Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8893 del 04/05/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 8893 Anno 2015
Presidente: PETTI GIOVANNI BATTISTA
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA
evt/

sul ricorso 18310-2011 proposto da:
VIGLIALORO CARLO VGLCRL45D26I1020,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 39-F, presso lo
studio dell’avvocato EMANUELE CARLONI, rappresentato
e difeso dagli avvocati LUCA MARIA PIETROSANTI, MARIO
LAURO PIETROSANTI, ANGELO PIETROSANTI giusta procura
2015

speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –

411
contro

COMUNE DI LATINA 00097020598, in persona del Sindaco
pro tempore On. GIOVANNI DI GIORGI, elettivamente

1

Data pubblicazione: 04/05/2015

domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 400, presso lo
studio dell’avvocato SILVIA SCOPELLITI, rappresentato
e difeso dall’avvocato CESARE MANCHISI giusta procura
speciale a margine del controricorso;
INA ASSITALIA SPA 00409920584, in virtù di atto di

ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA in FATA
ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore
speciale dell’amministratore delegato pro tempore
Avv. MATTEO MANDO’, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio
dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 2806/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/06/2010, R.G.N.
2511/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/02/2015 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato MARCO VINCENTI;
udito l’Avvocato CESARE MANCHISI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

2

fusione per incorporazione di INA VITA SPA e

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Udienza del 13 febbraio 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 30.10.1999 il sig. Carlo Viglialoro inciampò in una buca sul marciapiede
della Piazza del Popolo di Latina, e cadde. In conseguenza della caduta patì
una frattura del metatarso.

2. Nel 2001 il sig. Carlo Viglialoro convenne dinanzi al Tribunale di Latina il

in conseguenza dell’infortunio del 30.10.1999.
L’attore invocò la responsabilità dell’amministrazione comunale sul
presupposto che l’inciampo fu dovuto ad una insidia, oggettivamene
pericolosa e soggettivamente non percepibile, e che di tale insidia il Comune
dovesse rispondere quale custode, ai sensi dell’art. 2051 c.c..

3. Il Comune di Latina si costituì e, oltre a negare la propria responsabilità,
chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile, la Assitalia
s.p.a., la quale a sua volta si costituì eccependo l’inoperatività della polizza.

4. Con sentenza 8.2.2006 n. 357 il Tribunale di Latina rigettò la domanda,
ritenendo inapplicabile alla pubblica amministrazione l’art. 2051 c.c., per i
danni causati da beni demaniali.

5. La sentenza venne appellata dal soccombente.
La Corte d’appello di Roma con sentenza 28.6.2010 n. 2806 confermò la
decisione di primo grado, ma con motivazione diversa.
Ritenne la Corte d’appello che la presunzione di cui all’art. 2051 c.c. si
applica alla pubblica amministrazione, ma che la colpa di quest’ultima resta
pur sempre esclusa dalla condotta imprudente della vittima. Nella specie, la
Corte d’appello ritenne sussistente la colpa della vittima.

6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dal sig. Carlo
Viglialoro sulla base di due motivi.
Hanno resistito con controricorso sia il Comune di Latina che l’Assitalia.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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Comune di Latina, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti

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1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe affetta da una violazione di legge, ai sensi all’art. 360, n.
3, c.p.c..
Si assume violato l’art. 2051 c.c..

per avere ritenuto che il pericolo fosse percepibile dalla vittima (così il
ricorso, in particolare p. 16).

1.2. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha affermato in iure che la colpa della vittima esclude
quella del custode: e tale affermazione è corretta.
L’art. 2051 c.c. prevede una ipotesi di c.d. “responsabilità aggravata”,
ovvero una fattispecie in cui la legge attenua l’onere della prova che grava
su chi intenda domandare il risarcimento del danno.
Questa attenuazione dell’onere della prova può avvenire con due gradi
diversi di intensità, cui corrispondono inversamente altrettanti livelli
crescenti di intensità del contenuto della prova liberatoria gravante sul
responsabile.

1.2.1. In taluni casi, la legge solleva il danneggiato dall’onere di provare la
colpa del responsabile (presunzione di colpa). E’ l’ipotesi di cui all’art.
1218 c.c., a norma del quale “il debitore che non esegue esattamente la
prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
La “causa non imputabile” è un dato meramente negativo, consistente
nell’assenza di colpa: ciò vuol dire che il debitore, quando sia gravato da
una presunzione di colpa siffatta, se ne può liberare semplicemente
dimostrando di non essere stato negligente, ovvero di avere adottato le
cautele che la legge, il contratto o la comune prudenza di cui all’art. 1176
c.c. rendevano da lui esigibili.

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Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2051 c.c.,

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1.2.2. In altri casi la legge, fermo restando l’esonero del danneggiato dal
dovere provare la colpa del responsabile, addossa a quest’ultimo un onere
probatorio più rigoroso, consistente nel dovere provare il fatto positivo,
estraneo alla sua sfera di azione, che ha costituito la causa esclusiva del
danno (presunzione di responsabilità).

esente da responsabilità non basterà dimostrare di avere tenuto una
condotta diligente, ma sarà necessario dimostrare che il danno è dovuto ad
una causa oggettiva a lui estranea.

1.3. La responsabilità del custode per i danni causati dalla cosa in sua
custodia è da tempo inquadrata sia da questa Corte, sia dalla dottrina
pressoché unanime, tra le ipotesi di responsabilità presunta, non tra quelle
di colpa presunta.
E’ altrettanto pacifico che la persona gravata da una ipotesi di responsabilità
presunta può vincere tale presunzione dimostrando che il danno è dipeso
dal caso fortuito. Nella nozione di “caso fortuito”, con orientamento
altrettanto pacifico, rientrano:
(a) l’evento imprevisto ed imprevedibile;
(b) il fatto del terzo;
(c) il fatto della vittima.

1.4. Pertanto dire che la colpa della vittima può escludere, anche totalmente,
la responsabilità del custode è un’affermazione giuridicamente corretta.
La colpa della vittima, per quanto detto, integra gli estremi del caso fortuito,
e la prova del caso fortuito è sufficiente per vincere la presunzione di
responsabilità di cui all’art. 2051 c.c..

1.5. Va da sé che stabilire, in concreto, se la vittima d’un danno causato
“dalla cosa” sia stata o no imprudente o negligente è questione di fatto, non
sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata.

2. Il secondo motivo di ricorso.

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Ricorrendo tale ipotesi, al convenuto nel giudizio di danno per andare

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2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza
impugnata sarebbe incorsa in un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360,
n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe male valutato le prove
concernenti l’avvistabilità del pericolo da parte della vittima. Deduce che al

impediva una chiara visione dei luoghi; che nessuno dei testimoni ha riferito
della avvistabilità della buca e dell’insidia che nascondeva; che la buca in cui
inciampò la vittima era piena d’acqua, e quindi non era oggettivamente
prevedibile; che la vittima non conosceva affatto il luogo, e comunque tale
conoscenza non era stata dimostrata in giudizio.

2.2. Il motivo è inammissibile.
Com’è noto, il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione
sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile
il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero
un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base
della decisione.
E’ altresì noto che il giudice di merito al fine di adempiere all’obbligo della
motivazione non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze
processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma
è invece sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro
complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio
convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi
e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono
logicamente incompatibili con la decisione adottata.
E’, infine, noto che la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e
valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo
logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del
giudice del merito.
Da questi princìpi pacifici discende che non può chiedersi al giudice di
legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella

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cN\•-

momento del fatto (le ore 17.00 del 31 ottobre) la luce crepuscolare

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adottata dal giudice di merito. Il sindacato della Corte è limitato a valutare
se la motivazione adottata dal giudice di merito sia esistente, coerente e
consequenziale: accertati tali requisiti, nulla rileva che le prove raccolte si
sarebbero potute teoricamente valutare in altro modo.

dell’infortunio lo stato dei luoghi fosse visibile perché “vi era luce” (così la
sentenza, p. 6), indicando le deposizioni testimoniali dalle quali ha tratto
tale convinzione. Ha, quindi, soggiunto che camminare su un tratto di
marciapiede coperto d’acqua fosse una condotta colposa, e che tale
condotta ha interrotto il nesso di causa tra la custodia della cosa e il danno:
e questa valutazione, costituendo un accertamento squisitamente di fatto,
non può essere ulteriormente sindacato in questa sede.

3. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai
sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..
Le spese sostenute dalla società INA Assitalia andranno poste a carico del
ricorrente, in virtù del principio secondo cui nell’ipotesi di chiamata in causa
del terzo, le spese da questi sostenute vanno addossate all’attore
soccombente, per avere questi con la propria iniziativa giudiziaria provocato
la chiamata in causa del terzo da parte del convenuto (in tal senso ex
permultis, Sez. 1, Sentenza n. 7431 del 14/05/2012; Sez. 3, Sentenza n.
12301 del 10/06/2005; Sez. L, Sentenza n. 2838 del 09/05/1984; Sez. 3,
Sentenza n. 5027 del 26/02/2008; Sez. 3, Sentenza n. 6514 del
02/04/2004; Sez. 2, Sentenza n. 4634 del 27/04/1991).
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:
– ) rigetta il ricorso;
– ) condanna Carlo Viglialoro alla rifusione in favore del Comune di Latina
delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di
euro 2.700, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese
forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

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2.3. Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto che al momento

f\A.-

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-) condanna Carlo Viglialoro alla rifusione in favore di INA Assitalia s.p.a.
delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di
euro 2.700, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese
forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile

della Corte di cassazione, addì 13 febbraio 2015.

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