Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8911 del 11/04/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 8911 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 4689-2007 proposto da:
MARZOCCHELLA ANTONIO MRZNTN51M081293W, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PUGLIE 23, presso lo studio
dell’avvocato MICHELE BARBARO, rappresentato e difeso
dall’avvocato CATALANO ANTONIO;
– ricorrente contro

D’ANTONIO ANTONIO DNTNTN48T031293L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ADDA 21, presso lo studio
dell’avvocato ADINOLFI CARMELO MARIA, che lo
rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 11/04/2013

- controricorrente

avverso la sentenza n. 3926/2006 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 21/12/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/02/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

MAZZACANE;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 27-5-1994 Antonio D’Antonio conveniva in giudizio dinanzi al
Tribunale di Napoli Antonio Marzocchella esponendo che nell’anno 1989 egli aveva ricevuto da
parte di quest’ultimo l’incarico di effettuare per suo conto dei lavori presso la proprietà di Augusto

e Teresa Meles nonché della Cooperativa Astro e che, terminati e collaudati i lavori, il convenuto
era rimasto debitore della somma di lire 160.683.407; chiedeva pertanto la condanna del
Marzocchella al pagamento della suddetta somma oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Nel corso del giudizio veniva ammesso il giuramento decisorio dedotto dal D’Antonio, ed
all’udienza del 2-11-1999 fissata per l’assunzione il Marzocchella non compariva.

All’udienza del 13-3-2001 si costituiva in giudizio quest’ultimo che, nel contestare l’avversa
domanda, affermava che all’udienza del 2-11-1999 egli non era comparso perché impossibilitato
da grave malattia fisica debilitante e non certamente per sottrarsi al giuramento decisorio.

Il Tribunale adito con sentenza del 21-11-2004 condannava il Marzocchella al pagamento di euro
82.986,00 oltre interessi e rivalutazione.

Proposto gravame da parte del Marzocchella cui resisteva il D’Antonio la Corte di Appello di Napoli
con sentenza del 21-12-2006 ha rigettato l’impugnazione.

Avverso tale sentenza il Marzocchella ha proposto un ricorso articolato in due motivi cui il
D’Antonio ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

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Marzocchella, Antonio Marzocchella, Aniello Marzocchella, Nicola Marzocchella, Pasquale Di Luigi

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2736 c.c. e 233 c.p.c., assume
che, a fronte di una domanda contenuta nell’atto di citazione con la quale l’attore aveva chiesto la
condanna del convenuto al pagamento della somma di lire 160.683.407, il giuramento decisorio
era stato formulato nei seguenti termini: “giuro e giurando nego che complessivamente l’importo

oggettiva incertezza sul fatto costitutivo della domanda, ovvero se il debito dell’esponente fosse di
lire 160.683.407 o di una somma approssimativamente corrispondente a questa, con le
conseguenti perplessità sulla valenza decisoria del giuramento, e quindi sulla legittimità della sua
ammissione.

Inoltre il Marzocchella evidenzia un ulteriore profilo di ambiguità della formula del giuramento
decisorio; invero, poiché il giuramento era stato deferito nei seguenti termini: “Giuro e giurando
nego che a lavori ultimati e collaudati di non aver versato al D’Antonio la parte a lui spettante della
somma indicata per i lavori eseguiti”, ciò comportava che la prova acquisita per la mancata

prestazione del giuramento riguardava il fatto che l’esponente non aveva versato all’avente diritto
“la parte della somma indicata per i lavori eseguiti”, e quindi un’entità diversa da quella pretesa

con la citazione.

La censura è inammissibile.

Sotto un primo profilo, premesso che la valutazione (positiva o negativa) della decisorietà della
formula del giuramento decisorio è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, il cui giudizio
circa l’idoneità della formula a definire la lite è sindacabile in sede di legittimità con esclusivo
riferimento alla sussistenza di vizi logici o giuridici attinenti all’apprezzamento espresso dal
predetto giudice (vedi “ex multis”Cass. 13-11-2009 n. 24025), si osserva nella specie non è stato
neppure formalmente denunciato un vizio di motivazione, e che quindi in particolare non è stato
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di tali lavori risultava ammontare a circa lire 160.000.000”, introducendo così un fattore di

dedotto che, a fronte di una formula che determinava il corrispettivo dell’appalto in circa lire
160.000.000, non poteva essere pronunciata condanna al pagamento della maggiore somma
richiesta nell’atto di citazione, se non con il ricorso ad ulteriori argomenti di prova che avrebbero
escluso la decisorietà del giuramento; quanto alla denunciata violazione di legge, si rileva che il

questione logico – giuridica così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regola
juris” suscettibile di trovare applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla
sentenza impugnata, risolvendosi nella mera enunciazione dei termini che caratterizzano la
fattispecie.

Analoghe considerazioni valgono riguardo al secondo aspetto della censura sollevata, avuto
riguardo alla statuizione della sentenza impugnata secondo cui il capitolo sub c) del giuramento
decisorio in questione, indicando “la parte a lui spettante”, intendeva con ogni evidenza riferirsi al
corrispettivo relativo alla parte di lavori eseguiti negli immobili di proprietà del Marzocchella, e
non certamente ad una quota parte dell’importo convenuto di lire 160.000.000.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 2739 c.c., 112 e 233 c.p.c.,
censura la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di appello con il quale l’esponente
aveva asserito di essere dipendente di ruolo del Comune di S. Antimo con la qualifica di
funzionario, cosicché le circostanze deferite con il giuramento decisorio postulavano la violazione
delle norme di diritto amministrativo regolanti il rapporto di lavoro con la P.A., derivando da esse
la prova che il lavoro per conto terzi da lui prestato al di fuori dell’attività di pubblico impiego
aveva violato il dovere di fedeltà nei confronti dell’Amministrazione, ed era perciò potenzialmente
illecito perché contrario ai doveri di ufficio; rileva che il diverso assunto del giudice di appello sul
fatto che non vi fosse la prova che l’appellante fosse già dipendente del Comune di S. Antimo nel
1989 era superato sia dalla mancata contestazione della suddetta circostanza da parte del
3

quesito di diritto formulato ai sensi dell’art. 366 “bis”c.p.c. è del tutto privo di una sintesi della

D’Antonio sia dallo statino paga prodotto già nel primo grado di giudizio riportante la data di
assunzione con la dicitura: ‘assunto 25-3-1980”.

Il motivo è inammissibile.

Si premette che il ricorrente ha formulato un quesito di diritto del seguente tenore: “Dica la Corte

giuramento decisorio non può essere deferito su un fatto illecito, la pronuncia di ammissibilità del
giuramento decisorio con cui si chiede al giurante di affermare la titolarità attiva in un rapporto di
lavoro privato, costituito in costanza del rapporto di servizio con la P.A., dimostrato
documen talmente attraverso la produzione in atti”; orbene, considerato che la Corte territoriale
ha escluso la sussistenza di una qualsiasi prova in ordine alla circostanza che già nel 1989 il
Marzocchella fosse funzionario del Comune di S. Antimo, si rileva che il quesito suddetto è
inammissibile in quanto, a fronte del fatto come accertato dalla sentenza impugnata, non sussiste
in radice una violazione di legge; potrebbe semmai configurarsi un vizio di motivazione che investa
la ricostruzione del fatto, ma un tale vizio non è stato denunciato; d’altra parte la censura in
esame sembra prospettare un errore di fatto piuttosto che un vizio di motivazione, la cui
sostanziale esposizione è comunque priva di un momento di sintesi, in quanto il ricorrente non ha
indicato se e con quali espressioni avesse allegato che il richiamato statino documentasse la sua
assunzione nell’anno 1980.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in
dispositivo.

P.Q.M.

La Corte

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se è giuridicamente fondata, ai sensi dell’art. 2739 c.c. nella parte in cui stabilisce che il

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro
2.500,00 per compensi.

Il Presidente

Così deciso in Roma il 28-2-2013

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