Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 889 del 20/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 20/01/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 20/01/2021), n.889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6582-2019 proposto da:

ECO TECHNOLOGY SYSTEM s.p.a. in persona del legale rappresentante

pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, in via VIRGINIO

ORSINI 21, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DEL RE, che la

rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO della (OMISSIS) s.p.a., in persona del curatore

pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA LAZIO 20-C,

presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO COGGIAITI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MILENA MOSSOTTO, con procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 100/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La (OMISSIS) s.p.a. presentò reclamo avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Torino che ne aveva dichiarato il fallimento il (OMISSIS); si costituì il curatore ed intervenne il Procuratore Generale.

Con sentenza emessa il 16.1.19 la Corte di appello di Torino respinse il reclamo, osservando che: la sentenza di fallimento era stata correttamente notificata dalla cancelleria, a nulla rilevando il cattivo funzionamento della casella di posta elettronica certificata del reclamante, considerando altresì che il fatto allegato non era stato dimostrato (peraltro tale casella era intestata ad un terzo); la società fallita aveva sede nello stesso luogo della Diamante soc. coop. a r.l. in Roma, ove non risulta mai depositata documentazione sociale, mentre disponeva di una sede operativa in Torino (ove invece fu rinvenuta documentazione sociale);

che l’attività sociale risultava ancora operativa nel 2017, essendo state rinvenute buste-paga emesse nello stesso anno; il trasferimento della sede sociale a Roma era stato fittizio, non avendo comportato il trasferimento dell’attività amministrativa e direttiva dell’impresa; non era stato contestato lo stato d’insolvenza. Ricorre in cassazione la (OMISSIS) s.p.a. con unico motivo.

La curatela fallimentare resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

RITENUTO

che:

L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione delle norme sulla competenza territoriale, avendo la Corte d’appello ritenuto fittizio il trasferimento della sede legale della società poi fallita da (OMISSIS) a (OMISSIS), deliberato dall’assemblea il 15.12.14, per aver la Guardia di Finanza verificato che la società stessa condivideva con altra società in Torino la sede operativa, in quanto l’attività d’impresa era cessata dal (OMISSIS) trasferendo la documentazione contabile in altro luogo a (OMISSIS) (l’immobile presso cui era ubicata la sede legale fu restituito al proprietario nell’aprile del 2017), mentre la sola sede operativa e decisionale della (OMISSIS) s.p.a. era stata ubicata in (OMISSIS) per quasi quattro anni. La società ricorrente assume altresì che la residua minima attività amministrativa fu svolta in (OMISSIS), presso l’abitazione dell’amministratore unico.

Il ricorso è inammissibile, come eccepito dalla curatela fallimentare, poichè tardivo in quanto – come rilevato dallo stesso ricorrente – la sentenza impugnata fu notificata il (OMISSIS) con pec, mentre il reclamo fu proposto con ricorso notificato il (OMISSIS), oltre il termine breve di 30 gg. Va altresì rilevato che la ricorrente non ha formulato alcuna replica riguardo all’eccezione d’inammissibilità sollevata.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 4100,00 di cui 100,00 per esborsi e la maggiorazione del 15% per il rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2021

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