Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8907 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/05/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 14/05/2020), n.8907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25446-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GENNARO DI

MAGGIO;

– ricorrente –

Contro

R.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO 19,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CALO’, rappresentato e

difeso dagli avvocati CARLO PAOLO BREVI, GIORGIO DIPIETROMARIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4614/2017 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 03/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 06/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Torino con la ordinanza del 5.7.2018 pronunciata ex art. 348 bis c.p.c., dichiarava inammissibile l’appello proposto da Agenzia delle Entrate Riscossione avverso la sentenza n. 4614/17 con la quale il Tribunale di Torino aveva dichiarato prescritto il credito relativo alle cartelle di pagamento impugnate da R.N.. La Corte territoriale aveva ritenuto il gravame privo di una ragionevole probabilità di essere accolto, stante la consolidata giurisprudenza in materia (per tutte Cass. SU n. 23397/2016).

Avverso detta decisione l’Agenzia delle Entrate Riscossione, succeduta ad Equitalia nord spa, proponeva ricorso affidato a un motivo, cui resisteva con controricorso R.N..

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

L’Agenzia delle entrate Riscossione depositava successiva memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con unico motivo l’Agenzia ricorrente si lamenta della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., della L. n. 335 del 1995, art. art. 3, commi 9 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo censura la decisione di intervenuta prescrizione del credito che la corte territoriale ha fondato sulla decisione delle Sezioni Unite n. 23397/2016. A riguardo parte ricorrente deduce che la decisione affronta solo il problema della applicabilità dell’art. 2953 c.c., e quindi della prescrizione decennale conseguente solo in caso di sentenze passate in giudicato, decreti ingiuntivi non opposti e non riguarda invece altri titoli aventi natura esecutiva quale quello in esame.

Il motivo è infondato proprio alla luce di quanto affermato da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 23397/2016, secondo cui “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 333 del 1993, art. 3, commi 9 e 10), in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2933 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di “giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (del D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L n. 122 del 2010).”. Le argomentazioni di cui al ricorso non valgono a scalfire le ragioni di cui alla motivazione della pronuncia n. 23397/2016 (qui da intendersi richiamata anche ai sensi dell’art. 118 c.p.c., comma 1), e che ha trovato conferma in innumerevoli successive pronunce (da ultimo Cass. n. 23418 del 27 settembre 2018 e per tutte). Peraltro vale ricordare che l’affidamento in riscossione, ai sensi di legge e secondo le modalità previste per le imposte dirette (L. n. 576 del 1980, art. 18, comma 5, seconda parte, in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973) comporta, per un verso, la preposizione del concessionario quale adiectus solutionis causa (art. 1188 c.c.), e per altro verso assume i contenuti propri del mandato, con rappresentanza ex lege, a compiere quanto necessario perchè il pagamento possa avvenire, in forma spontanea, oppure anche a dare corso alle azioni esecutive secondo la disciplina propria dell’esecuzione forzata speciale (Cass. n. 27218 del 26 ottobre 2018) e non certo una novazione soggettiva dell’originaria obbligazione.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile trattandosi di ricorso vertente su questioni sulle quali esiste un orientamento consolidato della Corte rispetto al quale non sussistono ragioni per discostarsì (Cass. n. 7155/2017; conf. Cass. n. 4366/2018). Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nei confronti dell’Inps liquidate in Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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