Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8889 del 06/04/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/04/2017, (ud. 07/03/2017, dep.06/04/2017),  n. 8889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16048-2014 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI BARI ALDO MORO, in persona del Magnifico

Rettore in carica pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARCELLA LOIZZI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

EUGENIA D’ALCONZO e NICOLA D’ALCONZO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4251/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 7/3/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO

che:

– la Corte di appello di Bari respingeva l’impugnazione proposta dall’Università degli Studi di Bari nei confronti di S.C. e confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato il diritto della ricorrente, appartenente al personale universitario non medico e (asseritamente) inquadrata nella ex 7^ qualifica funzionale in qualità di collaboratore tecnico, all’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1, comma 1, commisurata alla retribuzione complessiva della corrispondente ex 9^ qualifica funzionale del c.c.n.l. Comparto sanità, senza che potesse assumere rilevanza la distinzione operata dal Consiglio di Amministrazione dell’Università tra personale laureato e personale non laureato, in quanto in contrasto con la volutas legis di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 ed al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e senza che potesse essere attribuita importanza all’effettività delle mansioni svolte (che, si sosteneva, non poteva prescindere dal titolo di studio). Richiamava la Corte territoriale i principi espressi da questa Corte nella decisione n. 12908/2013 nonchè nella precedente pronuncia resa a sezioni unite n. 8521/2012 e conclusivamente riteneva, a fronte del dato fattuale della equivalenza delle mansioni e delle posizioni funzionali coinvolte, fondato il diritto del ricorrente all’indennità di equiparazione commisurata alla retribuzione spettante alla ex 9^ qualifica funzionale del ruolo sanitario, a prescindere dall’elemento formale del titolo di studio;

– avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Università di Bari affidato a tre motivi;

– S.C. resiste con controricorso;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– non sono state depositate memorie;

il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo l’Università denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mutalio libelli operata dalla ricorrente in corso di causa ed eccepita dall’Università sin dal primo grado di giudizio. Rileva che la prospettata sussistenza in capo alla ricorrente della qualifica funzionale di 7^ livello (presupposto per il diritto al riconoscimento sin dal 1994 della equiparazione economica alla I dirigenza ospedaliera) non corrispondeva alla situazione effettiva atteso che la S. era stata inquadrata fino all’8/8/2000 nella 5^ qualifica funzionale in qualità di operatore amministrativo (dal 9/8/2000 categoria B, dal 31/12/2000 categoria C). Evidenzia che, in corso, di causa la ricorrente, a seguito delle contestazioni dell’Università, aveva mutato la domanda chiedendo l’equiparazione in discussione a decorrere dall’1/2/2002 (data di inquadramento nella ex 6^ q.f. a seguito di progressione verticale) e sino al 30/11/2004 (data in cui la S. aveva ottenuto l’adeguamento stipendiale). Sostiene l’illegittimità di tale mutatio libelli, non rilevata dal giudice di appello nonostante lo specifico rilievo svolto sul punto dall’Università impugnante;

– con il secondo motivo l’Università denuncia violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 della L. n. 200 del 1974, art. 1 del D.I. 9 novembre 1982 e allegato D, del D.M. 31 luglio 1997, art. 6, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 40 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata allegazione di parte istante dell’effettiva parità di mansioni e funzioni quale presupposto indefettibile dell’invocata parità retributiva, anche con riguardo al disposto di cui all’art. 36 Cost.. Lamenta che la Corte territoriale abbia fatto applicazione dei principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 12908/2013 e richiama la difforme decisione di questo stesso giudice di legittimità n. 4418/2012, intervenuta in un contenzioso del tutto analogo a quello oggetto del presente giudizio. In particolare sottolinea la rilevanza attribuita in tale ultima decisione alla parità di mansioni, funzioni e anzianità che assume siano presupposti indefettibili per il riconoscimento all’equiparazione alle figure ospedaliere reclamate. Rileva che l’equivalenza delle mansioni non può ritenersi sussistente e provata per il solo fatto dell’automatismo classificatorio di profili funzioni (universitario e ospedaliero). Evidenzia che le corrispondenze previste nel D.I. 9 novembre 1982 e nella allegata tabella D hanno carattere provvisorio e sono del tutto superate dall’evolversi dei sistemi di inquadramento e di classificazione del personale;

– con il terzo motivo l’Università denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 53 del c.c.n.l. Comparto sanità 1994/1997, dell’art. 51 c.c.n.l. Comparto sanità 1998/2001, rilevando che tali disposizione pattizie avallano la propria tesi difensiva circa la natura provvisoria della tabella D, acclarando la piena legittimità dei provvedimenti di ordine generale assunti dalle Università nelle more della definizione della tabella di corrispondenza;

– il primo motivo è manifestamente fondato e determina l’assorbimento degli altri;

– nella specie, come si rileva dal contenuto del ricorso di primo grado (ritualmente trascritto nelle parti di interesse nel ricorso per cassazione) la dipendente aveva chiesto la liquidazione dell’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1 e del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 commisurata alla retribuzione spettante alla dirigenza sanitaria (cui era stata equiparata la figura professionale del funzionario tecnico non laureato, con più di cinque anni di anzianità di servizio – 8^ qualifica funzionale del c.c.n.l. Compatto sanità -). Il tutto sulla base del presupposto di prestare servizio “con la qualifica funzionale di 7^ livello del precedente c.c.n.l. di comparto”. In realtà, e la stessa controricorrente lo ammette, la qualifica che la S. aveva al momento della proposizione del ricorso era la 5^ funzionale (operatore amministrativo) che, sulla base della corrispondenza fra qualifiche universitarie e qualifiche ospedaliere così come prevista dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, allegato 1 e 2, dal D.M. 10 febbraio 1984, art. 1, e dal D.I. 9 novembre 1982 allegato D, poteva essere equiparata solo a quella di assistente amministrativo di 6^ livello, non certo di collaboratore tecnico (ex 7^ qualifica) ovvero di funzionario tecnico (ex 8^ qualifica). Da qui, l’infondatezza della pretesa al riconoscimento dell’indennità di equiparazione di cui alla L. n. 200 del 1974, art. 1, comma 1 commisurata al trattamento previsto per la Dirigenza sanitaria (in cui era confluito l’ex 7^ livello). Nè legittimamente poteva darsi ingresso alla mittatio libelli consentendo alla ricorrente di precisare che la domanda era da intendersi riferita al periodo dalli /1/2002, data di inquadramento nella 6^ qualifica funzionale – cfr. Cass. 28 gennaio 2015, n. 1585: “Si ha “mutatio libelli” (non consentita) quando la parte immuti l’oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio”; si veda in senso conforme Cass. 20 luglio 2012, n. 12621 -. Invero neppure si comprende come tale mutatio libelli, ancorchè in ipotesi accettata dalla controparte, potesse comportare l’accoglimento della pretesa ed il riconoscimento a fini economici dell’8^ livello funzionale del c.c.n.l. Comparto sanità per il quale, a termini delle tabelle equiparative occorreva quantomeno l’inquadramento nella ex 7^ qualifica funzionale universitaria;

– in conclusione la proposta va condivisa e va accolto il primo motivo (con assorbimento degli altri); la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’azionata domanda;

– la complessità della ricostruzione fattuale della vicenda consente di compensare tra le parti le spese dei gradi di merito; non può che seguire la soccombenza la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo (con assorbimento degli altri); cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’azionata domanda; compensa tra le parti le spese dei gradi di merito e condanna S.C. al pagamento, in favore dell’Università ricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2017

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