Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8891 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. III, 13/05/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 13/05/2020), n.8891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32103/2018 proposto da:

SCOGNAMIGLIO SRL, in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAZZINI 27, presso lo studio

dell’avvocato LUCIO NICOLAIS, rappresentata e difesa dagli avvocati

ALESSIO GUASCO, CORRADO LANZARA;

– ricorrente –

contro

COOK ITALIA SRL, in persona del suo Amministratore delegato e legale

rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli

avvocati CORRADO LANZARA, LUCIO NICOLAIS, ALESSIO GUASCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3653/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha chiesto

l’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società ricorrente, Scognamiglio srl, aveva in essere una concessione di vendita con la società Cook Italia srl.

Quest’ultima ha esercitato recesso, e da questo atto è derivata una controversia. La Scognamiglio ha iniziato un giudizio nel quale ha chiesto il pagamento del saldo attivo dei loro rapporti di dare- avere, mentre la Cook con riconvenzionale ha chiesto il pagamento di una penale contrattuale sulla somma a suo credito. Questa riconvenzionale è stata accolta, inizialmente con una ingiunzione non esecutiva in corso di causa, e poi con sentenza.

Scognamiglio srl ha proposto appello, per quanto ci interessa qui, sulla questione della penale, chiedendo che essa venisse ridotta, o per usurarietà o per iniquità. Il giudice di appello, quanto alla prima richiesta, ha opposto che ratione temporis non potessero applicarsi le norme antiusura, e che, quanto alla riduzione ad equità non poteva essere effettuata d’ufficio, e così ha confermato la penale nella misura contrattualmente pattuita.

Questi due motivi (usurarietà della penale o sua riconduzione ad equità) sono stati riproposti da Scognamiglio srl con un ricorso per Cassazione, che ha trovato parziale accoglimento.

La Corte infatti ha rigettato il primo motivo (ossia nullità della penale per usurarietà) ed ha accolto il secondo, affermando il principio di diritto che ben potesse una clausola penale essere ridotta ad equità d’ufficio.

L’annullamento è avvenuto con rinvio, ma nessuna delle parti ha riassunto il giudizio, cosi che questo si è estinto.

La Scognamiglio srl ha dunque iniziato il giudizio presente, sostenendo che l’estinzione del giudizio di rinvio ha determinato l’estinzione di tutto il procedimento con caducazione delle sentenze emesse. In quel giudizio, estintosi ex art. 393 c.p.c., la ricorrente aveva corrisposto la somma dovuta a titolo di penale (intera, non ridotta), e le spese del processo cui era stata condannata. Con la conseguenza che essendosi estinto il processo, ed essendo venuti meno i titoli in base ai quali la Scognamiglio ha effettuato quei pagamenti, questi ultimi devono ritenersi indebiti. La società ha agito pertanto per la ripetizione delle relative somme.

Sia il Tribunale che il Giudice di appello hanno negato la pretesa di ripetizione sostenendo che la caducazione ha riguardato solo il capo di sentenza impugnato, ossia la possibilità di riduzione della penale ex officio, mentre il diritto alla penale in sè è rimasto, e dunque le somme corrisposte in base a tale diritto hanno titolo giustificativo, e cosi le spese.

Ricorre la Scognamiglio srl con tre motivi, cui resiste con controricorso la Cook Italia. V’è memoria del ricorrente. Il PM ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La sentenza impugnata ha la seguente ratio.

Sostiene la corte di appello che, nel caso in cui il processo di rinvio si estingua, rimangono efficaci le statuizioni passate in giudicato, e, nella fattispecie, rimane il giudicato sull’an debeatur che si era consolidato, avendo la ricorrente posto solo la questione del quantum. In altri termini, il ricorso per cassazione precedente era stato fatto da Scognamiglio srl solo sull’ammontare della penale, non sull’obbligo di pagarla, e sull’ammontare v’è stato annullamento, mentre sull’obbligo di pagarla si è formato il giudicato. Con la conseguenza che, estintosi il giudizio di rinvio, rimane ferma la statuizione sull’an – obbligo di corrispondere la penale – che giustifica il pagamento fatto da Scognamiglio in adempimento di tale obbligo, impedendone la ripetizione.

In particolare, la Corte di appello fa notare come il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione era nel senso della astratta riducibilità d’ufficio della penale, con rinvio alla Corte di secondo grado perchè, ammesso che la penale era riducibile, stimasse lei se, nel caso concreto, fosse o meno da ridursi.

Cosi che consentendo semplicemente alla corte di merito di ridurre, se del caso, d’ufficio la penale, la Cassazione non ha inciso sull’an, ossia sulla condanna di Scognamiglio a corrispondere la somma pattuita in penale. Con la conseguenza che il riconoscimento da parte della Corte di Cassazione di un diritto alla riduzione della penale presuppone implicitamente il riconoscimento della penale stessa. E l’estinzione del giudizio ha dunque lasciato intatto il giudicato formatosi su tale diritto.

2.1.- La società ricorrente contesta questa tesi con tre motivi.

2.2. Con il primo motivo lamenta violazione dell’art. 1384 c.c. e art. 393 c.p.c.. Sostiene la ricorrente che nel caso di estinzione del giudizio di rinvio per inattività delle parti, ossia perchè le parti non lo hanno riassunto, decade tutto, si estingue l’intero procedimento, e che, soprattutto non v’è alcun giudicato che, nella fattispecie, possa sopravvivere. La sentenza impugnata infatti non è scindibile in due capi autonomi, uno sull’an e uno sul quantum, cosi che impugnato solo quest’ultimo, l’altro passa in giudicato.

Inoltre, la decisione della corte di merito viola, in subordine, l’art. 336 c.p.c., il quale prevede che il capo di condanna sull’an dipende da quello che riguarda la riduzione, e cosi anche dell’art. 338 c.p.c., che fa passare in giudicato, in caso di estinzione del giudizio di impugnazione i capi di sentenza che non siano stati modificati.

2.3.- Il secondo motivo rileva sulla medesima questione. Si denuncia violazione dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 393 c.p.c..

Il giudice di merito aveva condannato la ricorrente al pagamento delle spese, che la Scognamiglio srl ha puntualmente corrisposto. Poichè la sentenza in Cassazione è stata annullata con rinvio, anche sulle spese, e poichè la nuova liquidazione delle spese in sede di rinvio non si è avuta, non essendo stato quel giudizio mai instaurato, la ricorrente ritiene che ogni statuizione sulle spese è venuta meno, ossia: essendosi estinto il giudizio in cui la condanna alla spese è stata emessa, è venuto meno anche il titolo relativo, per cui il pagamento delle spese non è più sorretto da una pronuncia di condanna.

La corte milanese avrebbe inoltre errato nel supporre che, in questo giudizio, la Scognamiglio srl ha chiesto una nuova liquidazione delle spese del giudizio estinto, quando invece ha chiesto la ripetizione di quelle pagate in quel giudizio.

3.- Entrambi i motivi sono fondati.

E’ infatti regola che la mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 c.p.c., l’estinzione dell’intero processo, con conseguente caducazione di tutte le attività espletate, salva la sola efficacia del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, senza che assuma rilievo che l’eventuale sentenza d’appello, cassata, si sia limitata a definire in rito l’impugnazione della decisione di primo grado ovvero abbia rimesso la causa al primo giudice e, dunque, manchi un effetto sostitutivo rispetto a quest’ultima pronuncia, rispondendo tale disciplina ad una valutazione negativa del legislatore in ordine al disinteresse delle parti alla prosecuzione del procedimento (Cass. 6188/2014; Cass. 10456/1996).

Più espressamente, il precedente richiamato (Cass. 6188/2014) osserva che “quel che il legislatore ha voluto, con la citata disposizione dell’art. 393, infatti, è proprio che il giudizio di merito non possa esser deciso, in caso di cassazione con rinvio, se non mediante una nuova pronuncia che tenga conto dei criteri enunciati dal giudice di legittimità (i quali, infatti, sono destinati a restare vincolanti anche in caso di nuovo giudizio sul medesimo oggetto); mentre, se si lasciasse sopravvivere puramente e semplicemente la sentenza di primo grado annullata dalla pronuncia (poi cassata) della corte d’appello, non si avrebbe alcuna garanzia che la vertenza risulti definita nel rispetto dei principi giuridici enunciati dalla Suprema corte”.

Conseguentemente “la verità è che la regola dell’art. 393 c.p.c., esprime una valutazione del legislatore che implica un’opzione di valore per cui, una volta che le parti sono arrivate dinanzi alla Corte di Cassazione ed è stata emessa una pronuncia da parte di quest’ultima che abbia disposto il rinvio, il disinteresse per la prosecuzione del giudizio in sede di rinvio, rivelato dal verificarsi del fenomeno estintivo, merita una valutazione negativa, per cui l’intera attività processuale si caduca, salvo l’effetto del principio di diritto affermato dalla Corte e ciò al di là di una valutazione di imputazione dell’estinzione basata sul criterio dell’interesse alla prosecuzione del giudizio. La scelta di un diverso criterio, del resto, avrebbe richiesto l’enunciazione di regole differenziate in ragione della relazione fra cassazione con rinvio e tenore della sentenza cassata, dovendosi distinguere l’ipotesi che essa fosse stata pronunciata in appello da quella in cui fosse stata pronunciata in unico grado e dovendosi distinguere, poi, nel primo caso a seconda della relazione fra sentenza cassata e sentenza di primo grado” (Cass. 6188/2014).

Si intende allora come ogni decisione assunta nel giudizio che ha subito annullamento deve ritenersi venuta meno, senza che possa prospettarsi un giudicato interno, il quale presuppone, per l’appunto, un principio contrario a quello qui affermato; può dirsi che si sia formato un giudicato interno solo se si nega la caducazione piena delle statuizioni, ma se invece la si afferma essa riguarda ogni capo di sentenza del giudizio annullato, cosi che il giudicato non è che sia travolto dalla estinzione, ovviamente, ma è che proprio non si forma. Del resto, la corte di merito introduce una distinzione speciosa tra l’an ed il quantum della clausola penale, non potendo in realtà farsi una cosi netta affermazione, essendo evidente che l’annullamento della clausola nel suo ammontare incide altresì sul contenuto del diritto fondato sulla clausola.

Conseguentemente è fondato altresì il secondo motivo, poichè, essendo travolta altresì la statuizione sulle spese, il pagamento di queste perde titolo giustificativo. Con la precisazione che qui la ricorrente agisce proprio per l’indebito e non già come ha frainteso la corte di appello, per una nuova liquidazione delle spese di lite.

4.- Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 1242,2938 c.c..

In sostanza, la società ricorrente aveva chiesto in tale giudizio anche la ripetizione delle spese legali del decreto ingiuntivo, che aveva corrisposto in corso di causa. Essendo stato revocato il decreto, le spese sarebbero diventate ripetibili.

La corte di appello avrebbe però errato nel compensarle con le spese che Scognamiglio srl doveva a Cook per il giudizio di appello di altra causa (quello del 2003), in quanto Cook non ne aveva chiesto la restituzione.

Conseguentemente, il rilievo d’ufficio della compensazione era fatto senza che vi fossero i presupposti per compensare.

4.1.- Il motivo è inammissibile o infondato.

Non è dato sapere se Cook si è limitato a non richiedere espressamente le spese, ma senza rinunciarvi, oppure se vi abbia effettivamente rinunciato. La ricorrente indica come ragione ostativa alla compensazione una sorta di rinuncia di Cook, ma non riporta alcunchè a dimostrazione della volontà della controparte.

Cook nel controricorso dà ragione del suo atteggiamento spiegando che, essendo creditrice di quella somma non ha ritenuto opportuno fare l’eccezione di compensazione con l’eventuale debito suo di ripetizione delle altre spese a Scognamiglio srl, ma non che abbia inteso rinunciare al suo credito.

Il ricorso va dunque accolto in tali termini, con spese compensate a cagione della comune inattività delle parti, che ha condotto alla estinzione.

P.Q.M.

La corte accoglie i primi due motivi, rigetta il terzo. Decide nel merito e accoglie la domanda originaria. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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