Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8903 del 14/05/2020

Cassazione civile sez. II, 14/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 14/05/2020), n.8903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20354-2019 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO n. 9,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositata il

30/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.F., cittadino (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di aver lasciato l’Egitto a causa di una diatriba tribale insorta per l’attribuzione dell’eredità del nonno: poichè gli zii volevano impossessarsi anche della parte di beni spettante alla sua famiglia, avevano aggredito la madre e la sorella del richiedente, picchiandole, ed avevano distrutto la loro abitazione; il ricorrente, reagendo nel corso di un litigio, aveva spinto lo zio che, caduto dalle scale, era rimasto paralizzato; i familiari dello zio avevano quindi cercato di uccidere il S., il quale era fuggito dal suo Paese alla volta della Libia, prima, e dell’Italia, poi.

Si costituiva il Ministero resistendo al ricorso ed invocandone il rigetto.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso ritenendo insussistenti i requisiti previsti per il riconoscimento di una delle forme di tutela invocate.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto S.F. affidandosi a cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Il ricorrente ha depositato memoria fuori termine.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, perchè il Tribunale calabrese non avrebbe adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria, escludendo la sussistenza, in Egitto, di un pericolo generalizzato senza considerare l’incapacità dello Stato di far fronte alle lotte tribali ed alle violente faide che le caratterizzano. A sostegno di detta incapacità il ricorrente cita una fonte secondo cui, nel maggio 2016, il Tribunale penale della città di (OMISSIS), nell’Alto Egitto, avrebbe condannato alcune persone per aver preso parte ad una faida tribale che aveva cagionato 28 morti ad (OMISSIS).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non credibile la storia riferita dal richiedente la protezione, nonostante essa fosse avvalorata da una denuncia presentata alla polizia egiziana, allegata in copia agli atti del giudizio di merito.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, perchè il primo giudice avrebbe omesso di svolgere gli accertamenti istruttori ufficiosi sulla situazione interna dell’Egitto, senza avvalersi delle informazioni desumibili dalle cd. fonti privilegiate.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), perchè il giudice di merito avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, valorizzando a tal fine le informazioni tratte da una fonte irlandese, senza tener conto delle diverse risultanze dei report pubblicati dalle associazioni impegnate nella tutela dei diritti umani, quali Amnesty International e Arab Network for Human Rights. Inoltre il Tribunale non avrebbe considerato che “… la zona di provenienza del ricorrente, (OMISSIS), si trova a nord dell’Egitto e quindi nell’orbita del conflitto presente nella penisola del Sinai, a cui fa cenno lo stesso giudice. Appare quindi ancor più evidente la totale assenza di indagine del giudice sulla zona di provenienza del ricorrente” (cfr. pag. 15 del ricorso, al termine del quarto motivo).

Con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, art. 2 Cost., artt. 3 e 8 C.E.D.U., perchè il Tribunale avrebbe erroneamente negato anche la protezione umanitaria, senza considerare le sistematiche violazioni dei diritti umani e la compressione delle libertà fondamentali degli individui normalmente perpetrate in Egitto, in conseguenza delle quali mancano, in quel Paese, “… le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale” (cfr. pag. 18 del ricorso).

Le censure, che meritano un esame congiunto, sono fondate.

Il decreto impugnato infatti dà conto dell’articolata narrazione fornita dal ricorrente (cfr. pagg. 2 e 3), dalla quale si ricava – tra l’altro – che lo stesso ha dichiarato che i suoi familiari avevano inutilmente denunciato varie volte le violenze subite alla polizia, senza esito. Elenca poi i documenti prodotti dal ricorrente nel giudizio di merito (pag. 3, in fondo), ed in particolare una denuncia sporta alla polizia egiziana in data (OMISSIS) e una lettera di un avvocato. Descrive la situazione interna dell’Egitto, sulla base delle informazioni ricavate dalle fonti consultate (pagg. 4-7) evidenziando in altro punto della decisione che, secondo le notizie tratte da una informativa diffusa dal Refugee Documentation Center of Ireland il 2.4.2019, la sola zona interessata da operazioni antiterrorismo sarebbe quella del Sinai (cfr. pag. 13). Evidenzia quindi alcune discrasie relative al racconto e al contenuto della denuncia prodotta dal richiedente (cfr. pagg. 10 e 11) e, sulla base di detti rilievi, ritiene la stessa non idonea a corroborare la narrazione del richiedente e quest’ultimo in generale inattendibile, per difetto di coerenza interna della sua storia, e ritiene per tale motivo superflua l’attivazione dei poteri istruttori ufficiosi per la verifica della coerenza esterna (cfr. pag. 11). Valorizza poi il fatto che il S. non avesse fornito alcun elemento a sostegno della sua esposizione al rischio o della pericolosità della zona di origine (cfr. pag. 12, in fondo) ed esclude, sulla base di non meglio individuate “notizie disponibili”, l’esistenza di un contesto di violenza indiscriminata nel Paese di origine del richiedente la protezione (cfr. pag. 13, in apertura). Passa infine ad esaminare la domanda tesa ad ottenere la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, che rigetta perchè il ricorrente avrebbe allegato alcuna condizione di vulnerabilità in caso di rientro in patria.

La valutazione di inattendibilità del S. risulta in sostanza fondata su due elementi: alcune contraddizioni nella storia riferita, rispettivamente, in sede amministrativa e giudiziale; le discrasie riscontrate dal Tribunale in relazione al contenuto della denuncia depositata dal ricorrente predetto nel corso del giudizio di merito.

In relazione al primo aspetto, si osserva che in realtà le contraddizioni valorizzate dal giudice calabrese o non sono tali o cadono su elementi secondari della storia. Il fatto che il ricorrente abbia dichiarato di aver difeso la madre dalle minacce subito minacce dallo zio, spingendolo giù dalle scale e procurandogli una infermità permanente, mentre nella denuncia si trovi scritto che lo zio aveva minacciato il padre di morte, potrebbe facilmente spiegarsi alla luce della dichiarazione del S., riportata dal giudice di merito a pag. 3 del decreto impugnato, secondo cui i suoi familiari “Hanno denunciato tante volte ma la polizia non fa niente”, il che lascia intendere che la faida riferita dal richiedente non si sia risolta in un solo episodio. Stesso dicasi per la circostanza, riferita dal S. solo in occasione dell’audizione giudiziale, per cui lo zio lo avrebbe minacciato sparando un colpo in aria: trattasi infatti di un dettaglio che non contraddice, ma al massimo specifica la storia, arricchendola di un particolare ulteriore. Nè sussiste alcuna contraddizione tra la dichiarazione che lo zio abbia sparato in aria un colpo per minacciarlo e quella secondo cui i cugini del richiedente gli avrebbero a loro volta sparato, posto che – come già detto – la faida, per sua stessa natura, si articola in una serie di diversi episodi, l’uno dei quali non esclude necessariamente l’altro, a meno che non sussistano incongruenze temporali o spaziali tali da comportare un rapporto di necessaria esclusione tra i due fatti, il che nella specie (alla luce degli elementi desumibili dalla decisione impugnata) non appare.

Non è invece corretta l’affermazione secondo cui il S. non avrebbe fornito “le motivazioni sottese all’accadimento descritto” (cfr. pag. 10 del decreto impugnato), posto che il richiedente aveva, al contrario, dichiarato di esser stato coinvolto in una faida tribale, occorsa tra due rami della sua famiglia, in relazione alla successione del nonno. Trattasi di spiegazione sufficiente a contestualizzare i fatti e dar conto delle motivazioni a sostegno della lite in atto.

Irrilevante è invece il fatto che il S. abbia prima indicato la data dell’incidente allo zio verso la metà di giugno 2014 e poi invece il 14 aprile 2014, poichè dallo stesso decreto si evince che il richiedente, interpellato sul punto – “Alla commissione aveva detto che il fatto era successi a giugno, come mai?” – ha risposto dichiarando “Come dicevo, non mi ricordavo le date al cento per cento. Poi ho avuto i documenti e mi sono ricordato meglio” (cfr. pag. 3 del decreto). Dichiarazione, questa, che appare coerente con quella, ulteriore e sempre riportata in apertura di pag. 3 del decreto, secondo cui “Quando sono andato a Crotone, era la prima volta che facevo domanda di asilo, non sapevo quali documenti portare. Ora ho dei documenti della polizia egiziana, ma ancora non sono riuscito a farli tradurre. Appena riesco ad avere la traduzione li manderò”. Da un lato, quindi, la decisione valorizza dettagli secondari, dai quali non è possibile inferire alcun giudizio di inattendibilità posto che il Tribunale non evidenzia che essi si collochino in aperto e frontale contrasto con altri dettagli della stessa storia. Dall’altro lato, il giudice di merito omette di considerare che, alla luce del senso complessivo delle dichiarazioni del S., le predette incongruenze dimostrano l’intenzione di quest’ultimo di collaborare con l’Autorità, nel rispetto dei doveri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, ed al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 11.

Del pari non convince il rilievo relativo all’inverosimiglianza che l’abitazione del richiedente possa esser stata devastata in soli 15 minuti dai familiari dello zio: anche ammesso che la violenza sia durata per un intervallo temporale superiore, anche questo è un dettaglio assolutamente secondario. Inoltre, trattandosi di episodi di violenza collocati nel contesto di una faida tribale, è ipotizzabile che all’episodio abbiano preso parte numerose persone, il che rende possibile che la devastazione sia stata perpetrata anche in un intervallo temporale minimo.

Anche con riferimento al secondo aspetto – relativo alle incongruenze riscontrate nella denuncia – il giudice di merito dà rilievo a fatti secondari, quali la circostanza che il ricorrente abbia prima dichiarato che la denuncia era stata presentata dal padre, poi da tutti i membri della famiglia, ed infine da lui e dal padre insieme, alla presenza di altri membri della famiglia. In presenza del documento, infatti, l’esame avrebbe dovuto concentrarsi su di esso, e non sulle dichiarazioni del S., che peraltro ancora una volta sembrano mostrare solo imprecisioni secondarie, che non minano il cuore essenziale della storia riferita, oggettivamente confermata anche dalla denuncia di si discute.

In ogni caso, anche volendosi ammettere la rilevanza dei vari elementi evidenziati dal Tribunale (nessuno dei quali, ad avviso del Collegio, appare decisivo), il giudice di merito avrebbe potuto e dovuto attivare i propri poteri istruttori ufficiosi e richiedere le opportune informazioni al fine di verificare l’autenticità del documento prodotto dal richiedente e la sua effettiva riferibilità alla storia personale del predetto.

Ritenere, al contrario, inattendibile il ricorrente, in assenza della prova certa della sua reticenza o (peggio) della produzione, da parte sua, di documenti non conferenti alla storia riferita, non può essere ritenuto coerente con il dovere di cooperazione istruttoria previsto a carico del giudice di merito nei procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria.

Con riferimento invece alla valutazione relativa alla coerenza esterna della storia, che è stata erroneamente ritenuta superflua dal giudice di merito a fronte della non credibilità del richiedente, occorre precisare che il precedente di questa Corte richiamato dal decreto impugnato (Cass. Sez. 6-1 Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018 Rv. 649697) non è pertinente. Esso infatti si riferisce al ricorso proposto da un cittadino del Senegal che aveva abbandonato il Paese per recarsi in Gambia ed era poi fuggito da questa seconda nazione per recarsi in Libia prima, ed in Italia poi. Avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale erano stati proposti tre motivi di ricorso, i primi due dei quali relativi alla mancata valutazione, da parte del giudice di merito, della condizione interna del Gambia, ed il terzo invece all’omessa considerazione, ai fini del riconoscimento della tutela umanitaria, anche del periodo di detenzione sofferto dal richiedente in Libia. In quel caso questa Corte ha ritenuto di rigettare i primi due motivi, sul presupposto che la tutela internazionale (nelle sue due articolazioni dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria) si riferisce al Paese di cittadinanza del richiedente, e non invece ad uno Stato diverso; e di respingere altresì il terzo motivo, sul presupposto che “… l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce, infatti, motivo sufficiente anche per negare la protezione di cui trattasi, che deve ovviamente poggiare su specifiche e plausibili ragioni di fatto (Cass. 27438/2016), legate alla situazione concreta e individuale del richiedente (Cass. 4455/2018, par. 7)”. E’ evidente che il riferimento alla “intrinseca inattendibilità del racconto” va contestualizzata con riferimento al caso concreto, in cui – come detto – il ricorrente aveva invocato la protezione allegando la mancata considerazione del contesto interno di un Paese diverso da quello di provenienza.

Nel caso che qui viene in rilievo, invece, il S. non ha lamentato la mancata considerazione del contesto interno di un Paese diverso da quello di origine, ma ha censurato l’omesso svolgimento, da parte del giudice di merito, della valutazione di coerenza esterna della sua storia alla luce del contesto locale esistente in Egitto, e nella zona del Sinai in particolare. In tal senso, la doglianza coglie nel segno: il giudice calabrese, infatti, non ha condotto alcun esame sul punto, ma ha ritenuto superfluo procedere alla verifica di coerenza esterna in considerazione del giudizio generale di inattendibilità della storia fornita dal richiedente; giudizio che, tuttavia, non si fondava sul fatto che fosse stato indicato un Paese diverso da quello di effettiva provenienza – come nel precedente erroneamente valorizzato dal giudice territoriale – bensì a fronte del rilievo di incongruenze interne al narrato.

In proposito, va precisato che il giudice di merito può soprassedere all’esame della coerenza esterna della storia soltanto quando ritenga che il racconto del richiedente la protezione sia totalmente inattendibile, in quanto riferito ad un contesto territoriale diverso da quello di provenienza o di radicamento del richiedente stesso; in ogni diverso caso in cui il racconto sia ritenuto incoerente per contraddizioni o carenze intrinseche della narrazione, invece, il giudice di merito ha il dovere di esaminarne in modo specifico anche la coerenza esterna, al fine di verificare se esso sia credibile alla luce della condizione effettiva del Paese di provenienza del richiedente.

Sul punto occorre precisare che il giudice di merito, pur indicando l’unica fonte consultata (un report del Refugee Documentation Centre of Ireland) non dà conto, nella motivazione del decreto impugnato, della specifica informazione tratta dalla predetta fonte e ritenuta rilevante ai fini della decisione: a tal fine, infatti, non è sufficiente la mera indicazione della fonte, ma occorre ribadire che “Il riferimento, operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle cd. fonti informative privilegiate, va interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887; negli stessi termini, Cass. Sez. 1, Ordinanze n. 13450, 13451 e 13452, tutte del 17/05/2019, non massimate; nonchè Cass. Sez, 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, essa pure non massimata). Nel caso di specie, la decisione impugnata non soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa, pur indicando la fonte in concreto utilizzata dal giudice di merito, non specifica il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da essa e non consente quindi alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione.

L’accoglimento delle censure, nei sensi di cui in motivazione, comporta la cassazione della decisione impugnata ed il rinvio della causa al Tribunale di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Catanzaro, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2020

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