Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8910 del 06/04/2017

Cassazione civile, sez. II, 06/04/2017, (ud. 27/10/2016, dep.06/04/2017),  n. 8910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. IPPOLISTO Parziale – rel. –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10396-2012 proposto da:

R.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma,

Piazzale Flaminio 19, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

RUSCONI, che la rappresenta e difende, come da procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE DOSSO SEI SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore

L.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via di San

Valentino 21, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARBONETTI

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO FACCHINI, come da

procura speciale in calce al controricorso;

V.G.L., (OMISSIS), quale successore a titolo

parziale nella proprietà del mappale (OMISSIS), in forza di atto di

assegnazione dei beni sociali ai soci, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Federico Confalonieri 5, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI MANZI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAOLO MANTEGAZZA, come da procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

IMMOBILIARE DOSSO QUATTRO SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2948/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Costantino Ruscigno per delega Rusconi, l’avvocato

Marco Francolini per delega Facchini, l’avvocato Carlo Albini per

delega Manzi Luigi, che si riportano agli atti e alle conclusioni

assunte;

udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott. Rosario Giovanni

Russo, che conclude per l’inammissibilità dell’istanza di

sospensione e per l’accoglimento del sesto motivo di ricorso (SU n.

4909/16) e rigetto degli altri motivi di ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza impugnata riporta la vicenda processuale, come sintetizzata dal primo giudice, come segue.

“La società “Immobiliare Dosso Quattro”, premesso di essere proprietaria nel Comune di (OMISSIS) di una serie di terreni tra cui quello contraddistinto dal numero di mappale (OMISSIS) e che in adiacenza ad esso su quello ai numeri (OMISSIS) e (OMISSIS) era stata costruita dalla società immobiliare “Dosso Sei” casa di civile abitazione oltre che un terrapieno artificiale con muretto di pietra a secco invadente parte del suddetto mappale (OMISSIS) (il tutto poi venduto alla signora R.P. conseguentemente, allo stato, proprietaria dei citati due pappali) e comunque posizionato a distanza irregolare dai confini che andavano accertati, con atto di citazione notificato il 19 ottobre 2000, conveniva in giudizio avanti il tribunale di Como, sezione distaccata di Erba, la suddetta ultima proprietaria K.P., affinchè, previa determinazione del confine ed accertamenti di eventuali sconfinamenti, fosse condannata ai consequenziali arretramenti e/o demolizioni ed, in via subordinata, a porre in essere accorgimenti tali da evitare servitù di veduta e scolo. Si costituiva ritualmente la convenuta, resistendo alla pretesa facendo presente la limitatezza e lo scarso valore economico del mappale asseritamente invaso, rimettendosi, a tal proposito, alle risultanze processuali e di c.t.u., e instando, peraltro, per la chiamata in giudizio ai fini manlevatori della sua dante causa Immobiliare Dosso Sei Srl. Autorizzata tale chiamata, detta società si costituiva, eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità e/o inesistenza della chiamata in garanzia perchè non risultava conferito mandato alcuno per essa manleva e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea.

Radicatosi il contraddittorio, espletata istruttoria con lo scambio di memorie (quelle ex art. 183 c.p.c., contenevano precisazioni di attrice e convenuta ritenute rispettivamente domande nuove ed inammissibili) prove orali e c.t.u., la causa, dopo un primo introito veniva rimessa sul ruolo per acquisire ulteriore documentazione e, di poi, definitivamente ritenuta in decisione sulla base delle sue esposte conclusioni”.

2. La sentenza impugnata riporta, quindi, come segue, la decisione di primo grado.

Il Tribunale di Como, Sezione distaccata Erba, definitivamente pronunciando sulle domande proposte, disattesa ogni altra istanza, così decide:

1) Determina il confine tra la proprietà attrice di cui al mappale n. (OMISSIS) da un lato e i mappali nn. (OMISSIS) ed (OMISSIS) dall’altro in quella linea rappresentata nella Tavola 2 allegata alla CTU e facente parte di questa decisione ossia il “tratto-punto-tratto” di colore blu compreso tra i punti n. 210 e n. 202 ivi indicati. 2) Accerta, di conseguenza, che parte convenuta ha invaso la proprietà dell’attrice e realizzato a distanza irregolare, rispetto alla normativa locale, una costruzione rappresentata da un terrapieno artificiale con relativo muro di contenimento con conseguenti obblighi della stessa convenuta sia all’arretramento del terrapieno e relativo muro di contenimento fino alla distanza minima prescritta dalla normativa locale come in motivazione, nonchè alla demolizione di tutte le opere, costruzioni e manufatti realizzati su terreno di proprietà dell’attrice, di cui al mappale (OMISSIS) sia al rilascio nella piena disponibilità attorea del predetto mappale. 4) – Dichiara l’inammissibilità della domanda di garanzia e manleva proposta dalla convenuta nei confronti della terza chiamata.

3. L’appello della signora R.P. veniva respinto con condanna alle spese nei confronti della Immobiliare Dosso Quattro e compensazione nei confronti della Immobiliare Dosso Sei.

4. Impugna tale decisione la signora R.P., che formula sei motivi. Resistono con controricorso la Dosso Sei in liquidazione, la Dosso Quattro e la signora V.G.L.. La ricorrente e la signora V.G.L. hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A. Preliminarmente va dichiarata inammissibile l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata avanzata dalla ricorrente (fg. 26) ai sensi dell’art. 373 c.p.c., posto che l’istanza doveva essere proposta alla Corte di appello di Milano.

B. I motivi del ricorso.

1. Col primo motivo si deduce: Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Vizio di ultra/extrapetizione – Violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5 – La richiesta della parte attrice, proposta nel corso del giudizio di primo grado, di rilascio dell’area oggetto di causa, era inammissibile perchè “domanda nuova”. Il Tribunale aveva considerato la domanda di rilascio dell’area non già una domanda nuova, come tempestivamente eccepito, ma la conseguenza, meglio precisata ma senza “quid novi”, delle risultanze dell’accertamento di confine. La Corte di appello interpretando erroneamente l’art. 112 c.p.c. e le norme di diritto sostanziale invocate dalle parti, ha ritenuto che non via sia vizio di ultra o extra petizione, in quanto tra l’azione di rivendica e quella di regolamento dei confini non vi sia incompatibilità concettuale. Era stato chiesto il regolamento dei confini, il Giudice ha disposto l’arretramento del muro costruito dalla Sig.ra R.P..

2. Col secondo motivo si deduce: “Violazione dell’art. 112 c.p.c., – vizio di ultra/extrapetizione – Il Giudice ha accolto un’azione di rivendica, invero mai proposta dalla parte attrice in primo grado. Il problema non era quello delle distanze tra costruzioni, ma quello di un ipotetico sconfinamento ai danni della proprietà Immobiliare Dosso Quattro. Era stato prospettato uno sconfinamento, senza però implicare alcuna violazione di norme in materia di distanze tra le costruzioni, posto che non vi è nessuna costruzione riferibile alla parte attrice.

3. Col terzo motivo si deduce: “Violazione degli artt. 191 c.p.c. e segg. e art. 940 c.c., comma 3. L’inutilizzabilità della CTU – Omessa motivazione – L’omessa valutazione delle eccezioni difensive della sig.ra R.P.”. Sia il Tribunale che la Corte di appello hanno posto a fondamento della loro decisione la disposta CTU, che presentava molti aspetti carenti e contraddittori, ampiamente indicati dalla ricorrente e che la Corte di appello non ha considerato, essendosi limitata ad affermare di aver esaminato l’elaborato peritale prodotto in primo grado, ritenendolo corretto, senza minimamente entrarvi nel merito.

4. Col quarto motivo si deduce: Violazione dell’art. 878 c.c.. L’inapplicabilità nella fattispecie della disciplina in materia di distanza tra le costruzioni – Omessa motivazione. Si trattava di un muro di cinta, funzione questa prevalente rispetto a quella di contenimento. Il muro aveva prevalente funzione estetica e in nessun punto detto muro supera l’altezza di tre metri. Mancava, quindi, anche l’altezza minima, uno dei presupposti operativi richiesti dal codice civile per l’applicabilità della normativa sulle distane tra le costruzioni (cfr. art. 878 c.c.).

5. Col quinto motivo si deduce: “Violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 2058 c.c., comma 2. Era stato chiesto, in via subordinata, l’applicazione del disposto dell’art. 2058 c.c., comma 2, ma il Tribunale aveva ritenuto inapplicabile tale norma, vertendosi in materia di diritti reali, senza considerare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale tal tipo di pronuncia si rende però ammissibile allorchè sia lo stesso attore “danneggiato” a chiedere la condanna per equivalente (Cassazione civile, sent. 1, 29 ottobre 1997, n. 10694). La Corte di appello non ha considerato tale tesi, essendosi limitata ad affermare che letto l’atto di citazione in primo grado nonchè i successivi atti difensivi della Immobiliare Dosso Sei Srl, non rileva alcuna richiesta esplicita, da parte di questa, circa una possibile e alternativa condanna per equivalente dei danni subiti.

6. Col sesto motivo si deduce: “Violazione o falsa applicazione degli artt. 83, 84, 167 e 269 c.p.c. – Sulla richiesta della sig.ra R.P. di essere garantita e manlevata dalla Immobiliare Dosso Sei s.r.l. – La sussistenza dei poteri processuali in capo al difensore che ha effettuato la chiamata di terzi. Il primo giudice ha dichiarato inammissibile la richiesta di garantita e manleva proposta dall’esponente nei confronti della Immobiliare Dosso Sei s.r.l., rigettando quindi la pretesa, per ragioni legate ad una presunta irregolarità nella procura alle liti, ovvero perchè la procura alle liti rilasciata al difensore non prevedeva espressamente la facoltà, per quest’ultimo, di chiamare in causa terzi. La chiamata in causa era invece ampiamente giustificata dall’ampio resoconto della vicenda storica contenuto nella comparsa di risposta del 20.12.2000, nella quale si dava atto delle ragioni per cui si rendeva necessario coinvolgere nel procedimento già in corso anche un soggetto terzo. Inoltre, la chiamata in causa si era difesa nel merito accettando il contraddittorio.

C. La motivazione della Corte di Appello.

Appare opportuno richiamare i passaggi motivazionali della sentenza impugnata, utili con riguardo ai motivi articolati.

1. Sulla violazione dell’art. 112 c.p.c..

La Corte locale riassume come segue il motivo di appello. L’appellante sottolinea come parte attrice in primo grado si fosse limitata a promuovere un’azione di mero accertamento circa la determinazione del confine chiedendo, quindi, la sola condanna all’arretramento del manufatto illegittimo. Nessuna richiesta veniva formulata con riferimento al rilascio dell’area e, nonostante ciò, tale aggiunta è stata ritenuta dal Tribunale di Como quale legittima conseguenza delle risultanze dell’accertamento del confine. L’appellante ritiene che non si debba confondere l’azione di mero accertamento con l’azione di condanna e che il Giudice avrebbe, in tale situazione, chiaramente violato l’art. 112 c.p.c. (perchè ha deciso non nei limiti della domanda) e l’art. 183 c.p.c., comma 5, (per aver pronunciato oltre i limiti della domanda originariamente proposta). L’appellante sostiene, altresì, che il Giudice avrebbe richiamato, a supporto della sua decisione, principi non applicabili al caso concreto. Parte attrice aveva promosso azione di rivendica e non un’azione di regolamento confini, sostenendo ipotetico sconfinamento ai danni della proprietà Immobiliare Dosso Quattro e non delineando un problema delle distanze tra costruzioni. Il Giudice avrebbe errato nel discutere della distanza tra costruzioni perchè mancherebbe, nel caso di specie, un decisivo presupposto applicativo, ovvero almeno due fabbricati. Tali situazioni configurano vizi di ultralextrapetizione, dunque, la nullità della sentenza impugnata.

1.1 – La Corte di appello sul punto ha così motivato. Tra l’azione di regolamento di confini e l’azione di rivendica non sussiste incompatibilità concettuale, tanto che la prima viene configurata come una “vindicatio incertae partis” e può contenere, implicitamente o esplicitamente, la richiesta di restituzione della porzione di terreno che, in conseguenza dell’accertamento e della determinazione del confine tra i fondi, dovesse risultare indebitamente inclusa nel fondo del convenuto. L’azione di rivendica e quella di regolamento di confini si distinguono fra loro, in quanto mentre con la prima l’attore, sull’assunto di essere proprietario della cosa e di non averne il possesso, agisce contro il possessore o il detentore per ottenere il riconoscimento giudiziale del suo diritto dominicale e per conseguire la restituzione della cosa stessa (conflitto fra titoli), con la seconda tende soltanto a far accertare l’esatta linea di confine di demarcazione fra il proprio fondo e quello del convenuto, allegandone l’oggettiva incertezza, oppure contestando che il confine di fatto corrisponda a quello indicato nei rispettivi titoli di acquisto, cosicchè l’eventuale richiesta di restituzione di una porzione di terreno a confine si pone come mero corollario dell’invocato accertamento (conflitto fra fondi), (Cass. n. 1446/1996). Alla luce di quanto chiesto da parte attrice in primo grado e quanto deciso dal Giudice non si rileva, dunque, una pronuncia che vada oltre l’oggetto del giudizio, dal momento che le conclusioni dell’attore in primo grado riguardano sia la determinazione dei confini sia la condanna alla demolizione di tutte le opere, costruzioni e manufatti realizzati su terreno di proprietà dell’attrice. Il Giudice, orientandosi in relazione a quanto chiesto da parte attrice, si è, dunque, ben pronunciato, determinando i confini tra le proprietà e condannando altresì la Sig. R.P. a arretrare il terrapieno e il relativo muro di contenimento nonchè a demolire tutte le opere, costruzioni e manufatti realizzati sul terreno di proprietà della Immobiliare Dosso Quattro srl. I supposti vizi di ultra/extra petizione richiamati dall’appellante non sono altro che la conseguenza logica delle domande e delle richieste formulate in giudizio e rispetta in pieno il principio della corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato.

2. Sulla CTU e sulla determinazione del confine.

La Corte locale riassume come segue il motivo di appello.

L’appellante ritiene che siano molti gli aspetti carenti e contraddittori dell’elaborato peritale e che la Sig. R.P. aveva già posto in evidenza in primo grado. Il perito avrebbe individuato la linea di confine sulla base di elementi insussistenti, quale la mappa catastale ritenuta da egli stesso del tutto inattendibile. Non avendo il CTU potuto accertare quale fosse la linea di confine, anche tutte le altre conseguenti valutazioni non possono essere accettate.

2.1 – La Corte locale sul punto ha così motivato. La Corte, esaminato l’elaborato peritale prodotto in primo grado, ritiene questo corretto. Il Geometra G.L., ha risposto, infatti, in modo coerente al quesito formulato dal Giudice e ha proceduto alla delimitazione e ricostruzione dei confini in modo rigoroso, secondo le regole suggerite in materia dalla giurisprudenza, utilizzando i più moderni e sofisticati strumenti diagnostici-conoscitivi (come rilievi celeri/flettici e aereofotogrammetrici), vista e valutata preliminarmente l’utilità di tutti i documenti ai fini della consulenza richiesta, nonchè le mappe catastali.

3. Sulla disciplina normativa applicabile.

La Corte locale riassume come segue il motivo di appello.

L’appellante ritiene che il Giudice avrebbe dovuto respingere le avversarie pretese dichiarando non applicabile nel caso concreto la normativa in tema di distanze ex art. 873 c.c., perchè carente dei presupposti di fatto. Il Giudice avrebbe, invece, dovuto riconoscere applicabile al caso l’art. 938 c.c., per due ragioni fondamentali, ovvero, in quanto nella controversia si discute su un muro di cinta e in quanto tale muro non può qualificarsi quale costruzione, perchè da quanto emerge nella relazione del CTU in nessun punto tale muro supera i 3 metri. L’appellante ritiene altresì come il CTU abbia errato nel considerare applicabile il regolamento attuale sulle distanze, poichè quando è stato realizzato l’intervento oggetto di causa era in vigore un differente e precedente regolamento che nulla dice sulle distanze tra le costruzioni.

3.1 – La Corte locale sul punto ha così motivato.

La Corte fa presente innanzitutto come in tema di muri di cinta tra fondi a dislivello, qualora l’andamento altimetrico del piano sia stato artificialmente modificato, deve ritenersi che il muro di cinta abbia la funzione di contenere un terrapieno creato “ex novo” dall’opera dell’uomo, e vada, per l’effetto, equiparato a un muro di fabbrica, come tale assoggettato al rispetto delle distanze legali. Secondo la giurisprudenza del tutto prevalente il muro di sostegno di un terrapieno, in quanto costituente vera e propria costruzione ai fini delle distanze legali, deve considerarsi come muro di fabbrica e non come muro di cinta a norma dell’art. 878 c.c.. Nel caso de quo è pacifico come il terrapieno sia stato costruito ex novo, dunque, sia artificiale. Tale requisito rende tale terrapieno qualificabile come costruzione in senso tecnico-giuridico. Il muro che assolve in modo permanente e definitivo anche alla funzione di contenimento di un terrapieno creato dall’opera dell’uomo di conseguenza, pur se inferiore di 3 metri e con due facce isolate, va qualificato come muro di fabbrica e, dunque, assoggettato alla disciplina delle distanze. Considerata; dunque, la qualificazione del terrapieno artificiale e del relativo muro di contenimento quali costruzioni, la Corte ritiene che il Giudice di primo grado abbia correttamente applicato una distanza di tali costruzioni dal confine di 5 metri. Come emerge dalla nota prot. (OMISSIS) del 9.9.2006 del Sindaco del Comune di (OMISSIS) (richiesta in seguito a supplemento istruttorio disposto dal Giudice di primo grado con ordinanza), prima dell’attuale P.R.G. era in vigore il regolamento edilizio e allegato Programma di Fabbricazione, che, per quanto attiene alle distanze delle costruzioni dal confine, rinviava a una tabella dei tipi edilizi, in cui la distanza minima era fissata in mt. 5,00 ovvero quella prevista altresì dalla normativa vigente. E’ chiaro come sia il CTU sia il Giudice di primo grado non abbiano applicato al caso la disciplina di cui all’art. 873 c.c., di cui non si fa alcuna menzione nè nell’elaborato peritale nè nella sentenza impugnata, e abbiano calcolato le distanze, non tra due costruzioni, ma del terrapieno artificiale e del muretto di contenimento dal confine. L’eventuale applicazione dell’accessione invertita ex art. 938 c.c., così come richiesto dagli appellanti, è eccezionale e condizionato dall’esistenza di un duplice presupposto, ovvero, la buona fede dell’occupante e che il proprietario del terreno occupato richieda la proprietà della costruzione o la sua rimozione ex art. 936 c.c.. Non essendosi verificato nulla di tutto ciò risulta verificatosi nel corso del giudizio di primo grado, si deve escludere l’applicabilità dell’art. 938 c.c., al caso. Ritenendo, quindi, corretta l’apposizione del confine, così come individuata dal CTU, e definendo il terrapieno artificiale e il relativo muro di contenimento quali costruzioni, risulta evidente come anche l’arretramento di queste, disposto dal Giudice di primo grado, a una distanza di 5 metri dal confine, così come previsto nel PRG, risulti corretto e fondato. Il terrapieno artificiale e il muro di contenimento, oltre che parzialmente sulla proprietà dell’Immobiliare Dosso Quattro srl, risultano, altresì, in posizione irregolare rispetto alle disposte distanze legali previste delle costruzioni al confine.

4. Sull’applicabilità al caso di specie dell’art. 2058 c.c., comma 2.

La Corte locale riassume come segue il motivo di appello.

La Sig. R.P. insiste sull’applicabilità al caso di specie dell’art. 2058 c.c., comma 2, già richiesta in primo grado e ritenuta dal Giudice non applicabile nell’ipotesi in cui si faccia valere un diritto reale. Tale limitazione non sarebbe prevista espressamente dalla Legge. Il Giudice non avrebbe tenuto conto dell’ammissibilità di tale disposizione qualora, come nel caso in questione, lo stesso attore “danneggiato” avesse chiesto la condanna per equivalente”.

4.1 – La Corte locale sul punto ha così motivato.

La Corte, letto l’atto di citazione in primo grado, nonchè i successivi atti difensivi della Immobiliare Dosso Sei srl, non rileva alcuna richiesta esplicita, da parte di questa, circa una possibile e alternativa condanna per equivalente dei danni subiti. L’appellata, invece, chiede, che in caso di rigetto delle sue domande, la convenuta venga condannata in via equitativa ai danni subiti per i fatti dedotti in causa. Va confermato il rigetto delle domande ex art. 2058 c.c., comma 2.

5. Sulla carenza dei poteri processuali in capo al difensore per la domanda di garanzia e manleva.

La Corte locale riassume come segue il motivo di appello. L’appellante Sig.ra R.P. contesta la declaratoria di inammissibilità della richiesta di garanzia e manleva proposta dalla stessa R.P. nei confronti della Immobiliare Dosso Sei srl, basata sull’irregolarità della procura alle liti, ovvero, perchè tale procura non prevedeva espressamente la facoltà, per il difensore, di chiamare in causa i terzi. Sarebbe chiaro che l’appellante voleva conferire al procuratore anche il mandato di chiamare in causa il temo, dato che nella comparsa di risposta si dava ampio resoconto della vicenda storica e delle ragioni per cui si riteneva necessario coinvolgere nel procedimento già in corso anche un soggetto terzo, cioè l’Immobiliare Dosso Sei srl, che si era espressamente impegnata a manlevare e garantire l’esponente da una pretesa del tipo avanzata dall’attore”.

5.1 – La Corte locale sul punto ha così motivato.

La Corte ritiene che la chiamata in causa di un terzo a titolo di garanzia e manleva sia nulla se effettuata da procuratore sfornito di apposita procura alle liti. I poteri del procuratore circa la chiamata in causa del terzo sono ben esercitati e sono contenuti nei limiti del mandato quando rimangano immutati l’oggetto della lite e il contenuto della domanda che s’intende proporre contro il terzo, mentre si ha eccesso di mandato se si introduce una nuova e distinta controversia eccedente l’ambito della lite originaria. Ricorre questa seconda ipotesi qualora il procuratore di chi sia stato convenuto in giudizio chiami in causa, senza mandato specifico, un terzo in manleva, in forza di un contratto (V. Cass. n. 20825 del 29/09/2009). E’ pacifico tra le parti, e confermato anche in sentenza di primo grado, come nell’atto di costituzione e risposta del 20.12.2000 la procura conferita dalla convenuta nei confronti della terza chiamata, si riferisca unicamente alla difesa del giudizio promosso dall’attrice e non a quello promosso dalla convenuta alla terza chiamata. Il mandato alla lite conferito al difensore, nell’atto di costituzione e risposta, non lo abilita sulla base del solo contenuto dell’atto a cui si riferisce la procura, a introdurre un diverso e più ampio rapporto rispetto alla causa principale.

D. Il ricorso è fondato e va accolto quanto al sesto motivo, risultando infondati gli altri.

1. Il primo motivo è infondato. Non vi è stata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.. La corte d’appello ha ampiamente e condivisibilmente chiarito (vedi punto C, numeri 1 e 1.1) la distinzione concettuale tra le due azioni, escludendo la violazione dedotta sulla base delle seguenti osservazioni: Alla luce di quanto chiesto da parte attrice in primo grado e quanto deciso dal Giudice non si rileva, dunque, una pronuncia che vada oltre l’oggetto del giudizio, dal momento che le conclusioni dell’attore in primo grado riguardano sia la determinazione dei confini sia la condanna alla demolizione di tutte le opere, costruzioni e manifatti realizzati su terreno di proprietà dell’attrice. Il Giudice, orientandosi in relazione a quanto chiesto da parte attrice, si è, dunque, ben pronunciato, determinando i confini tra le proprietà e condannando altresì la Sig. R.P. a arretrare il terrapieno e il relativo muro di contenimento nonchè a demolire tutte le opere, costruzioni e manufatti realizzati sul terreno di proprietà della Immobiliare Dosso Quattro srl. I supposti vizi di ultra/extra petizione richiamati dall’appellante non sono altro che la conseguenza logica delle domande e delle richieste formulate in giudizio e rispetta in pieno il principio della corrispondenza tra il richiesto e il pronunciato.

La ricorrente non fa che riproporre le considerazioni già svolte in appello e fondatamente disattese in quel grado.

2. Parimenti infondato è il secondo motivo che, sotto altro profilo, deduce ancora la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Valgono le osservazioni svolte con riguardo al primo motivo salvo il richiamo ai punti pertinenti della motivazione della corte d’appello riportati al punto C. Si tratta di interpretazione della domanda adeguatamente motivata dalla corte d’appello.

3. E’ infondato il terzo motivo. Non sussistono nè le violazioni dedotte, nè il vizio di motivazione. Il motivo nella sostanza si traduce in una critica alla c.t.u., inammissibile in questa sede, risultando la motivazione della corte d’appello (vedi punto C, numeri 2 e 2.1), pur stringata, sufficiente a dar conto dell’avvenuta piena cognizione da parte della corte locale delle argomentazioni del c.t.u., alla luce anche delle osservazioni delle parti. Il tutto specie a fronte della mancata riproduzione, in violazione del principio dell’autosufficienza, dei pertinenti passi della c.t.u. oggetto di critiche e dei rilievi a suo tempo svolti.

4. E’ ancora infondato il quarto motivo. La corte d’appello ha ampiamente, chiaramente e condivisibilmente argomentato in ordine alla qualificazione del muro di confine e alle ragioni delle sue conclusioni (vedi al riguardo il punto C, numeri 3 e 3.1).

5. E’ infondato il quinto motivo circa la mancata applicazione dell’art. 2058 c.c., trattandosi anche in questo caso di interpretazione delle domande formulate, adeguatamente motivata (vedi punto C, numeri 4 e 4.1). Nella sostanza la Corte di appello ha ritenuto che in mancanza di espressa richiesta, non potesse diversamente pronunciarsi.

6. E’ invece fondato il sesto motivo.

Con la procura a margine della comparsa di costituzione e di risposta in primo grado, la signora R.P. ha conferito testualmente “ogni più ampia facoltà inerente il mandato”. Come correttamente esposto nel motivo, fin da tale atto era stata chiarita la volontà della parte di difendersi rispetto all’azione proposta e di rivalersi, ove soccombente, nei confronti della sua dante causa.

Tanto è sufficiente per ritenere conferito il mandato anche ai fini della relativa chiamata in causa, in ciò applicandosi il condiviso principio affermato al riguardo da Cass. SU n. 4909 del 2016.

E. La sentenza impugnata va cassata con riguardo al motivo accolto e rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che valuterà nel merito la domanda della signora R.P. nei confronti della Dosso Sei srl, regolando anche le spese del giudizio.

PQM

La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata con riguardo al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2017

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