Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8909 del 14/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 14/04/2010), n.8909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19729-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAVOUR

221, presso lo studio dell’avvocato FABBRINI FABIO, che la

rappresenta e difende; giusta mandato a margine del controricorso;

P.F., V.T., elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA GIOVANNI DETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato

BROCHIERO MAGRONE FABRIZIO, che le rappresenta e difende, giusta

mandato a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 413/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 21/06/2005 r.g.n. 713/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega SALVATORE TRIFIRO’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi al Tribunale di Lecco, quale giudice del lavoro, i nominativi in epigrafe indicati avevano chiesto l’accertamento della nullità del termine apposto ai seguenti contratti di lavoro intercorsi con Poste Italiane s.p.a.:

quanto a P.F., per il periodo dal 1 ottobre 2001 al 31 gennaio 2002 per “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi” ai sensi dell’art. 25 del C.C.N.L. del 2001;

per il periodo dal 3 giugno al 31 agosto 2002, ai sensi della vigente normativa, “per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”;

quanto a V.T., per il periodo dal 5 ottobre 1998 al 31 gennaio 1999, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, ai sensi dell’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del C.C.N.L. del 26 novembre 1994;

quanto a S.R.: per i periodi dal 3 giugno al 31 ottobre 1999 e da 4 febbraio al 29 febbraio 2000, per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”, ai sensi dell’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del C.C.N.L. del 26 novembre 1994;

con la conseguente conversione dei relativi rapporti a tempo indeterminato e quindi con la condanna della società a riammettere in servizio i lavoratori ricorrenti, pagando loro le retribuzioni perdute.

Dopo la riunione dei vari procedimenti, la Corte d’appello di Milano ha confermato, con sentenza depositata il 21 giugno 2005, la decisione del Tribunale, relativamente all’accoglimento delle domande di declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro, di condanna della società a riammettere i lavoratori in servizio e a risarcire loro i danni, riformandola unicamente in punto di decorrenza di tali danni, stabilita dalla Corte d’appello dalle date di costituzione in mora della datrice di lavoro creditrice della prestazione anzichè dalla data di scadenza del termine.

Avverso tale sentenza, la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi, illustrati poi con memoria ex art. 378 c.p.c..

Alle domande della società hanno resistito con controricorso S.R. e con altro controricorso P.F. e V.T..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso, relativo alle posizioni di V. e S., la società deduce il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

In proposito, la ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione, laddove la Corte territoriale, pur riconoscendo che alle ipotesi aggiuntive di possibile apposizione di un termine al contratto di lavoro, individuate dai contratti collettivi a norma della L. n. 56 del 1987, art. 23 non si applicano i principi riferito alle ipotesi tipicizzate previste dalla L. n. 230 del 1962, art. 23 anche in ragione del fatto che la L. del 1987 effettuerebbe in proposito una delega in bianco alla contrattazione collettiva, avrebbe poi contraddittoriamente affermato che la validità delle assunzioni a termine per la causale prevista dall’accordo del 1997, integrativo dell’art. 8 del C.C.N.L. del 1994 sarebbe condizionata dalla necessaria esistenza di un limite temporale di efficacia dell’ipotesi pattizia.

2 – Col secondo motivo, anch’esso relativo alle posizioni delle due lavoratrici indicate, la società denuncia la violazione della L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2 della L. 28 gennaio 1987, n. 56, art. 23.

Il motivo investe, sotto i profili indicati, l’assunto già censurato col precedente motivo.

3 – Col terzo motivo, la società deduce la violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 1362 e segg. c.c. nonchè il vizio di motivazione, laddove i giudici di appello avevano individuato alla data del 30 aprile 1998 il termine finale di efficacia della causale utilizzata per apporre un termine ai contratti di lavoro di V. e S., con ciò facendo erronea applicazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e interpretando con motivazione illogica alcuni verbali di intesa sindacale.

4 – Il quarto motivo di ricorso è esplicitamente relativo alla posizione della P. e con riguardo al contratto stipulato per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’Introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002”.

Trattasi pertanto del secondo contratto di lavoro della P., concluso, secondo la ricorrente ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1. In proposito la società deduce la violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 e il vizio di motivazione, laddove la sentenza aveva ritenuto generica l’indicazione delle ragioni dell’apposizione del termine indicate nel contratto. Infatti la norma di legge dispone unicamente che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivò”, e alla stregua di essa sarebbe sufficientemente specifica la causale indicata nel contratto, mentre la sentenza non avrebbe spiegato le ragioni per le quali non l’ha ritenuta tale.

5 – Col quinto motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1 e degli artt. 1418, 1419 e 1457 c.c. nonchè il vizio di motivazione, laddove la Corte territoriale aveva ritenuto di riconnettere alla violazione del D.Lgs. n. 368, art. 1 la nullità della sola clausola appositiva del termine anzichè dell’intero contratto.

6 – Con l’ultimo motivo, la ricorrente deduce il vizio di motivazione della sentenza nonchè la violazione degli artt. 2094, 2099, 1206, 1207 e 1217 cod. civ., in relazione alle conseguenze economiche tratte dalla ritenuta nullità del termine.

Secondo la ricorrente, infatti, correttamente la Corte territoriale avrebbe affermato il principio che il pagamento delle retribuzioni decorre dalla offerta formale della prestazione da parte del lavoratore, ma poi avrebbe applicato in maniera erronea tale principio, in quanto una offerta siffatta non sarebbe rinvenibile nelle lettere di richiesta di svolgimento del tentativo di conciliazione, come invece da essa ritenuto, con violazione altresì delle regole della corrispettività delle prestazioni.

I primi tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono di per se irrilevanti i primi due e infondato il terzo.

Essi riguardano unicamente le posizioni dei resistenti V. e S., i cui contratti sono stati stipulati nella vigenza della L. n. 230 del 1962 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 sulla base di quanto previsto dall’art. 8 del C.C.N.L. del 26.11.94, come integrato dall’accordo sindacale del 25 settembre 1997.

Nonostante l’erronea affermazione della sentenza, per cui la posizione di un termine di efficacia sarebbe connaturale alla causale individuata, sulla base dell’autorizzazione contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 da tale ultimo accordo e utilizzata nei contratti esaminati nei motivi in questione, ciò non comporta l’accoglimento del ricorso, in quanto la Corte territoriale ha poi comunque individuato negli accordi attuativi del 1997 e 1998 citati in sentenza, l’imposizione di un termine alla causale relativa alle esigenze legate alla ristrutturazione aziendale, rilevando che tale termine è scaduto il 30 aprile 1998.

In proposito, va ricordato che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata, quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti.

Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063).

Quanto al tipo di contrattazione collettiva autorizzata a tale ampliamento, la L. n. 56, citato art. 23 si esprime in termini di “apposizione di un termine … consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.

Nel caso in esame, come ricordato anche dalla ricorrente, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali, era stata introdotta nel testo dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23) il caso di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Inoltre, in pari data, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle condizioni legittimanti la stipula del contratto a termine per affrontare il processo di ristrutturazione e con successivi accordi attuativi avevano accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998.

Orbene, con numerose sentenze questa Corte suprema (cfr., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866, 28 novembre 2008 n. 28450 e 20 marzo 2009 n. 6913), decidendo in ordine a fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, ha ripetutamente confermato, con orientamento ormai consolidato, le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati in base alla previsione di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997 e cassato le poche decisioni di segno opposto.

Pur negando, sulla base della considerazione dell’autonomia delle ipotesi aggiuntive la cui previsione è affidata ai contraenti collettivi indicati, la necessità che quella di cui all’accordo in questione debba essere istituzionalmente contenuta in limiti temporali predeterminati, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito secondo cui, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data e ai successivi accordi attuativi sottoscritti in data 16 gennaio 1998 e in data 27 aprile 1998, le parti avevano convenuto di limitare il riconoscimento della sussistenza della situazione descritta nell’accordo integrativo unicamente fino al 31 gennaio e poi fino al 30 aprile 1998, per cui, per far fronte alle esigenze in tale sede indicate, l’impresa poteva procedere ad assunzioni di personale con contratto a tempo determinato unicamente fino al 30 aprile 1998, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati successivamente a tale data.

Tale uniforme giurisprudenza di questa Corte ha infatti rilevato che siffatta interpretazione:

– non viola il canone ermeneutico che rimanda al significato letterale degli accordi, laddove questo è stato valutato dai giudici di merito come evidente ed univoco e quindi non necessitante di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti;

– è comunque rispettosa del canone di cui all’art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, in quanto ritenendo che gli accordi attuativi non avrebbero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, essi risulterebbero privi di un qualunque utile effetto;

– appare altresì corretta laddove ha ritenuto irrilevante, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga e quindi quando il diritto del lavoratore alla stabilità del rapporto si era già perfezionato.

Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nelle difese della ricorrente sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti (ancorchè non intesi nel caso di specie in senso tecnico, trattandosi della interpretazione di contratti collettivi di diritto comune, il cui controllo in sede di legittimità non è diretto, come poi stabilito per le sentenze depositate successivamente al 1 marzo 2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 e art. 27, comma 2), sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

La decisione impugnata, relativa all’accertata illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro delle appellate V. e S. per la causale indicata, si sottrae pertanto alle censure svolte dalla ricorrente, sopra riassunte, in quanto stipulata successivamente alla data del 30 aprile 1998.

Sia il quarto che il quinto motivo di ricorso investono invece la posizione della P..

Il primo di tali due motivi riguarda unicamente il secondo contratto a termine da lei stipulato con la società, come già rilevato.

Non è stata invece censurata la sentenza per quanto riguarda la dichiarazione giudiziale di mullità del termine apposto al primo contratto a tempo determinato della P., stipulato per la causale relativa ad “esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”.

Il relativo accertamento è quindi divenuto definitivo, con conseguente inammissibilità, per difetto di interesse, del motivo in esame, in quanto relativo ad contratto a termine successivo.

Il quinto motivo, in quanto relativo alla pretesa violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, è legato al quarto e ne segue pertanto la sorte, investendo logicamente solo la pronuncia sul secondo contratto a termine della P., senza menzionare in alcun modo il primo.

In ogni caso, sull’argomento delle conseguenze della nullità del termine nel regime di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, questa Corte ha avuto modo recentemente di rilevare (cfr. Cass. 21 maggio 2008 n. 12985) che l’art. 1 di tale decreto, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39 ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Con la conseguenza, condivisa da questo collegio, che la nullità del termine o la insussistenza delle relative ragioni giustificative determina l’istaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatoli nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005.

Infine anche il sesto motivo di ricorso, comune a tutti e tre gli intimati, è infondato.

I giudici di merito, con una valutazione di fatto ad essi riservata e censurabile in sede di legittimità unicamente per vizi di motivazione, hanno infatti accertato che gli atti di richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione contenesse l’intimazione alla società di ricevere la prestazione di lavoro offerta.

Un tale accertamento è qui contestato dalla società solo genericamente, col richiamo di condivisibili pronunce di questa Corte concernenti la decorrenza dei danni da risarcire (normalmente nella misura delle retribuzioni perdute) dal momento della formazione della mora credendi, si sensi dell’ari. 1217 c.c. ma senza indicare in maniera specifica il vizio motivazionale ritenuto e senza riprodurre il contenuto dell’atto valutato dai giudici come espressivo della indicata intimazione, a confutazione di un tale giudizio.

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso va respinto, con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di giudizio, come operato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare ai resistenti le spese di questo giudizio, liquidando quelle di S. in Euro 53,00 per spese ed Euro 2.000,00, oltre accessori, per onorari e quelle degli altri due controricorrenti in Euro 27,00 per spese ed Euro 2.500,00 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010

 

 

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