Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8894 del 14/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 14/04/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 14/04/2010), n.8894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31200-2006 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato COLAPINTO CARLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato D’INNELLA RAFFAELE, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.B.H. CITTA’ DI BARI HOSPITAL S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 32040-2006 proposto da:

C.B.H. CITTA’ DI BARI HOSPITAL S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VULPIS ELIO, giusta

mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.A.;

– intimato –

sul ricorso 894-2007 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato COLAPINTO CARLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato D’INNELLA RAFFAELE, giusta mandato a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.B.H. CITTA’ DI BARI HOSPITAL S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VULPIS ELIO, giusta

mandato a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

sul ricorso 1215-2007 proposto da:

C.B.H. CITTA’ DI BARI HOSPITAL S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VULPIS ELIO, giusta

mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato COLAPINTO CARLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato D’INNELLA RAFFAELE, giusta mandato a margine del

ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3212/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/11/2005 R.G.N. 3639/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO ZAPPIA;

udito l’Avvocato D’INNELLA RAFFAELE;

udito l’Avvocato LUCISANO CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso F. e rigetto del ricorso C.B.H..

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Bari, depositato in data 23.1.2003, F.A., premesso di essere stato assunto dalla società Città di Bari Hospital s.p.a. in data 1.7.2000 con la qualifica di medico assistente fascia (OMISSIS) e di essere stato licenziato in data (OMISSIS) in seguito alla procedura di licenziamento collettivo ex lege n. 223 del 1991, assumeva che il licenziamento era intervenuto in violazione dei criteri fissati dalla citata legge per il mancato rispetto dell’obbligo di informazione statuito dall’art. 4, comma 3, Legge predetta, in carenza dei presupposti legittimanti l’attivazione della procedura prevista, in violazione degli accordi di garanzia in favore del personale stabiliti in sede di acquisizione da parte della società sopra indicata del patrimonio della società Case di Cura Riunite s.r.l. in amministrazione straordinaria, in violazione dei criteri di scelta del personale da licenziare. Chiedeva pertanto che venisse dichiarata la illegittimità o inefficacia dell’intimato licenziamento, con condanna della società alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno della L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Con sentenza in data 4.5.2004 il Tribunale adito accoglieva la domanda, ritenendo la illegittimità della procedura di riduzione del personale.

Avverso tale sentenza proponeva appello la Città di Bari Hospital s.p.a. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo; l’appellato chiedeva il rigetto del gravame e la conferma della sentenza impugnata, spiegando a tal fine anche appello incidentale di cui chiedeva l’accoglimento, ove ritenuto necessario.

La Corte di Appello di Bari, con sentenza in data 15.11.2005, confermava la decisione impugnata compensando tra le parti le spese di giudizio.

Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione il F. con due motivi di gravame; e propone altresì ricorso per cassazione la Città di Bari Hospital s.p.a. con tre motivi di impugnazione.

Entrambe le parti resistono con controricorso, spiegando altresì ricorso incidentale (condizionato, per quel che riguarda il ricorso proposto dal F.).

Entrambe le parti resistono al ricorso incidentale con controricorso.

Il ricorrente F.A. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Preliminarmente va disposta la riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. dei diversi ricorsi perchè proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo di gravame il F. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e segg. c.c. e della L. n. 300 del 1970 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè erronea e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In particolare rileva il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto, in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e delle regole in tema di ermeneutica poste dall’art. 1363 c.c. e segg., che il dispositivo dell’impugnata sentenza esprimesse la condanna della società datoriale al pagamento delle mensilità della retribuzione globale di fatto sino alla data della pronuncia stessa, ossia sino al 4.5.2004; per contro il dispositivo in questione recava la condanna al pagamento delle mensilità suddette sino all’effettiva reintegra, avvenuta solo nell’ottobre del 2006, siccome emergeva tra l’altro dal contenuto della motivazione.

Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè erronea e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In particolare rileva che erroneamente la Corte territoriale aveva disposto la compensazione delle spese del secondo grado del giudizio, con una motivazione apodittica ed indimostrata, nonostante la integrale conferma della decisione di primo grado.

Con il ricorso incidentale proposto la CBH lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 83 c.p.c. in relazione all’asserita validità della procura alle liti apposta a margine dell’appello incidentale, nonchè la nullità della costituzione e dell’appello incidentale per mancata istaurazione di un valido rapporto processuale.

In particolare la ricorrente eccepisce la nullità della procura alle liti apposta a margine della memoria di costituzione in appello con appello incidentale per carenza di contestualità tra procura ed atto processuale cui si riferiva, risultando la redazione dell’atto successiva al mandato, rilasciato quindi a margine di un foglio in bianco; per contro l’art. 83 c.p.c. prevedeva espressamente la specialità e specificità della procura rilasciata a margine di atti tassativamente indicati, talchè era palesemente nulla la procura rilasciata su foglio in bianco.

La predetta società CBH, col primo motivo del gravame dalla stessa autonomamente proposto, lamenta violazione degli artt. 416 e 210 c.p.c., art. 1227 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 18 in relazione all’accertamento dell’aliunde perceptum; omessa ed insufficiente motivazione dell’avvenuto rigetto di due istanze istruttorie dell’appellante, influenti per la decisione della causa; omessa ed insufficiente motivazione dell’avvenuto rigetto di ulteriori tre istanze istruttorie dell’appellante, originaria convenuta, influenti per la decisione della causa.

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato sia la richiesta istruttoria relativa all’esibizione del libretto di lavoro e della dichiarazione dei redditi, sia quella di informativa presso l’Inps e presso l’Ufficio di collocamento al fine di conoscere eventuali avviamenti al lavoro relativi al ricorrente, evidenziando che nel caso di specie non si era trattato di sollecito dell’esercizio dei poteri officiosi del giudice ex art. 421 c.p.c. atteso che l’istanza era stata ritualmente formulata sin dall’atto di costituzione in primo grado ed era stata reiterata nei motivi di appello.

Col secondo motivo di gravame lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in relazione alla pretesa inefficacia del licenziamento collettivo per asserita omessa indicazione dei rimedi alternativi nella comunicazione ex art. 4, comma 3 del 26.11.2001.

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che vi sarebbe stata violazione della norma suddetta in quanto la lettera di avvio della procedura di licenziamento collettivo non conterrebbe i motivi per i quali non sarebbero possibili soluzioni alternative alla riduzione di personale.

Osserva sul punto la ricorrente che la ratio di tale norma è di permettere che la comunicazione abbia quel minimo di concretezza che le consenta di fornire un quadro della situazione aziendale e la renda idonea a costituire un punto di partenza dell’esame congiunto di cui al successivo comma 5; a tale ratio rispondeva senz’altro la comunicazione in parola nella quale si evidenziavano i motivi per i quali non era praticabile il percorso del part – time (in quanto non compatibile con il tipo di attività svolta e con la connessa organizzazione del lavoro) e dei contratti di solidarietà (trattandosi di società inquadrata previdenzialmente nel settore terziario non avente diritto come tale alla fruizione degli ammortizzatori sociali).

Nè il nostro ordinamento positivo prevede un obbligo positivo a carico del datore di lavoro di indicare tutti i rimedi alternativi astrattamente ipotizzabili, bensì richiede unicamente la loro individuazione al fine di permettere l’avvio, nella successiva fase della consultazione con i sindacati, dell’esame congiunto.

Col terzo motivo di gravame lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 in relazione alla pretesa inefficacia del licenziamento collettivo per asserita omessa indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza nella comunicazione ex art. 4, comma 3 del 26.11.2001.

In particolare rileva la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto carente la comunicazione suddetta in relazione ai motivi che avrebbero determinato l’esubero per ogni singola clinica e per ogni singola qualifica, avendo per contro la stessa nella suddetta lettera di avvio della procedura di consultazione sindacale fatto riferimento, in maniera esaustiva e corretta, a tutti gli elementi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, laddove veniva richiesta la indicazione dei motivi che determinavano la situazione di eccedenza, e non l’indicazione delle specifiche ragioni che comportavano l’esubero relativamente ad ogni singola posizione lavorativa.

Con i tre motivi del ricorso incidentale condizionato proposto il F. lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, per omessa pronuncia e motivazione sulle ulteriori domande proposte in ordine alla inefficacia, illegittimità ed ingiustificatezza del licenziamento sotto altri concomitanti motivi, nonchè violazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4, 5 e 24 e del D.Lgs. n. 279 del 1999, art. 63, comma 2, di modifica della L. n. 95 del 1979, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

omessa ed insufficiente motivazione sulla mancata pronuncia in ordine alle richieste istruttorie.

Il ricorrente incidentale rileva in particolare la omessa pronuncia da parte della Corte territoriale in relazione agli ulteriori profili di illegittimità del disposto licenziamento e della proceduta adottata, concernenti, tra l’altro, l’assenza del sostanziale presupposto previsto dalle legge per l’attuazione di una riduzione di personale, non essendo stata nè dedotta nè provata dalla società una riduzione o una trasformazione di attività o di lavoro ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 24 che, nella logica normativa, giustifica la riduzione di personale.

E rileva altresì la illegittimità del provvedimento impugnato anche in relazione ai contenuti dell’accordo sottoscritto in data 14.2.2002 per il personale medico, in considerazione della incongruenza, illogicità, irrazionalità, discriminatorietà e lesività delle condizioni ivi previste.

Posto ciò osserva il Collegio che, prima di procedere all’esame del ricorso proposto dal F., va esaminata l’eccezione sollevata dalla controricorrente relativa all’asserita inammissibilità di tale ricorso ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. per non corretta formulazione del quesito di diritto previsto a pena di inammissibilità dalla suddetta disposizione codicistica.

L’eccezione è infondata atteso che il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27 prevede che le disposizioni del capo l del suddetto decreto, ad eccezione di quelle contenute negli artt. 1 e 19, si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore di tale decreto; e pertanto la disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c., introdotto dall’art. 6 del Decreto in questione, non trova applicazione nel caso di specie, versandosi in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza pubblicata in data anteriore (decisione del 15.11.2005 depositata in cancelleria il 28.11.2005) rispetto alla data (2.3.2006) di entrata in vigore del decreto legislativo.

Tanto premesso, rileva il Collegio che il ricorso proposto in via principale dal F. non è fondato.

Ed invero, per quel che riguarda il primo motivo, osserva innanzi tutto il Collegio che la “lettura” e l’interpretazione del dispositivo della sentenza del giudice di primo di primo grado, fornite dall’odierno ricorrente, secondo cui il decidente avrebbe condannato la società datoriale al pagamento della retribuzione globale di fatto dal licenziamento sino alla data della futura reintegra, e non sino alla data della sentenza emessa dal detto giudice il 4.5.2004, si appalesano assolutamente inaccettabili, siccome evidenziato dalla Corte territoriale, configgendo chiaramente con il contenuto letterale delle parole usate dal decidente il quale, con il predetto dispositivo, aveva ordinato alla società resistente “la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro con condanna al pagamento della retribuzione globale di fatto dal licenziamento ad oggi detratti Euro 10.800,00”. E pertanto, a prescindere da ogni considerazione in ordine alla correttezza sul piano giuridico di tale disposizione, non può dubitarsi, in base al contenuto logico delle parole usate ed alla interpretazione delle stesse secondo la loro concatenazione, che la condanna al pagamento di dette retribuzioni concernesse il periodo corrente dall’intimato licenziamento alla data della pronuncia del detto giudice.

Posto ciò rileva il Collegio che nel rito del lavoro la redazione del dispositivo non è, come nel rito ordinario, un atto puramente interno, ma è un atto a rilevanza esterna, dato che la sua lettura in udienza porta ad immediata conoscenza delle parti il contenuto della decisione e che di esso le parti possono avvalersi come titolo esecutivo autonomo. Conseguentemente in caso di errore di giudizio espresso nel dispositivo, così come in caso di contrasto fra il dispositivo e la motivazione, incombe alla parte, che tale errore o contrasto intende fare valere, l’onere di rilevare siffatto errore o discrasia mediante impugnazione. In difetto dell’esperimento di tale rimedio prevale il dispositivo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la disposizione emanata (Cass. sez. lav., 27.8.2007 n. 18090; Cass. sez. lav., 14.12.2005 n. 27591; Cass. sez. lav., 18.6.2004 n. 11432).

E pertanto in tal caso non risulta applicabile nè il principio della integrazione del dispositivo con la motivazione, nè il procedimento di correzione degli errori materiali ex art. 287 c.p.c. (Cass. sez. lav., 11.5.2002 n. 6786; Cass. sez. lav., 1.7.1998 n. 6438).

Nè appare conducente il richiamo alle pronunce di questa Corte indicate dal ricorrente (Cass. SS.UU., 18.2.1997 n. 1481; Cass. sez. MI, 26.5.2005 n. 11195) posto che le stesse si riferiscono all’ipotesi, che non ricorre per come detto nel caso di specie, di contrasto solo apparente tra dispositivo e motivazione, contrasto di conseguenza superabile attraverso l’interpretazione del dispositivo stesso alla luce della motivazione offerta dal giudice.

Del pari infondato è il secondo motivo di gravame concernente la disposta compensazione delle spese.

Osserva il Collegio che in tema di regolamento delle spese processuali è ius receptum che il sindacato di questa Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa.

Pertanto esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi.

In particolare la valutazione dei giusti motivi è affidata al potere discrezionale del giudice di merito ed il relativo esercizio, avuto riguardo all’ampio contenuto della disposizione codicistica di cui all’art. 92 c.p.c. ed alla natura di tali motivi che sfuggono a qualsiasi enunciazione o catalogazione anche semplicemente esplicativa, non necessita, ove il decidente abbia fatto esplicito riferimento a tale lata previsione normativa, di alcuna specifica motivazione.

Con la precisazione che l’insindacabilità del giudizio circa fa compensazione delle spese trova tuttavia un limite nell’ipotesi in cui il giudice del merito abbia specificamente individuato, con apposita motivazione, quelli che egli ritiene i giusti motivi della sua pronuncia, dovendo in tal caso il sindacato di legittimità estendersi alla verifica della idoneità in astratto dei motivi stessi a giustificare la pronuncia e della adeguatezza delle argomentazioni svolte al riguardo.

Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha disposto la compensazione delle spese del giudizio di appello rilevando che trattavasi, in buona parte, di questioni già discusse in precedenti controversie; la motivazione si appalesa corretta atteso che la ripetitività delle questioni, sottoposte alla Corte territoriale sia con appello principale da parte della società datoriale che con appello incidentale da parte del F. (che, per come rilevato dalla Corte, non sollecitava alcun incremento di tutela a favore dello stesso), costituisce argomentazione idonea a giustificare la disposta compensazione delle spese di giudizio.

Alla stregua di quanto sopra il proposto gravame non può trovare accoglimento.

Il ricorso proposto dal F. va di conseguenza rigettato.

Per quel che riguarda il ricorso incidentale proposto dalla società datoriale, concernente la nullità della procura alle liti apposta a margine dell’appello incidentale avanzato dal F., osserva il Collegio che lo stesso va dichiarato inammissibile avendo la società predetta, con la precedente proposizione di autonomo ricorso in via principale, consumato il proprio potere di impugnativa avverso la sentenza d’appello, e pertanto non può impugnare, sotto ulteriori profili, la predetta sentenza.

E’ infondato il ricorso proposto in via autonoma dalla società CBH. In proposito occorre innanzi tutto evidenziare che sulla questione questa Corte Suprema ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza 27.11.2007 n. 24646 (cui hanno fatto seguito le sentenze 20.12.2007 n. 26943; 9.1.2008 n. 207; 20.3.2008 n. 7596), dal cui contenuto questo Collegio non ha ragione di discostarsi. In quella sede la Corte aveva evidenziato che erano fondate le critiche mosse nei confronti della sentenza impugnata circa la ritenuta violazione della normativa in materia sotto il profilo della mancata indicazione nella lettera di avvio della procedura di licenziamento dei motivi per i quali non sarebbe stato possibile praticare soluzioni alternative alla riduzione di personale.

Ha in particolare rilevato la Corte come risultasse dalla stessa sentenza che, nella nota di avvio della procedura di licenziamento collettivo, la CBH aveva spiegato di essere nella impossibilità di ricorrere al part-time trattandosi di rimedio non compatibile con il tipo di attività svolta e con l’organizzazione del lavoro, e di essere altresì impossibilitata ad attivare i contratti di solidarietà nonchè la cig, non avendo diritto alla fruizioni degli ammortizzatori sociali a causa dell’inquadramento previdenziale, non già nel settore industriale, ma nel settore terziario.

Orbene queste indicazioni, parimenti fornite nella sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione, risultano in realtà conformi a quelle prescritte dalla predetta L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, laddove viene imposto al datore di indicare i motivi della impossibilità di adottare misure idonee ad evitare la messa in mobilità.

Non vi è dubbio infatti, siccome già evidenziato da questa Corte nella precedente sentenza n. 24646/07, che le misure alternative “tipiche “, cui a tal fine si ricorre, siano proprio il part time e gli ammortizzatori sociali, e nella specie la società aveva analiticamente esposto motivi per cui detti strumenti non erano praticabili.

Nè è ipotizzabile la esistenza di un obbligo, in capo al datore di lavoro, di indicazione della impossibilità di adottare tutti i rimedi alternativi “astrattamente” ipotizzagli, giacchè questi, nella logica stessa ed alla luce delle finalità di intervento e controllo da parte delle organizzazioni sindacali cui la comunicazione è preordinata, non possono che avere come riferimento la situazione della singola azienda, di talchè è sufficiente esporre le ragioni per cui, nel preciso contesto aziendale, non siano praticabili le misure cui più frequentemente ed efficacemente si ricorre per evitare la dichiarazione di esubero de personale.

Posto ciò, passando in tal modo alla trattazione dell’ulteriore motivo di gravame concernente la ritenuta inefficacia del licenziamento collettivo per la mancata indicazione dei motivi che avevano determinato la situazione di eccedenza nella comunicazione del 26.11.2001, ha rilevato questa Corte nella predetta sentenza 24646/07, che “tuttavia la erroneità di dette argomentazioni non determina l’annullamento della sentenza impugnata, dal momento che essa mantiene il suo fondamento in ragione della accertata carenza delle altre informazioni rese dalla società nella nota di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, carenza evidenziata in motivazione e non scalfita dal terzo motivo di ricorso che va pertanto rigettato. In relazione al terzo motivo va infatti osservato che la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, dispone che nella comunicazione preventiva devono essere indicati i motivi che determinano la situazione di eccedenza, nonchè il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale da eliminare; solo così infatti si consente alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra i relativi termini, e cioè il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, di talchè la procedura potrà considerarsi regolare solo ove, nella medesima comunicazione, sia evidenziarle la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e la individuazione del personale da licenziare…. La Corte territoriale ha correttamente escluso che detta connessione fosse rinvenibile, allorchè ha osservato che nella nota non si precisava in cosa consistesse realmente la eccedenza di personale, perchè se questa era cagionata dal venir meno dell’attività già svolta dal cedente presso la Casa di Cura (OMISSIS), l’effetto avrebbe dovuto essere il licenziamento delle 127 unità che colà operavano, ovvero di quelle indirettamente interessate, mentre, soggiungono i Giudici di merito, solo pochissimi di quei 127 lavoratori erano stati licenziati e, nè dalla nota, nè dall’allegato era dato capire perchè, in ciascuna delle residue cinque cliniche che la CBH aveva acquisito, vi fosse l’esubero indicato e perchè questo si riferisse alle qualifiche individuate.

Ed ancora non si spiegava perchè gli esuberi dovessero essere 153, dal momento che questi avrebbero dovuto essere invece 61, come risulterebbe sommando le eccedenze, ossia le 127 unità della Clinica (OMISSIS) ed i 77 reintegrati e sottraendo le 93 unità che la stessa società si era impegnata ad assumere con l’atto di acquisto, nonchè le altre 50 unità di cui all’accordo sindacale del 20 aprile 2001 … . Nè nel terzo motivo di ricorso si assume l’esistenza di circostanze decisive, non considerate in sentenza, idonee a smentire le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici di merito sulle carenze della comunicazione di avvio della procedura di mobilità. Il motivo va quindi rigettato”.

Orbene, il Collegio condivide senz’altro tali conclusioni, in quanto assolutamente aderenti alla normativa in subiecta materia ed al dipanarsi delle vicende che hanno portato alla presente controversia, e pertanto il suddetto motivo di gravame non può trovare accoglimento.

Non merita altresì accoglimento il primo motivo di ricorso concernente l’accertamento all’aliunde perceptum.

Quanto alla richiesta di esibizione del libretto di lavoro, si rammenta che la L. 10 gennaio 1935, n. 112, istitutiva del libretto di lavoro, è stata abrogata ad opera del D.Lgs. 19 dicembre 2002, n. 297, art 8, lett. A).

Quanto alle ulteriori richieste di esibizione occorre innanzi tutto rilevare che la questione relativa alla tempestività della richiesta è diversa da quella relativa alla ammissibilità, non potendosi dalla tempestività della deduzione inferire alcuna conclusione circa la ammissibilità della stessa. E sotto questo profilo va evidenziato che la deduzione all’aliunde perceptum quale fatto idoneo a limitare la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro presuppone la allegazione e dimostrazione da parte dello stesso, in quanto soggetto interessato ad ottenere la suddetta limitazione, dello svolgimento da parte del dipendente di una diversa attività lavorativa e quindi dell’esistenza di ulteriori fonti di guadagno idonee a determinare una riduzione del danno.

In assenza di siffatta allegazione e dimostrazione, la richiesta di parte datoriale di esibizione di documenti o di acquisizione di informative non può trovare accoglimento assumendo una funzione meramente esplorativa e risolvendosi in buona sostanza nell’esenzione della parte dell’onere probatorio posto a carico di tale parte.

Ne consegue che neanche sotto questo profilo il ricorso può trovare accoglimento.

Il ricorso proposto dalla società va di conseguenza rigettato, rimanendo in tale pronuncia assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto da F..

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo al rigetto di entrambe le impugnazioni autonomamente proposte dal F. e dalla C.B.H., per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso proposto in via principale da F.A. e dichiara inammissibile il ricorso incidentale di controparte; rigetta il ricorso autonomamente proposto dalla C.B.H. s.p.a., assorbito il ricorso incidentale condizionato di controparte; compensa le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010

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