Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8910 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 31/03/2021), n.8910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28408/2017 R.G. proposto da:

STANLEYBET MALTA LIMITED, in persona del suo legale rappresentante

pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dagli avv.

ti Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova, prof. Fabio Ferraro e

Daniela Agnello e con domicilio eletto in Roma, presso lo studio

legale De Berti Jacchia Franchini Forlani in via V. Bellini n. 24;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

sez. staccata di Latina n. 2344/18/17 depositata il 27/04/2017, non

notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

19/01/2021 dal Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello della contribuente e pertanto confermava la sentenza di primo grado che aveva dichiarata la legittimità dell’atto impugnato, avviso di accertamento relativo al mancato assolvimento dell’imposta unica su concorsi pronostici, oltre a sanzioni ed interessi, per operazioni svoltesi nell’anno 2008;

– ricorre a questa Corte STANLEYBET MALTA con atto affidato a dieci motivi; resiste con controricorso l’Amministrazione Finanziaria; la ricorrente ha altresì depositato memoria in data 24/11/2020 con la quale chiede trattarsi la controversia in udienza pubblica e ulteriore memoria ex art. 380bis c.p.c., nella quale si insta perchè sia disposto rinvio pregiudiziale alla CGUE ex art. 267 TFUE, e si illustrano nuovamente i motivi di ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTr pronunciato ultra petita sulla mancata previa notifica del PVC; violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 12, degli artt. 24 e 97 Cost., del principio del contraddittorio endoprocedimentale a tutela del diritto di difesa secondo la giurisprudenza della CGUE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in ragione della mancata notifica del PVC al soggetto considerato responsabile in solido;

– il motivo è infondato;

– invero, ritiene questa Corte che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perchè è in esso che si esterna poi ciò che si è constatato prima;

– per quanto la L. n. 4 del 1929, art. 24, preveda che “le violazioni delle norme contenute nelle leggi finanziarie sono constatate mediante processo verbale”, tal onere di redazione, anche ove non sia assolto in forza della disposizione sopra richiamata, non impedisce in nessun caso l’emissione di avvisi di accertamento in base all’autonoma valutazione dell’amministrazione finanziaria alla luce del disposto della disposizione invocata dal ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31120 del 29/12/2017, e precedentemente Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27711 del 11/12/2013); del resto il processo verbale previsto dall’art. 24 cit., può avere una molteplicità e complessità di contenuti e la legge non discrimina tra diversi mezzi di rappresentazione e differenti realtà rappresentate, così come tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazione. Sicchè, quale documento extraprocessuale, esso può sia un contenuto ricognitivo, sia un contenuto valutativo liberamente valutabile dall’amministrazione finanziaria; deve quindi escludersi, diversamente da quanto ritiene il ricorrente, che tal verbale abbia rilevanza esterna tale da viziare, ove non redatto, l’atto successivo;

– con riguardo poi al profilo relativo alla partecipazione del contribuente al procedimento anteriormente all’emissione dell’avviso di accertamento, in ordine alla quale potrebbe porsi la questione della legittimità dell’avviso di accertamento notificato anteriormente al termine dl cui alla L. 212 del 2000, art. 12, comma 7, questa Corte ritiene che il diritto generalizzato al contraddittorio sia adeguatamente tutelato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 701 del 15/01/2019) dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (c.d. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività; esso opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il, contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio;

– ma nel presente caso, come correttamente eccepito in controricorso e come accertato in fatto dalla sentenza impugnata (pag. 3, punto a) non risulta che alcuna attività di accesso, ispezione o verifica sia stata svolta nei confronti di STANLEYBET MALTA, che risulta solo obbligato in solido, non soggetto “sottoposto a verifica”; è soggetto peraltro non residente in Italia nè ivi dotato di stabile organizzazione nei confronti del quale pertanto tal attività sarebbe stata realizzabile, probabilmente, solo in un contesto di audit congiunta ai sensi delle disposizioni internazionali contro la doppia imposizione; pertanto sotto questo profilo il mancato rispetto del termine di 60 giorni di cui sopra è fatto del tutto irrilevante ai fini della invalidità dell’avviso di accertamento, comunque difettando il requisito di fatto necessario, consistente appunto nella redazione del PVC in capo a parte ricorrente a seguito di accesso, ispezione o verifica;

– inoltre, quanto ai risvolti potenzialmente connessi a tal omessa notifica relativi alla sussistenza di vizi motivazionali, il motivo risulta comunque infondato alla luce dell’accertamento di fatto operato nella sentenza impugnata in forza del quale “b) l’avviso di accertamento è correttamente ed esaustivamente motivato essendo stato allegato allo stesso, per la notifica a SB, il PVC” (punto b – pag. 3);

– in forza di tal sopraesposta considerazione, risulta quindi infondato anche il secondo motivo di ricorso, che censura la pronuncia gravata per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR ritenuto l’atto impugnato illegittimo per carenza di motivazione in quanto fondato su un mero richiamo al PVC;

– pacifica la circostanza relativa all’effettiva allegazione all’avviso di accertamento del PVC contenente le ragioni della pretesa tributaria, va fatta applicazione della costante giurisprudenza di questa Corte sul punto secondo la quale (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 30560 del 20/12/2017; Sez. 5, Sentenza n. 32957 del 20/12/2018) in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio;

– il terzo motivo si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione con art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto il CTD soggetto passivo del tributo;

– il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327,1336 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR errato nel ravvisare in capo al CTR il presupposto territoriale del tributo;

– il quinto motivo censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, e art. 36, comma 2, nn. 2 e 4, nonchè dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR esaminato la doglianza relativa alla violazione e/o falsa applicazione della D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. a), per insussistenza del profilo oggettivo del presupposto dell’imposta unica;

– il sesto motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 56 TFUE, e dei principi del diritto dell’Unione Europea di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, nonchè la violazione del principio di legittimo affidamento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; in subordine, si formula proposta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, comma 3, alla Corte di Giustizia;

– l’ottavo motivo censura la pronuncia gravata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 Cost., e del principio di capacità contributiva con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, comma 3, e della L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– il nono motivo si appunta sulla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere la CTR esaminato la denunciata violazione e/o falsa applicazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza delle leggi di cui all’art. 3 Cost., sotto molteplici profili, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. di stabilità 2011, art. 1, commi 64 e 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– il decimo motivo si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione del principio dell’equo processo di cui all’art. 6 CEDU, e dell’art. 117 Cost., comma 1, con riferimento alla L. di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– i motivi ridetti possono trattarsi congiuntamente, in quanto connessi tra di loro e tutti diretti a colpire aspetti tra di loro strettamente collegati del tributo in questione; gli stessi si rivelano infondati, di guisa che anche la loro omessa espressa trattazione da parte della CTR non ne legittima l’accoglimento e non produce quindi la cassazione sul punto della sentenza impugnata, in quanto ne difetta la decisività;

– e ciò anche a prescindere dai profili di inammissibilità di quelle doglianze che sono in concreto articolate sulla posizione del CTD anzichè su quella del bookmaker;

– va premesso come sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (del D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”. Sicchè il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sè, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, p servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio. E proprio queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze -amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– va notato poi che il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16, prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;

– inoltre, ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”;

– questo quadro normativo è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso; il che esclude la necessità della trattazione relativa in pubblica udienza, poichè non residuano profili di particolare rilevanza. Quanto all’ambito soggettivo dell’imposta, affrontato dal quarto motivo di ricorso, la Corte costituzionale ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni. A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benchè non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perchè assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonchè del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bOokmaker. Sicchè, ha specificato, l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Nè, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò perchè attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera. Di qui l’infondatezza dell’ottavo motivo, poichè la rivalsa svolge funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poichè redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione. In ogni caso, poi, della sussistenza (evidente in questo caso) di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass. 27 luglio 2015, n. 15731). E la stessa giurisprudenza penale citata in memoria dalla contribuente (ossia Cass. 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza dei ruoli del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker (punto 5), consistente nella “…raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite -…”. Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perchè l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010 (Corte Cost. 23 gennaio 2018, n. 27). Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione; qui non è peraltro oggetto di ricorso la posizione del CTD, vale a dire del sig. C.R.. Per il resto, la censura è infondata. In particolare:

– è infondato il terzo motivo di ricorso, col quale si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18;

– è infondato il quarto motivo, col quale si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perchè il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascun scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731/15, cit.); attività, queste, tutte svolte in Italia;

– è infondato il quinto motivo, col quale si torna a sostenere l’irrilevanza dell’attività svolta dalla ricevitoria;

– è infondato il sesto motivo di ricorso, che denuncia profili di censura riguardanti frizioni col diritto unionale; qui l’infondatezza emerge dalla giurisprudenza della CGUE. Al riguardo, giova premettere che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata; sicchè i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto sovraordinato, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17). Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonchè di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07). Non solo: gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83); in questo contesto la normativa italiana, si anticipava, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perchè l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C-788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”. E ancora, ha sottolineato quella Corte, la situazione di un centro di trasmissione dati che raccoglie scommesse per conto di una società che ha sede in un altro Stato membro non è analoga a quella degli operatori nazionali: di qui l’esclusione di ogni restrizione discriminatoria della normativa che esclude che i centri di trasmissione dati che agiscono per conto degli operatori di scommesse nazionali siano soggetti al pagamento in solido dell’imposta;

– è infondato l’ottavo motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacchè è, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra bookmaker e ricevitore a garantire l’osservanza dei principi in questione;

– analogamente è infondato il nono motivo, col quale si fa leva sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27/18 che ne ha esclusa in concreto la violazione nella fattispecie in esame;

– in ultimo, alla luce delle sopraesposte considerazioni e statuizioni risulta assorbito il decimo motivo di ricorso, col quale si prospetta l’incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 CEDU, ancora in base alla decisione di Corte Cost. n. 27/18 e alle considerazioni che la sorreggono; la compatibilità costituzionale dell’effetto retroattivo della legge in relazione all’art. 6 CEDU, s’incentra sul rispetto del principio di affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico come specchio della ragionevolezza della legge; sicchè occorre che l’intervento legislativo con effetti retroattivi sia sorretto da motivi imperativi d’interesse generale (tra varie, Corte Cost. 13 luglio 2017, n. 176). Laddove nel caso in esame sussiste il motivo imperativo, proprio delle leggi interpretative, di sciogliere incertezze, giacchè, come si anticipava, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 27/18, ha appunto riconosciuto alla L. n. 220 del 2010, la funzione di risolvere l’incertezza inerente all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3;

– è invece fondato il settimo motivo, che si incentra sulla violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, commi 1 e 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR, quanto alle sanzioni, accolto le censure relative alla mancata applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6;

– quanto al periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010, la stessa Corte costituzionale ha dato conto che la sussistenza di tale incertezza è stata espressamente riconosciuta dall’Agenzia autonoma dei monopoli di Stato; la questione è evidentemente decisiva quanto all’applicazione o meno delle sanzioni in parola; sotto questo solo profilo il ricorso va pertanto accolto e la sentenza della CTR, che risulta in effetti non aver pronunciato sullo specifico punto, debitamente dedotto, è cassata con rinvio al giudice dell’appello;

– va osservato, in generale, che secondo questa Corte la incertezza normativa oggettiva tributaria” è caratterizzata dall’impossibilità d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti. Peraltro, il fenomeno dell’incertezza normativa oggettiva può essere desunto dal giudice attraverso la rilevazione di una serie di “fatti indice”, quali ad esempio: 1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.” (Cass. civ., 17 maggio 2017 n. 12301; Cass. civ. 13 giugno 2018, n. 15452). Con riferimento al caso di specie, la questione attiene alla qualificazione quale soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse della società ricorrente, esercente l’attività di organizzatore di scommesse nel territorio nazionale per il tramite della ricevitoria;

– la disciplina normativa di riferimento è contenuta nel D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, che stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”. La suddetta previsione normativa è stato oggetto di interpretazione autentica dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, secondo cui “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze-amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– la norma di interpretazione autentica, dunque, ha interpretato la disciplina normativa previgente prevedendo che soggetto passivo dell’imposta è anche chi svolge l’attività di gestione delle scommesse anche se privo di concessione. La stessa, dunque, ha precisato la responsabilità del bookmaker estero che, mediante un proprio intermediario, svolga l’attività di gestione delle scommesse pur se privo di concessione. Sul punto, in particolare ai fini della individuazione della sussistenza di una condizione di obiettiva incertezza normativa nella estensibilità della responsabilità del bookmaker estero privo di concessione la Corte costituzionale, con la pronuncia del 23 gennaio 2018, n. 27, ha evidenziato che la nozione di soggetto gestore, quale soggetto passivo dell’imposta, se un lato poteva essere interpretata, già secondo l’originaria versione contenuta nel D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, nel senso che la pretesa impositiva statale era rivolta anche nei confronti degli stessi soggetti operanti al di fuori del sistema concessorio, “Tuttavia, il tenore letterale della disposizione consentiva anche una diversa interpretazione, nel senso che, attraverso il richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, al rispetto della concessione e della licenza di pubblica sicurezza, essa contemplasse i soli soggetti operanti nel sistema concessorio (ad esclusione perciò dei bookmakers con sede all’estero, sforniti di titolo concessorio in Italia, e della rete delle ricevitorie di cui essi si avvalgono nel territorio italiano” (punto 4.1.). Nella pronuncia della Corte costituzionale, inoltre, è dato atto del fatto che “Con la disposizione interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), il legislatore ha dunque esplicitato una possibile variante di sensi della disposizione interpretata, ribadendo, da un lato, che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e stabilendo, altresì, che il generale concetto di “gestione” include anche l’attività svolta “per conto terzi”, compresi i bookmakers con sede all’estero e privi di concessione”;

– la Corte, infine, ha dato conto del fatto che la stessa Agenzia autonoma dei monopoli di Stato aveva espressamente riconosciuto che la normativa in esame si prestava alla considerazione di incertezza applicativa (punto 4.1.). In sostanza, la Corte costituzionale ha dato atto del fatto che la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, si prestava ad un duplice opzione interpretativa in ordine alla sussistenza o meno della individuazione della soggettività passiva del bookmaker estero che, mediante una ricevitoria operante nel territorio nazionale, avesse svolta l’attività di gestione delle scommesse senza concessione e che la disposizione interpretativa del 2010 è intervenuta al fine di esplicitare il contenuto della incerta previsione, orientando la scelta interpretativa nel senso della sussistenza della soggettività passiva;

– la fattispecie, dunque, deve essere collocata nell’ambito della previsione di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, sussistendo, fino al momento della entrata in vigore della disciplina interpretativa del 2010, una condizione di obiettiva incertezza normativa in ordine alla soggettività passiva del bookmaker estero operante in Italia, mediante propri intermediari, senza concessione;

– poichè nel presente giudizio si discute dell’applicazione dell’esimente in parola nell’anno 2008, il motivo è fondato in quanto la condotta contestata è antecedente proprio alla legge del 2010 surrichiamata;

– dovendosi procedere quindi alla rideterminazione del dovuto, escludendosi le sanzioni con riguardo alle operazioni di gioco di cui all’atto impugnato, la sentenza è cassata con rinvio al giudice dell’appello;

– in questo quadro, va in ultimo dato atto di come la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria risulti priva di rilevanza (si allega alla memoria la pronuncia di questa Corte, Cass. pen. 9 luglio 2020, n. 25439). Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perchè in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 TFUE, del regime concessorio interno. Ma il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o discommessa, previsto e punito dalla L. n. 401 del 1989, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessun riflesso ha sulla soggettività passiva ai fini tributari della imposta unica sulle scommesse, che del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse. Anzi, ancora la Corte costituzionale con la sentenza dinanzi indicata, nell’escludere l’irragionevolezza dell’assoggettamento a imposta del ricevitore operante per bookmaker sfornito di concessione per il periodo successivo al 2011, ha evidenziato che questa scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione… “;

– il ricorso va quindi accolto nei limiti indicati e la sentenza impugnata cassata esclusivamente per il profilo corrispondente all’accoglimento in motivazione illustrato con rinvio anche per le spese alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.

PQM

accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza nel corrispondente profilo e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione; rigetta nel resto.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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