Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8899 del 06/04/2017


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Cassazione civile, sez. I, 06/04/2017, (ud. 14/12/2016, dep.06/04/2017),  n. 8899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8544-2012 proposto da:

COMUNE DI TRENTO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 11, presso l’avvocato RICHTER

PAOLO STELLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

RICHTER ELENA STELLA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.N., B.C., S.A.,

S.C., F.R., B.L., C.C., C.L.,

I.G., F.G., M.D., C.M.,

V.G., Z.F. E PER ESSO EREDE V.G.,

R.M.T., F.M., CONDOMINIO G., PROVINCIA

AUTONOMA DI TRENTO;

– intimati –

Nonchè da:

M.N. (C.F. (OMISSIS));

B.C. (C.F. (OMISSIS));

S.A. (C.F. (OMISSIS));

S.C. (C.F. (OMISSIS));

F.B. (C.F. (OMISSIS));

B.L. (C.F. (OMISSIS));

C.C. (C.F. (OMISSIS));

C.L. (C.F. (OMISSIS));

V.G. (C.F. (OMISSIS));

anche nella qualità di erede del marito Z.F.;

F.M. (C.F. (OMISSIS));

F.G. (C.F. (OMISSIS));

M.D. (C.F. (OMISSIS));

I.G. (C.F. (OMISSIS));

C.M. (C.F. (OMISSIS));

R.M.T. (C.F. (OMISSIS));

elettivamente domiciliati in Roma VIA AVEZZANA 3, presso l’avv.

Salvatore Di Mattia, che li rappresenta e difende, giusta procura a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

COMUNE DI TRENTO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 11, presso l’avvocato PAOLO

STELLA RICHTER, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ELENA STELLA RICHTER, giusta procura a margine del ricorso

principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS); PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 22/2012 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 19/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Presidente Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato STELLA RICHTER che si riporta

agli atti;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato DI

MATTIA che si riporta al ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del motivo primo e

secondo, inammissibilità del motivo terzo, accoglimento

dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte di appello di Trento, con sentenza del 19 gennaio 2012, ha determinato l’indennità dovuta dal Comune di Trento, M.N., B.C., S.A., S.C., F.R., B.L., C.C., C.L., V.G., anche nella qualità di erede del marito Z.F., F.M., F.G., M.D., I.G., C.M. e R.M.T., per l’espropriazione di un terreno costituente parte del cortile su cui sorgeva il fabbricato di cui erano condomini (condominio (OMISSIS)), ubicato nel locale viale (OMISSIS), in complessivi Euro 52.850,60, oltre accessori osservando: a) che doveva trovare applicazione il nuovo regime introdotto dalla L.P. 1 del 2008, in quanto la controversia alla data della sua entrata in vigore non era stata definita, ma era pendente in sede giurisdizionale per la rideterminazione dell’indennità; b)che si era trattato di espropriazione parziale che aveva arrecato un notevole pregiudizio più che al fabbricato in condominio,al cortile antistante di cui aveva ridotto sensibilmente le funzioni; c) che la diminuzione di valore dell’area residua come accertata dal c.t.u. andava calcolata ai sensi della L.P. n. 6 del 1993, art. 15 bis, mediando il valore delle aree sature con quello delle aree dotate di potenzialità edificatoria secondo i parametri posti dal Reg. att. appr. con D.P.G.P. nn. 24 – 26 del 2009, art. 3.

Per la cassazione della sentenza il Comune ha proposto ricorso per 3 motivi; cui resistono gli espropriati con controricorso, con il quale hanno formulato ricorso incidentale per un motivo.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. A seguito della sentenza 187/2014, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L.P. autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6, art. 13, come modificato dalla L.P. n. 11 del 2006, dall’art. 58, comma 1, poichè determinava l’indennità di espropriazione delle aree non edificabili nella misura del valore agricolo medio che deve essere attribuito all’area quale terreno considerato libero da vincoli di contratti agrari e secondo il tipo di coltura in atto al momento del deposito della domanda di cui all’art. 4, comma 1, i1 Comune ha rinunciato ai primi due motivi del ricorso: con i quali aveva chiesto proprio l’applicazione di detto criterio incostituzionale, costituente altresì nel testo originario dell’art. 14, uno dei due parametri per procedere alla valutazione delle aree edificatorie (allora da calcolare in base “alla media aritmetica fra il valore che le medesime avrebbero in una contrattazione sul libero mercato immobiliare, come quantificato dal servizio espropriazioni, ed il valore agricolo determinato ai sensi dell’art. 13”).

3. Resta il terzo motivo, con cui il comune, deducendo violazione della L.P. n. 6 del 1993, artt. 14 e 15 bis, censura la sentenza impugnata per avere disapplicato il criterio di valutazione proprio delle aree espropriate in quanto: a) pur avendo accertato che nessuna svalutazione aveva subito il fabbricato, rimasto integro, aveva egualmente ravvisato un pregiudizio subito dal cortile antistante rimasto pienamente utilizzabile, come in precedenza ed avente funzione pertinenziale dell’edificio cui accedeva, insieme al quale doveva pertanto essere unitariamente valutato; b) lo aveva incluso nella categoria delle aree di pertinenza intermedia non previste dal regolamento appr. con D.P.P. n. 24 del 2009, e valutato in misura del 65% delle aree libere, superiore a quella massima del 50% ivi prevista per le aree sature o pertinenziali, fra cui rientra la porzione di cortile espropriata.

Per converso, i condomini lamentando diverse violazioni delle medesime norme, nonchè di numerosi precetti costituzionali, si dolgono che la sentenza impugnata: c) pur avendo dato atto che tanto il Servizio espropriazioni quanto le c.t.u. avevano attribuito al terreno espropriato con destinazione edificabile, il valore di Euro 1.100 mq. lo abbiano poi arbitrariamente diminuito del 35%, in tal modo sganciandolo dal suo prezzo commerciale effettivo, ed assegnandogli un valore presuntivo del tutto analogo a quelli dichiarati illegittimi sia dalla Corte Costituzionale, che dalla Corte Edu: secondo le quali invece l’indennizzo deve corrispondere al reale valore venale del bene; d) non abbia perciò disapplicato il regolamento ove interpretato in tali sensi, ovvero in alternativa rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per far dichiarare illegittima l’intera normativa istitutiva di un nuovo criterio mediato avulso dal reale valore commerciale del terreno.

4. Il collegio ritiene infondato il ricorso incidentale, e che invece vadano accolte le cesure di quello principale nei limiti appresso precisati.

La Provincia di Trento, con la citata L. n. 6 del 1993, e succ. mod., ha mantenuto ferma quanto alle linee ed ai principi fondamentali, l’impostazione del T.U. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, sulle espropriazioni, in ordine al procedimento, nonchè ai rimedi amministrativi della rideterminazione dell’indennità ad opera della C.P., e giudiziari della opposizione alla stima, da proporre alla Corte di appello.

Mentre per quanto riguarda la stima dell’indennità, è stata anzitutto recepita la suddivisione degli espropri in totale e parziale (risalente alla L. n. 2359 del 1865) e nell’ambito di ciascuna delle due categorie, anche la regola della ricognizione legale della destinazione dell’immobile unitamente al principio da essa derivato, della prevalenza ed autosufficienza dell’edificabilità legale, tratti ancor prima che del T.U. artt. 32 e 37, L. n. 359 del 1992, art. 5 bis: con conseguente ripartizione degli immobili nelle tradizionali categorie riproposte dal T.U. dei suoli edificabili, non edificabili ed edificati, da individuare anche nella prospettiva della legge provinciale in base a parametri obbiettivi posti dalla legge medesima nonchè dagli strumenti urbanistici.

A questi principi si è attenuta la Corte di appello qualificando “parziale” l’espropriazione di una porzione estesa mq. 38 (ovvero 25, secondo l’ente territoriale) del 1/1 cortile antistante l’edificio in comproprietà fra i condomini del “condominio (OMISSIS)”, posto che per la ricorrenza di detta categoria non è richiesto che la parte rimasta ai proprietari sia meno estesa di quella espropriata, nè tanto meno che si riduca ad un relitto inutilizzabile, come mostra di credere il comune: essendo invece necessaria e nel contempo sufficiente la duplice condizione prevista dalla norma (statale e provinciale), che la parte residua del fondo sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo, tale da conferire all’intero immobile unità economica e funzionale, e che il distacco di una parte di esso influisca, oggettivamente, in modo negativo sulla parte residua (Cass. 18697/2016; 17789/2015; 9541/2012; 22409/2008).

Tale accertamento è stato opportunamente condotto sia dal c.t.u. che dalla sentenza) i quali hanno evidenziato i numerosi elementi comprovanti la ricorrenza di entrambi i presupposti con riferimento a tutte le funzioni assolte dal cortile condominiale (nella parte ovest, in particolare) in epoca antecedente alla espropriazioni, nonchè le numerose limitazioni provocate dall’ablazione sia in ordine alle piazzuole di parcheggio, che alle manovre veicolari ed infine ai percorsi pedonali: perciò concludendo, senza specifiche censure delle parti al riguardo, che il valore unitario del solo cortile (rimasto immutato quello del fabbricato), aveva subito un deprezzamento del 2,5%, da indennizzarsi in base alla L.P. art. 15 bis, (che riproduce sostanzialmente L. n. 2359 del 1865, art. 40, oggi recepito dal T.U., art. 33).

Per evitarne l’applicazione non giova, invero, al comune insistere sulla natura pertinenziale dell’area in questione, invece disconosciuta dai giudici del merito: in quanto questa Corte proprio con riguardo ad espropriazione parziale, limitata alla sola pertinenza di un edificio, ha ripetutamente affermato che, siccome le pertinenze mantengono la propria individualità fisica e giuridica, e sono separatamente indennizzabili, come aree edificabili, se possiedono autonome possibilità di sfruttamento edificatorio, o come aree inedificabili, se interessate da vincolo di inedificabilità, è esclusa l’adozione di un criterio indennitario unico, fondato sulla natura e sul valore della cosa principale (Cass. 16616/2013; 13455/2011; 16980/2006; 7295/2005).

5. La legge provinciale, invece, avvalendosi della sua competenza legislativa primaria nella materia (Corte Costit. N. 187 del 2014 cit.; 90 del 2016), si è discostata dal T.U. in ordine al criterio interno di classificazione/separazione dei suoli nell’ambito della bipartizione legale edificabili ed inedificabili – recepita dal legislatore provinciale, rivolta all’evidenza ad attenuare (cfr. Corte Costit. N. 179/199) le possibili sperequazioni fra proprietari di terreni che la zonizzazione comunale abbia sminuito, assoggettandoli ad utilizzazione pubblicistiche, e quelli di immobili inclusi in zone qualificate edificatorie dai medesimi strumenti urbanistici che, per effetto di questa scelta in luogo di quella opposta si trovano ad essere beneficiari di valori e rendite assai più elevati di quelli sacrificati, ha prescelto (art. 12) anzitutto un parametro di ricognizione diverso e più favorevole ai proprietari espropriandi: incentrato sulla enumerazione e tipizzazione dei terreni inedificabili suddivisi in sole quattro categorie, di ciascuna delle quali sono stati enunciati caratteri e presupposti identificativi; mentre le aree edificabili costituiscono una categoria generale ed atipica nella quale sono incluse tutte “quelle aventi una destinazione urbanistica diversa” dalle 4 tipologie di aree inedificabili. Quindi, siccome tale ripartizione, comunque attuata, comporta altresì che la destinazione solo legale o anche urbanistica ad usi edilizi della zona cui appartiene il fondo, quale presupposto necessario a conferire in astratto la natura edificatoria, deve essere completata dalle condizioni che in concreto inducono a determinarne il valore venale (c.d. “edificabilità di fatto”: Cass. 17442/2011; 13521/2014; 20241/2016; sez. un. 172/2001), la legge provinciale ha inciso anche su quest’ultima in quanto: a) per le zone (o aree) che ricevono dallo strumento urbanistico destinazione “…a servizi ed attrezzature di interesse generale” l’art. 14, onde sottrarle al valore venale proprio delle aree inedificabili,ha opportunamente dettato gli elementi aggiuntivi ritenuti più congrui ad elevarlo ai fini perequativi di cui si è detto: individuandoli (comma 3) nelle “caratteristiche dei terreni”, nel “loro inserimento nel tessuto urbanistico” nonchè “nella destinazione urbanistica dei terreni circostanti”; b) per quanto riguarda, invece le aree edificabili destinate all’edilizia privata ha devoluto “i criteri e le modalità, anche organizzative, per la quantificazione del valore venale” ad un regolamento attuativo (previsto del resto anche T.U., art. 37, comma 5.) che è stato appr. con D.P.P. 24 del 2009; e delegato altresì a “definire specifiche modalità di calcolo per la determinazione del valore venale delle aree a ridotta potenzialità edificatoria, quali la stretta pertinenza e le aree su cui sorgono costruzioni” (nonchè a prevedere forme di indennizzo legate alla diminuzione del valore dell’area non espropriata per effetto dell’espropriazione)”. Il quale nell’art. 3, lett. a) ha preso in considerazione proprio l’ipotesi, che qui interessa, in cui “la superficie da espropriare è parte di un’area satura sulla quale quindi non residua potenzialità edificatoria in base ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici vigenti”,e disposto che in tal caso (come in quello in cui l’area sia destinata a “stretta pertinenza”) i il suo valore venale “non può superare il 50 per cento del valore venale calcolato per la medesima area edificabile, libera e con cubatura pari all’indice medio della zona edificata circostante, se al momento della valutazione estimativa l’area oggetto di espropriazione è compresa in un’area edificata”.

6. Al lume di questo quadro legislativo deve anzitutto escludersi che le disposizioni regolamentari abbiano inteso istituire un criterio di stima riduttivo ed astratto, in contrasto con quello del valore venale di dette aree edificabili posto dalla L.P., art. 14; cui hanno, invece, dato attuazione, come è confermato non solo dall’epigrafe, ma anche del menzionato intero art. 3, comma 1 del Regolamento, in particolar modo rivolgendosi alla c.d. edificabilità di fatto (cfr. T.U. cit., art. 37, comma 5), ed individuando specifici parametri e modalità di calcolo “dell’effettiva edificabilità dell’area espropriata” (comma 3).

Ciò perchè l’edificabilità (attribuita direttamente dalla legge ovvero dagli strumenti urbanistici), come questa Corte ha ripetutamente osservato (Cass. 11741/2006; 16161/2007; 29768/2008; 3753/2012), va da un minimo (tendente a zero) ad un massimo, con una vasta gamma di situazioni quantitative intermedie su cui incide in misura determinante proprio l’edificabilità effettiva – quale attitudine del suolo ad essere sfruttato e concretamente destinato a fini edificatori; e può venir ridotta o addirittura esclusa non soltanto dalle sue caratteristiche morfologiche,ma anche (ed ancor prima) da altre circostanze ostative di fatto a realizzazioni edilizie. Il che avviene esemplificativamente quando le stesse siano precluse dall’insufficiente dimensione dell’area, dall’esaurimento per le costruzioni realizzate, degli indici di fabbricabilità della zona perciò resa “satura”, dalla distanza da opere pubbliche limitrofe, ovvero da costruzioni su fondi vicini, e più in generale da altre condizioni o limiti (posti anche dagli strumenti di terzo livello) che proprio per la carenza del requisito delle “possibilità effettive di edificazione” (L. n. 359 del 1992, del T.U., 11 – 14, art. 5 bis, art. 37, comma 3 L.P.), ne riducono fortemente o addirittura escludono la commerciabilità sul mercato come aree edificatorie (Cass. 7251/2014; 17069/2012; 22961/2007; 16710 e 1739/2003).

Proprio a queste tipologie di aree legalmente edificabili si è rivolto l’art. 3, commi 3 e 6 del Regolamento, prendendo in considerazione (per quanto qui interessa) nel 3 sub a) la fattispecie “di un’area edificata satura, sulla quale quindi non residua potenzialità edificatoria in base ai parametri previsti dagli strumenti urbanistici vigenti” (o sono al più autorizzabili soltanto interventi di recupero al patrimonio edilizio preesistente: Cass. 18680/2005); ed escludendo per le ragioni di cui si è detto, l’assimilazione del loro prezzo commerciale a quello delle aree inedificabili suggerito proprio dalle caratteristiche di tale tipologia di terreni (Cass. 10265/2004), nonchè dal ragionevole legame con il valore di mercato di queste ultime, ne ha invece elevato l’indennizzo “se al momento della valutazione estimativa l’area oggetto di espropriazione è compresa in un’area edificata” in misura che “non può superare il 50 per cento del valore venale calcolato per la medesima area edificabile, libera e con cubatura pari all’indice medio della zona edificata circostante”: perciò sostanzialmente alle stesse attribuendo non un valore ridotto rispetto alle loro caratteristiche reali ed al giusto prezzo di mercato, bensì un plusvalore ai soli fini indennitari da ricercare esclusivamente in base al parametro specificamente individuato, di cui è stato fissato il limite massimo non superabile dalle parti e dal giudice, titolari invece del potere discrezionale di determinarlo all’interno di tale limite.

7. La funzione ed il contenuto del combinato disposto della norma legislativa e di quella regolamentare non sono stati compresi nè dal c.t.u., nè dalla Corte di appello, i quali) dopo avere accertato che l’area cortilizia non poteva essere qualificata “stretta pertinenza”, ma era ubicata “in zona B1 edificata satura, essendo la superficie del lotto già completamente utilizzata ai fini edificatori” (pag. 14 sent.), hanno disapplicato sia le disposizioni L.P. n. 6 del 1993, art. 14, comma 4, che quella contenuta nell’art. 3, comma 4 del Regolamento: per un verso non considerando che la fattispecie accertata era specificamente disciplinata dal precedente comma 3, che era dunque la norma da applicare inderogabilmente nella valutazione del terreno espropriato e di quello residuo, nonchè nel calcolo dell’indice di deprezzamento rispetto ad un terreno libero di pari indice (territoriale) di fabbricabilità.

E per altro verso confondendo le aree di stretta pertinenza di cui al comma 4 con le aree di sedime (Cass. 23238/2014; 8918/2012; 5528/2006), quindi le une e le altre arbitrariamente includendo in una fascia di 5 m. dall’edificio,ed ancor più arbitrariamente contrapponendovi la (istituita) categoria delle “aree intermedie indennizzabili al 65%” (pag.14 sent., 27 controric.; 28 ric.) del tutto estranea alla normativa provinciale: in cui contraddittoriamente è stato compreso il cortile espropriato di cui pure era stato accertato il carattere saturo, con conseguente radicale elusione del regime di stima suo proprio.

Entro questi limiti,la sentenza impugnata va conclusivamente cassata con rinvio del giudizio alla stessa Corte di appello di Trento, che in diversa composizione, provvederà alla rideterminazione dell’indennità di esproprio attenendosi ai principi esposti, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte,dato atto della rinuncia del comune ai primi due motivi del ricorso,accoglie il terzo nei limiti di cui in motivazione, respinge il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Trento,in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2017

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