Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8908 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. I, 18/04/2011, (ud. 23/03/2010, dep. 18/04/2011), n.8908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3981/2009 proposto da:

D.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 3563/07 V.G. della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

del 13/02/08, depositato il 12/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2010 dal Presidente Relatore Dott. GIUSEPPE SALME’;

è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

si riporta alla memoria.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che D.P.M. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 3.2.2000, deciso con sentenza del 10.7.2007;

che la Corte d’appello, con decreto del 12.4.2008, fissava la durata ragionevole del giudizio di primo grado in anni tre e liquidava per il periodo eccedente Euro 750,00, per anno di ritardo, quindi complessivi Euro 3.329,00, dichiarando le spese compensate, poichè, in applicazione del principio di causalità, restava escluso che l’Amministrazione potesse essere condannata alle stesse, non essendosi opposta e non avendo in alcun modo provocato dette spese;

che per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso il D. P. affidato a 10 motivi con i quali, nei primi otto motivi, è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 2, art. 1 e art. 6, par. 1 CEDU) , in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti:

a) “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?¯ (primo motivo).

b) in ordine alla quantificazione del danno: se il periodo da considerare ai fini dell’equa riparazione sia soltanto quello eccedente il termine di ragionevole durata, ovvero debba aversi riguardo all’intera durata del giudizio (secondo e quarto motivo) e sul mancato riferimento all’intera durata del giudizio il decreto sarebbe carente e viziato nella motivazione (terzo motivo); “una volta accertato il diritto all’equo indennizzo, lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00-1.500,00?” (quinto motivo) e sulla mancata applicazione di detto parametro il decreto sarebbe carente nella motivazione (sesto motivo); spetterebbe un’ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00) trattandosi di materia previdenziale, come stabilito dalla CEDU e su questa domanda la Corte d’appello non si è pronunciata (settimo motivo), incorrendo in difetto di motivazione (ottavo motivo);

che con i motivi 9 e 10 si denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e art. 132 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti: “in ipotesi di mancata opposizione della PA e di accoglimento della domanda deve seguire la condanna alle spese di lite?” (motivo 9) e la Corte non avrebbe motivato in ordine alla disposta compensazione ed alla dichiarazione di irripetibilità delle spese del giudizio, erroneamente pronunciate motivo 10);

che ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze;

che il P.G. ha depositato memoria con la quale chiede che il ricorso sia trattato in pubblica udienza ovvero sia accolto, ovvero sia rimessa alla Corte costituzionale la questio di illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella parte in cui consentirebbe l’adozione di criteri di quantificazioni del danno difformi da quelli seguiti dalla Corte EDU, che commisura la riparazione all’intera durata del processo presupposto.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che il ricorso appare in parte manifestamente infondato e in parte manifestamente fondato in relazione ai costanti orientamenti giurisprudenziali seguiti da questa Corte e che pertanto correttamente è stato trattato in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che la questione di costituzionalità sollevata dal p.g. appare manifestamente infondata per le ragioni ampiamente illustrate in precedenti decisioni (10145/2009, 1354/2008, 23844/2007, 15103/2006) dalle quali non si ritiene di doversi discostare;

che i primi otto motivi possono essere esaminati congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi e debbono essere dichiarati manifestamente infondati; che, relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent.

n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla legge n. 89/2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, ma che siffatto dovere opera, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 e, qualora ciò non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale, deve investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, restando dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria;

che, relativamente alla quantificazione del danno, va affermato che.

secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuità, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo;

per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 4572 del 2009;

n. 11566 del 2008 e n. 1354 del 2008);

che i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo;

che resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia. Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed hanno quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali, ma che,tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008); il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus – qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 3812 del 2009; n. 18012 del 2008);

che il danno non patrimoniale deve essere quantificato in applicazione di detto parametro, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 3812 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 6898 del 2008);

che il decreto ha liquidato, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, una somma pari ad Euro 750,00 per anno di ritardo, in considerazione della mancata proposizione di istanze sollecitatorie, condotta non illogicamente assunta come sintomatica del non rilevante interesse per la causa e che, pertanto a fronte di tale congrua e sufficiente motivazione, il ricorrente si è limitato a svolgere argomenti standardizzati e stereotipati, non in grado di dimostrare la sussistenza dei presupposti per liquidare un importo più elevato, omettendo di indicare quali elementi specifici e concreti, dedotti nella fase di merito, avessero indicato a tal fine (in punto, tra l’altro, della sua situazione economico-patrimoniale);

che i motivi 9 e 10 possono essere esaminati congiuntamente, perchè logicamente connessi, sono solo in parte manifestamente fondati;

che, infatti, premesso che va ribadito che la L. n. 89 del 2001, non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui agli artt. 3 e 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito (Cass. n. 3812 e n. 3810 del 2009) e che pertanto, i mezzi sono manifestamente infondati nelle parti in cui sostengono che nel giudizio di equa riparazione non potrebbe essere disposta la compensazione delle spese processuali, da ritenersi ammissibile ed attribuita al potere discrezionale del giudice del merito, che può disporla nel caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano altri giusti motivi; la relativa motivazione è censurabile in questa sede ex art. 360 c.p.c., n. 5, ed il relativo vizio sussiste quando le argomentazioni del giudice del merito si palesino del tutto carenti o insufficienti, ovvero illogiche, incongruenti o contraddittorie;

che, tuttavia, nella specie, il decreto ha dichiarato compensate le spese poichè, in applicazione del principio di causalità, restava escluso che l’Amministrazione potesse essere condannata alle stesse, non essendosi opposta e non avendo in alcun modo provocato dette spese e che siffatta ragione è al tempo stesso erronea, dacchè il giudizio di equa riparazione è stato “causato” dall’apparato giudiziario dei cui comportamenti risponde per scelta legislativa la Presidenza del Consiglio dei ministri (Cass. n. 27728/2009) mentre è, anche, illogica, poichè la contumacia di chi è stato convenuto in giudizio, da sola, non può essere ritenuta giusto motivo di compensazione delle spese affrontate dall’attore (Cass. n. 29407 del 2008; n. 2389, n. 2384, n. 775 del 2009);

che in relazione alle censure accolte il decreto deve essere cassato nella parte concernente le spese; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito, disponendo la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze alle spese del giudizio di merito, mentre le spese della fase di legittimità potranno essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, tenuto conto del parziale accoglimento della domanda, mentre la residua parte potrà seguire la soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta i motivi da uno a otto, accoglie i motivi 9 e 10, nei limiti di cui in motivazione, cassa il provvedimento impugnato limitatamente ai motivi accolti e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna l’amministrazione controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida in Euro 840,00 (Euro 480,00 per onorari e Euro 310,00 per diritti) e, previa compensazione fino a due terzi, in Euro 400,00 per il giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi, Sezione Prima Civile, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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