Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8907 del 06/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 06/04/2017, (ud. 20/02/2017, dep.06/04/2017),  n. 8907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25331/2014 proposto da:

O.C., elettivamente domiciliata in Roma, Viale Mazzini

n.41, presso l’avvocato Sepiacci Fabrizio Maria, rappresentata e

difesa dall’avvocato Tramuta Antonino, giusta procura in calce al

ricorso;

-ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento di (OMISSIS) S.a.s. (OMISSIS), S.I.L.A.

S.p.a.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1435/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 16/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/02/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato Bonsignore Raffaele, con delega,

che si riporta;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Su istanza del curatore del fallimento della (OMISSIS) sas (OMISSIS), il Tribunale di Sciacca, in data 9-14 maggio 2013, ha dichiarato il fallimento anche della signora O.C., nella qualità di socia accomandataria.

2. Investita del reclamo proposto dalla signora O.C. – la quale, innanzitutto, ha eccepito la necessaria sospensione del procedimento ex art. 295 c.p.c., in attesa della decisione del ricorso per cassazione relativo alla sentenza che aveva regolato l’insolvenza della sola società, nonchè i vizi relativi alla mancata notificazione del ricorso di fallimento della società (e del pedissequo decreto) ad essa socia accomandataria, in violazione della L. Fall., art. 147, comma 3, e art. 15, oltre che la mancata autorizzazione da parte del GD all’estensione del fallimento sociale nei suoi confronti – la Corte d’appello di Palermo l’ha respinto ed ha regolato le spese.

2.1. La Corte territoriale ha escluso che nel caso esaminato ricorressero i presupposti per la sospensione necessaria atteso che la sentenza sul fallimento della società era già stata pronunciata e che, in relazione alla medesima, non fosse necessario il suo passaggio in giudicato.

2.2. Secondo il giudice distrettuale, inoltre, la nomina di un Amministratore giudiziario non poteva determinare, come conseguenza, lo scioglimento del rapporto sociale e la cessazione della responsabilità illimitata della socia accomandataria.

2.3. Infine, per quanto nuova in appello, l’eccezione di mancata assistenza di un difensore per il curatore presente, ma non costituito nel giudizio di estensione del fallimento del socio illimitatamente responsabile, era anche infondata in quanto il curatore, in casi siffatti, non necessiterebbe dell’autorizzazione del giudice delegato, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (riferimento a Cass. n. 12947 del 2014), cosicchè risultava assorbita anche la censura relativa alla costituzione del giudice collegiale nel cui ambito che non risultava perciò incompatibile quello delegato al fallimento della società.

3. Contro tale decisione la signora O., premesso il riepilogo dei mezzi di cassazione richiesti con l’altro ricorso (n. 21124 del 2014) proposto contro la pronuncia di appello relativa al fallimento della società, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, il primo articolato su tre profili di doglianza, illustrati con memoria.

4. La curatela fallimentare non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo profilo del primo mezzo (Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 147 e art. 295 c.p.c., inesistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento della signora O.), la ricorrente si duole della conferma della dichiarazione di fallimento di essa socia accomandataria nel difetto del giudicato relativo alla dichiarazione di fallimento della società.

2. Con il secondo profilo del motivo mezzo, la ricorrente lamenta la contraddittorietà della sentenza resa sul suo reclamo perchè, da un lato, avrebbe ritenuto regolarmente costituita la società con l’amministratore giudiziario e, da un altro, avrebbe dichiarato il fallimento di un socio accomandatario privo del potere di rappresentanza e perciò, inevitabilmente, privo di tale qualità fin dal momento dell’adozione del provvedimento di sequestro penale. Ma la contraria tesi (quella della mancanza della qualità), sostenuta dalla Corte a quo, avrebbe dovuto comportare la necessità di convocare la società per il tramite del socio accomandatario.

3. Con il terzo profilo del detto mezzo, la ricorrente censura la confermata dichiarazione di insolvenza, senza rilevare che essa risalirebbe al periodo in cui la socia non era più responsabile dell’amministrazione sociale e dei relativi pagamenti.

4. Con il secondo motivo (Violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 31 e 25 e art. 82 c.p.c., mancanza di autorizzazione a stare in giudizio al curatore fallimentare per la proposizione della domanda di estensione e di assistenza tecnica nel relativo giudizio e vizio di costituzione del giudice che ha autorizzato, trattato e deciso la richiesta del fallimento in estensione), la ricorrente lamenta l’omessa considerazione della pronuncia della Cassazione n. 10732 del 2013 che, all’opposto di quanto affermato da altra pronuncia del 2014, renderebbe obbligatoria l’autorizzazione da parte del GD alla proposizione della domanda del fallimento in estensione, ai sensi della L. Fall., art. 147.

5. Il primo profilo del primo mezzo di cassazione censura la sentenza in quanto avrebbe dichiarato il fallimento di essa socia accomandataria nel difetto del giudicato relativo alla dichiarazione di fallimento della società.

5.1. La doglianza è infondata, vigendo semmai l’opposto principio di diritto, in quanto la dichiarazione di fallimento per ripercussione del fallimento della società, consegue come posterius logico-giuridico alla dichiarazione di fallimento della società partecipata (o già partecipata) dal socio, “la cui esecutività in via provvisoria, disposta dalla L. Fall., art. 16, comma 2, non è suscettibile di sospensione, in considerazione della finalità della procedura fallimentare, diretta a privilegiare gli interessi generali dei creditori rispetto all’interesse del debitore” (Sez. 1, Sentenza n. 13100 del 2013); infatti, gli effetti della dichiarazione del fallimento sociale, semmai potranno “essere rimossi, sia quanto alla determinazione dello “status” di fallito e sia quanto agli aspetti conservativi che al medesimo si ricollegano, soltanto col passaggio in giudicato della successiva sentenza di revoca resa in sede di opposizione, mentre anteriormente a tale momento può provvedersi, in via esclusivamente discrezionale, alla sospensione dell’attività liquidatoria, principi su cui non hanno inciso le riforme del 2006 e del 2007.”.

6. Il secondo profilo è, del pari, infondato essendo stata la ricorrente correttamente convocata in sede prefallimentare relativa all’estensione del fallimento sociale, sulla base del dichiarato fallimento della società partecipata, oggetto di un separato e distinto ricorso, onde la censura tende a mescolare e sovrapporre le distinte questioni, che invece vanno trattate separatamente.

7. La terza censura contenuta nel primo mezzo di cassazione riguarda l’affermata insolvenza ad un periodo in cui la socia non era più responsabile dell’amministrazione sociale e dei relativi pagamenti.

7.1. Ma anche tale censura non ha pregio in quanto, è principio consolidato e risalente quello secondo cui il fallimento del socio illimitatamente responsabile, ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 147 è un effetto del fallimento della società, a cui non è di ostacolo nemmeno il recesso di detto socio, “quando l’insolvenza della società riguardi obbligazioni contratte anteriormente al recesso stesso” (Sez. 1, Sentenza n. 4399 del 1978).

7.2. Per poter far escludere la propria responsabilità illimitata di socio, la ricorrente avrebbe dovuto allegare (con modalità autosufficienti) e dimostrare che l’insolvenza della società aveva attinenza ad obbligazioni non assunte da se stessa ma da altri non già che la società – come sostiene – è stata da ultimo amministrata da altri (fatto inidoneo a farne escludere la responsabilità in sede fallimentare).

8. Con il secondo mezzo si lamenta la ricorrente del fatto del curatore, il quale avrebbe agito senza l’assistenza di difensore nella richiesta di fallimento e senza l’autorizzazione del giudice delegato che, se – come si dice – l’avrebbe autorizzato implicitamente, non avrebbe potuto far parte del collegio che ha dichiarato il fallimento.

8.1. Anche tale mezzo è infondato e va respinto, alla luce del principio di diritto enunciato da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 12947 del 2014), a cui va data piena continuità, secondo cui “per la promozione del fallimento in estensione il curatore non necessita dell’autorizzazione del giudice delegato atteso che, a seguito del notevole ridimensionamento del ruolo del giudice delegato operato dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, la decisione di agire o di resistere in giudizio non può più configurarsi come frutto di una scelta sostanzialmente a questi spettante, ma deve, al contrario, ritenersi una scelta del curatore, rispetto alla quale l’autorizzazione del giudice testimonia l’avvenuto controllo della legittimità (e non anche del merito) dell’iniziativa, evidentemente non necessaria allorchè detta iniziativa sia doverosa e la legittimazione del curatore sia già espressamente prevista dalla legge, come appunto nell’ipotesi disciplinata dalla L. Fall., art. 147, comma 4″.

8.2. In ogni caso, ove anche dovesse ritenersi come implicitamente data al curatore l’autorizzazione alla richiesta di fallimento del socio in estensione, da parte del GD, non potrebbero trarsi le conseguenze pretese dalla ricorrente, in difetto di un’istanza di ricusazione che non risulta nè allegata nè proposta.

8.2.1. Infatti, come ha precisato questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 24866 del 2014), ” la partecipazione del giudice delegato al collegio chiamato a decidere in ordine al reclamo avverso un suo provvedimento non può dar luogo ad una nullità deducibile in sede di impugnazione, ma, al più, ad un’incompatibilità che deve essere fatta valere mediante l’istanza di ricusazione, da proporsi nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c.”, con la conseguenza che la detta incompatibilità a far parte del collegio chiamato a decidere sulla domanda di estensione del fallimento “non determina una nullità deducibile in sede di impugnazione” in quanto tale incompatibilità non escludendo la potestas iudicandi del predetto giudice – “può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24718 del 2015).

9.In conclusione, il ricorso, del tutto infondato, deve essere respinto senza che sia necessario provvedere sulle spese di lite, non avendo la curatela svolto attività difensiva e dovendosi solo affermare la sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

Respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di cassazione, dai magistrati sopra indicati, il 20 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2017

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