Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8893 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/04/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 18/04/2011), n.8893

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 17124/2009 proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avv. OLIVIERI Giancarlo, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 62/2008 della Commissione Tributaria Regionale

di ANCONA del 10.4.08, depositata il 22/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIAIDA PERSICO.

E’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Il relatore Cons. Dott. Mariaida Persico, letti gli atti depositati, osserva:

1. C.G. propone ricorso per cassazione, articolato su due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 62/1/08, depositata il 22 maggio 2008, con la quale, rigettando l’appello del contribuente, è stata dichiarata la compensazione delle spese con riguardo ad ogni grado del giudizio.

Il giudice a quo ha ritenuto che la complessità del problema del riparto di giurisdizione in materia tributaria (sulla quale è dovuto intervenire il legislatore che, con la L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2) dimostrasse che l’esito della controversia non era scontato e giustificasse, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 274 del 2005, detta compensazione.

L’Agenzia delle Dogane resiste con controricorso.

2. Entrambi i motivi del ricorso appaiono palesemente infondati.

Il primo, con il quale si denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per contraddittorietà e illogicità della motivazione, è inammissibile poichè non contiene quella indicazione riassuntiva e sintetica, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. un., n. 20603 del 2007 e Cass. n. 8897 del 2008), deve corredare il motivo con cui si lamentino vizi di motivazione. Lo stesso è inoltre infondato secondo i principi già enucleati da questa Corte (Cass. n. 9296/2007; 6409/2007; 14964/2007) mancando “l’indicazione di ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza od la evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto” necessarie in quanto “il sindacato di legittimità non è ammissibile nella stessa ampiezza in cui tale difetto si atteggia per ogni altro capo della sentenza impugnata, bensì solo nei limiti in cui non sia dato comprendere la ragione della statuizione per rapportarla alla volontà della legge e accertare se questa sia stata o no violata.

Il secondo motivo, con il quale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, appare infondato in applicazione del principio già enucleato da questa Corte (Cass. n. 19947 del 2010) che ha affermato: “In tema di processo tributario, nell’ipotesi di estinzione del giudizio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46, comma 1, per cessazione della materia del contendere determinata dall’annullamento in autotutela dell’atto impugnato (dovuta all’accoglimento di uno dei motivi preliminari d’invalidità dedotti dal contribuente), può essere disposta la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 15, comma 1, del medesimo D.Lgs., in quanto intervenuta all’esito di una valutazione complessiva della lite da parte del giudice tributario, trattandosi di un’ipotesi diversa dalla compensazione “ope legis” prevista dal terzo comma dell’art. 46 sopra citato, come conseguenza automatica di qualsiasi estinzione del giudizio, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 274 del 2005″.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio”, che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie, che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato; che le spese di lite posso essere regolate come in dispositivo, secondo i principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di giudizio che liquida in Euro 600,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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