice del lavoro, di Pisa, regolarmente notificati, D.M.A.M. e D.P. C., assunte con contratto a tempo determinato dalla società Poste Italiane s.p.a., la prima del 3 marzo 2000 al 30 aprile 2000 e la seconda dal 19 gennaio 1998 al 18 aprile 1998 e quindi dal 1 luglio 1998 al 30 settembre 1998, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, rilevavano la illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti in questione di talchè, essendo stata l’assunzione illegittima, i contratti si erano convergiti in contratti a tempo indeterminato. Chiedevano pertanto che, previa dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai predetti rapporti di lavoro, fosse dichiarata l’avvenuta trasformazione degli stessi in contratti a tempo indeterminato, con condanna della società al risarcimento del danno.

Con separate sentenze il Tribunale adito accoglieva le domande e dichiarava la natura a tempo indeterminato dei rapporti in questione, condannando la società convenuta al ripristino dei rapporti ed al pagamento in favore delle ricorrenti della retribuzione, con accessori, dalla data della messa in mora.

Avverso tali sentenze proponeva appello la società Poste Italiane s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con i ricorsi introduttivi. E proponeva altresì appello incidentale la D.P. rilevando che il Tribunale aveva omesso di valutare il secondo rapporto lavorativo, intercorso dal 1 luglio al 30 settembre 1998.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 25.10.2005, proceduto alla riunione degli appelli, rigettava il gravame proposto dalla società datoriale.

In particolare la Corte territoriale rilevava che il contratto relativo alla D.M. era stato stipulato successivamente al 30.4.1998, ossia in periodo non coperto dalla contrattazione autorizzatoria; e che il contratto relativo alla D.P., se pur stipulato in data antecedente alla data predetta, non conteneva alcuna concreta indicazione delle ragioni di stipulazione del termine, sottese alla astratta previsione dell’accordo collettivo.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione, la Poste Italiane s.p.a. con tre motivi di impugnazione.

Resistono con controricorso le lavoratrici intimate.

La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare rileva che la Corte territoriale, dopo aver riconosciuto che i contratti a termine per cui è causa erano stati stipulati con riferimento alla previsione dell’art. 8 del CCNL 1994, integrato dall’accordo collettivo 25.9.1997, aveva ritenuto l’illegittimità dei contratti in questione sotto il profilo che la copertura autorizzatola era esclusa per i contratti stipulati dopo il 30.4.1998; in tal modo incorrendo in un evidente vizio di violazione e falsa applicazione della normativa legale (L. 56 del 1987, art. 23), avuto riguardo alla pienezza della delega conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 ed alla autonomia delle parti sociali in ordine alla individuazione di ipotesi ulteriori rispetto a quelle legislativamente previste. Mentre, relativamente al contratto stipulato con la D.P., pur ritenendo la relativa causale “coperta dalla contrattazione collettiva autorizzatola”, aveva dichiarato la nullità del termine relativamente alla illegittimità della clausola del contratto individuale, in considerazione della “carenza di individuazione concreta del collegamento tra clausola autorizzatoria e ricorso a quel determinato contratto a termine”.

Col secondo motivo di gravame la ricorrente lamenta violazione ed erronea applicazione dell’art. 1362 e segg. c.c. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato la non incidenza, nel caso di specie, dell’accordo del 18.1.2001, sotto il profilo che questo non poteva valere come una sorta di legittimazione a posteriori dei contratti a termine stipulati successivamente alla suddetta fase autorizzatoria.

Col terzo motivo di gravame la ricorrente lamenta omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto la genericità dell’eccezione formulata dalla società concernente la detrazione di quanto ricevuto dalle lavoratrici a titolo retributivo.

Posto ciò, rileva il Collegio che in corso di causa è stato depositato un verbale di conciliazione in sede sindacale in data 19.1.2009 concernente la controversia fra Poste Italiane e D.M. A.M.; dal suddetto verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto dalla lavoratrice interessata, oltre che dal rappresentante delle Poste Italiane s.p.a., risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge.

Ad avviso del Collegio il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti della lavoratrice sopra indicata in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278).

In definitiva il ricorso nei confronti della predetta dipendente deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse; tenuto conto del contenuto dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti, si ritiene conforme a giustizia compensare integralmente tra le stesse le spese del giudizio di cassazione.

Il giudizio prosegue pertanto esclusivamente nei confronti della D. P..

Il ricorso è fondato, avendo la Corte territoriale ritenuto la nullità del termine apposto al contratto stipulato il 19.1.1998.

Invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte di Cassazione (Cass. sez. lav., 29.7.2009 n. 17651; Cass. sez. lav., 23.6.2009 n. 14657; Cass. sez. lav., 27.2.2009 n. 4840; Cass. sez. lav., 7.3.2005 n. 4862; Cass. sez. lav., 26.7.2004 n. 14011), specificamente riferito ad assunzioni a termine di dipendenti postali previste dall’accordo integrativo 25 settembre 1997, l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato. “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. sez. lav., 4.8.2008 n. 21062; Cass. sez. lav., 23.8.2006 n. 18378).

Non può pertanto condividersi la motivazione della Corte territoriale la quale ha posto a fondamento della propria statuizione l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali. La sentenza si muove quindi erroneamente nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, e ciò è in contrasto con quanto ripetutamente affermato da questa Corte e ribadito da ultimo dalle Sezioni Unite con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588.

Orbene, la decisione della Corte di merito, con riferimento al contratto de quo, non è conforme al suddetto principio di diritto;

l’impugnata sentenza, in accoglimento del suddetto motivo di gravame nel quale rimangono assorbiti gli ulteriori, deve essere pertanto cassata, con rinvio della causa – nella quale la D.P. aveva dedotto la presenza di ulteriori contratti a termine successivi – alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, la quale provvederà tenendo conto dei principi sopra affermati, e provvederà altresì, ex art. 385 c.p.c., sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di D.M. A.M. e compensa fra la stessa e la società Poste Italiane s.p.a. le spese processuali. Accoglie il ricorso proposto nei confronti di D.P.C., cassa l’impugnata sentenza in relazione alla predetta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010

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