Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8902 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. I, 18/04/2011, (ud. 23/03/2010, dep. 18/04/2011), n.8902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3978/2009 proposto da:

D.L., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto R.G. 822/07 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

dell’1.2.08, depositato il 23/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/03/2010 dal Presidente Relatore Dott. GIUSEPPE SALME’.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

si riporta alla memoria.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che D.L. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 28.4.1994, non ancora deciso;

che la Corte d’appello, con decreto del 23.4.08, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre e mesi sei, liquidava, in relazione al danno non patrimoniale, per il periodo eccedente Euro 1.000.00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 9.166,68, con il favore delle spese del giudizio;

che per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso il D.L. deducendo, con i primi cinque motivi, erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001, art. 6, par. 1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) rilevando, in particolare che: a) “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo); b) se il periodo da considerare ai fini dell’equa riparazione sia l’intera durata del giudizio e non solo la parte eccedente il termine di ragionevole durata (secondo motivo) e sul punto il decreto sarebbe viziato nella motivazione (terzo motivo); il giudice non si sarebbe pronunciato sulla domanda volta ad ottenere una ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di materia previdenziale e ciò costituirebbe violazione dell’art. 112 c.p.c. (quarto motivo) e comporterebbe un difetto di motivazione (quinto motivo);

che, con i motivi dal 6^ al 12^ si denuncia violazione dell’art. 6, par. 1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 91 e 92, 112 e 132 c.p.c., della L. L. n. 794 del 1942, art. 24, delle tariffe professionali, nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni, sintetizzate nei quesiti: a) “alla fattispecie concreta e con riguardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)?” (motivo 6 ed 8) e sulla liquidazione delle spese in difformità dalle tariffe applicabili il decreto sarebbe carente nella motivazione (motivo 9); b) “è legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot.

Add. CEDU direttamente applicabile al caso di specie?” (motivo 7); c) “le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attività svolta, alle tariffe professionali vigenti ed alla nota spese?” (motivo 10); d) “può il giudice, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese, diritti ed onorar inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese?” (motivo 11) e sul punto è denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso specifica nella quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in relazione ai diversi scaglioni (motivo 12);

ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze;

che ha resistito con controricorso il Ministero dell’economia e delle finanze;

che il P.G. ha depositato memoria con la quale chiede che il ricorso sia trattato in pubblica udienza ovvero sia accolto, ovvero sia rimessa alla Corte costituzionale la questio di illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2, nella parte in cui consentirebbe l’adozione di criteri di quantificazioni del danno difformi da quelli seguiti dalla Corte EDU, che commisura la riparazione all’intera durata del processo presupposto.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che il ricorso appare in parte manifestamente infondato e in parte manifestamente fondato in relazione ai costanti orientamenti giurisprudenziali seguiti da questa Corte e che pertanto correttamente è stato trattato in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che la questione di costituzionalità sollevata dal p.g. appare manifestamente infondata per le ragioni ampiamente illustrate in precedenti decisioni (10145/2009, 1354/2008, 23844/2007, 15103/2006) dalle quali non si ritiene di doversi discostare;

I motivi relativi ai rapporti tra normativa nazionale e CEDU e alla quantificazione dell’indennizzo, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente infondati perchè: a) va ribadito il principio enunciato dalla Corte costituzionale (sent. n. 348 e n. 349 del 2007) e dalle S.U. (sent.

n. 1338 del 2004), in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea, siffatto dovere operando, entro i limiti in cui detta interpretazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 e, qualora ciò non sia possibile, ovvero il giudice dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale, dovendo investire la Corte costituzionale della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1, restando quindi escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria; b) che, secondo l’orientamento espresso da questa Corte, al quale va data continuità, la precettività, per il giudice nazionale, non concerne anche il profilo relativo al moltiplicatore di detta base di calcolo; per il giudice nazionale è, sul punto, vincolante della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), non incidendo questa diversità di calcolo sulla complessiva attitudine della citata L. n. 89 del 2001 ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo (Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 del 2008 e n. 1354 del 2008);

i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo; che, inoltre, resta escluso che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere una ulteriore somma a titolo di bonus, arbitrariamente indicata in una data entità, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia perchè, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il bonus in questione deve essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed hanno quindi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali ma che,tuttavia, ciò non implica alcun automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Cass. n. 18012 del 2008);

che il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore – anche il succitato bonus- qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul c.d. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 3812 del 2009; n. 18012 del 2008);

che il danno non patrimoniale deve essere quantificato in applicazione di detto parametro, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 3812 del 2009; n. 1630 del 2006), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 6898 del 2008);

che in questi termini sono i principi che possono essere formulati in relazione ai quesiti in esame ed a quelli riferibili alla quantificazione del danno, anche alla luce del parametro della Corte EDU, che sembrano confortare la manifesta infondatezza delle censure, poichè il decreto ha liquidato, a titolo di equa riparazione per il danno non patrimoniale, una somma pari ad Euro 1.000,00 per anno di ritardo, osservando il parametro del giudice europeo e ciò basta a rendere congrua e sufficiente la motivazione; che, a fronte di tale congrua e sufficiente motivazione, il ricorrente si è limitato a svolgere argomenti standardizzati e stereotipati, non in grado di dimostrare la sussistenza dei presupposti per liquidare un importo più elevato, omettendo di indicare quali elementi specifici e concreti, dedotti nella fase di merito, avessero indicato a tal fine (in punto, tra l’altro, della sua situazione economico-patrimoniale);

che i motivi relativi alle spese, da esaminare congiuntamente, perchè logicamente connessi, sono in parte manifestamente inammissibili, in parte manifestamente infondati, in parte manifestamente fondati;

che, in linea preliminare, va evidenziata la manifesta inammissibilità delle censure contenute nei motivi settimo, quanto alla possibilità del giudice di compensazione delle spese (non disposta); e undicesimo, quanto alla riduzione delle voci della nota spese, possibile se tanto risulta dalla applicazione delle norme trattandosi di critiche incongrue, in quanto non correlate alla ratio decidendi del decreto e che in nessun modo tengono conto della fattispecie, ovvero si risolvono in argomentazioni astratte e prive di pertinenza con il caso di specie;

che inoltre, incongruamente è reiterato due volte lo stesso quesito (motivi 6 ed 8) ed è formulato altro quesito avente ad oggetto la sufficienza delle spese liquidate, formulate con modalità del tutto in contrasto con la natura del ricorso per cassazione;

che, relativamente agli ulteriori profili di censura, da ritenere ammissibili, nella parte in cui correlano l’erroneità delle voci di tariffa applicata alla violazione del principio dell’inderogabilità ed al difetto di motivazione, le stesse sono fondate sulla base dei principi di seguito indicati, ed entro i limiti che si precisano, sulla scorta dei principi che qui vanno ribaditi, dando continuità all’orientamento di questa Corte;

che la L. n. 89 del 2001, non reca nessuna specifica norma in ordine al regime delle spese all’esito dello svolgimento del processo camerale di cui all’art. 3, comma 4 e, in virtù del richiamo ivi effettuato, si applicano sul punto le norme del codice di rito, avendo anche il legislatore dimostrato attenzione a questo profilo, esonerando il ricorrente dal contributo unificato (L. n. 89 del 2001, art. 5 bis e, successivamente, D.Lgs. n. 115 del 2002, artt. 10 e 265,) con conseguente manifesta infondatezza della pretesa di liquidazione delle spese processuali secondo gli standard seguiti dalla Corte di Strasburgo (Cass. n. 3812 e n. 3810 del 2009);

che la configurazione del procedimento disciplinato dalla L. n. 89 del 2001 quale procedimento contenzioso comporta l’applicabilità della Tab. A-4 e della Tab.B-1; che, in applicazione di tali principi, la considerazione che il decreto ha liquidato le spese in Euro 550,00, di cui Euro 50,00 per spese, senza neppure indicare la quota per onorari e per diritti, sembra rendere manifestamente fondate le censure, stante la palese mancata applicazione della tariffa per i procedimenti contenziosi;

che il decreto deve essere cassato nel solo capo relativo alle spese e la causa decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, mediante la liquidazione delle spese dovute per il giudizio di merito, in applicazione delle regole sopra indicate, mentre le spese di legittimità possono essere compensate per due terzi, sussistendo giusti motivi, stante il limitato e parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

la corte, rigettati gli altri motivi accoglie i motivi relativi alla liquidazione delle spese, nei limiti di cui in motivazione, cassa il provvedimento impugnato limitatamente ai motivi accolti e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna l’amministrazione controricorrente al pagamento delle spese del giudizio di merito che liquida in Euro 1.500,00 (Euro 850,00 per onorari e Euro 600,00 per diritti) e, previa compensazione fino a due terzi, in Euro 400,00 per il giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi, Sezione Prima Civile, il 23 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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