Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8888 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. III, 13/05/2020, (ud. 11/02/2020, dep. 13/05/2020), n.8888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3532/2018 proposto da:

COMUNE ACQUAVIVA DELLE FONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

L MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA ANNA PIA CASTELLANETA;

– ricorrente –

contro

C.F., in qualità di ex socio e successore della DELTA

FRUTTA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, V. TRIONFALE 5637,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato SALVATORE CARROZZO;

ACQUEDOTTO PUGLIESE SPA, in persona del Direttore Legale e Affari

Societari, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. COLOMBO 440,

presso lo studio dell’avvocato FRANCO TASSONI, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1089/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 24/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/02/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha chiesto

l’accoglimento dei motivi 1 e 2 di ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 22/1/2018, il Comune di Acquaviva delle Fonti propone gravame innanzi a questa Corte avverso la sentenza n. 1089/2017 della Corte d’Appello di Bari, pubblicata il 24/8/2017, affidandolo a sei motivi. Resistono, con separati controricorsi – notificati, rispettivamente, l’8/2/2018 e il 5/3/2018 Acquedotto Pugliese S.p.A. e C.F., quest’ultimo in qualità di ex socio e successore della Delta Frutta S.r.l..

2. Per quanto qui d’interesse, con atto di citazione del 28/12/2004, Delta Frutta S.r.l. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Bari/Articolazione di Modugno, il Comune di Acquaviva delle Fonti e l’Acquedotto Pugliese S.p.A. (d’ora in poi, AQP), al fine di sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni subiti per la perdita del raccolto di pomodori da essa prodotti e per la spesa occorrente alla bonifica dei terreni. Deduceva di avere condotto in locazione un terreno, sito in (OMISSIS), coltivato a pomodoro nel (OMISSIS) e che, affianco al fondo, era ubicato il collettore della fogna cittadina, di proprietà del Comune e affidato in gestione all’AQP. Lamentava che, in data 26 (OMISSIS), a causa delle piogge, il predetto collettore aveva ceduto e le acque reflue erano tracimate nel fondo da essa coltivato, cosicchè il raccolto andava perduto. Si costituiva in giudizio l’AQP contestando ogni sua responsabilità e assumendo che la tracimazione delle acque reflue era stata causata dall’eccezionalità dell’evento atmosferico occorso; in subordine, contestava il quantum della pretesa risarcitoria e chiedeva il rigetto della domanda attorea con vittoria di spese. Si costituiva in giudizio anche il Comune e contestava la propria legittimazione passiva, in quanto il collettore era gestito all’epoca dei fatti dall’AQP; contestava, comunque, ogni sua responsabilità e chiedeva il rigetto della domanda avversa, con vittoria di spese. In primo grado veniva svolta attività istruttoria comprensiva dell’acquisizione di ATP effettuato ante causam. Il Tribunale di Bari, con sentenza depositata in data 10/6/2014, rigettava la domanda proposta da Delta e, per l’effetto, la condannava al pagamento delle spese del giudizio. In particolare, il giudice di prime cure escludeva ogni responsabilità a carico del Comune, ritenendo che soltanto l’AQP dovesse considerarsi responsabile dei danni subiti dall’utente ex art. 2051 c.c.. Tuttavia, riteneva di rigettare la domanda di Delta Frutta nei confronti di AQP sulla base della produzione documentale di un’ordinanza sindacale del Comune del 1995, con la quale si vietava la coltivazione di qualsiasi ortaggio nei terreni circostanti il collettore in oggetto, per ragioni di tutela della salute pubblica. Sicchè riteneva non spettassero all’attrice i danni derivanti da comportamento illecito altrui, versando lei stessa in una situazione di illecito.

3. Avverso la decisione, Delta Frutta proponeva appello. Si costituiva il Comune, mentre l’AQP restava contumace. Con sentenza n. 1089/2017 qui impugnata, la Corte d’Appello di Bari accoglieva l’appello e, ritenendo la responsabilità di entrambi gli appellati ex art. 2051 c.c., condannava il Comune e l’AQP – in solido – al risarcimento dei danni subiti dall’appellante nella misura di Euro 124.800,00 oltre rivalutazione, interessi e spese del doppio grado di giudizio.

4. Il Comune di Acquaviva delle Fonti propone ricorso per la cassazione della predetta sentenza, deducendo sei motivi. Resistono, proponendo separati controricorsi, l’AQP e C.F., ex socio e successore della Delta Frutta S.r.l., estinta in data 20/1/2016. Le parti hanno prodotto memorie. Il PM ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente occorre pronunciarsi sulla dedotta inammissibilità del ricorso proposto dal Comune di Acquaviva delle Fonti. Il controricorrente C., socio succeduto nella posizione di Delta Frutta S.r.l., ne eccepisce l’inammissibilità per le seguenti ragioni: Delta Frutta S.r.l. è stata cancellata dal registro delle imprese il 20 gennaio 2016, dunque, nella pendenza del giudizio di appello; e, poichè l’evento estintivo è oggetto di pubblicità, deve ritenersi che i terzi ne fossero a conoscenza, nonostante non fosse stato dichiarato in giudizio. Pertanto, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società doveva essere indirizzata – a pena di inammissibilità – nei confronti dei soci. La censura è infondata. Le Sezioni Unite di questa Corte, dando soluzione ad un contrasto giurisprudenziale, hanno ritenuto che, in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonchè in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300 c.p.c., comma 4 (Cass., Sez. U., sentenza n. 15295 del 4/7/2014; in senso conforme, Cass., Sez. L-, ordinanza n. 24845 del 9/10/2018; Sez. L, sentenza n. 710 del 18/1/2016). Il ricorso, dunque, è ammissibile giusto il principio di persistenza in capo alla società cancellata del diritto di stare in giudizio e di ultrattività del mandato rilasciato al procuratore, non essendo la causa estintiva mai stata dichiarata o notificata da quest’ultimo.

2. Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c.. Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello di Bari abbia affermato la sua legittimazione passiva, in violazione della disposizione de qua. Deduce che il D.Lgs. n. 141 del 1999, ha trasferito all’AQP S.p.A. le competenze in precedenza attribuite all’Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese, fra cui la gestione del ciclo integrato dell’acqua e, in particolare, la captazione, adduzione, potabilizzazione, distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue; da ciò dovendosi ritenere che solo l’AQP avrebbe dovuto essere considerato quale custode del collettore fognario dal quale era derivato il danno cagionato a Delta Frutta. Pertanto, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto escludere in radice la sua legittimatio ad causam.

3. Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., in relazione alla disciplina di cui al R.D.L. n. 1464 del 1938 e al D.Lgs. n. 141 del 1999, art. 2, recepita dalla Convenzione del 30.02.2002. Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la responsabilità di AQP ex art. 2051 c.c., non escludesse quella del proprietario dell’impianto, con ciò identificando il Comune quale co-custode del collettore. Rileva, diversamente, di non detenere nessun potere di fatto sulla gestione della res in questione, che era stato, invece, trasferito all’AQP già con il R.D.L. 2 agosto 1938, n. 1464 il quale, al suo art. 3, prevedeva che l’allora EAAP provvedesse alla costruzione, all’esercizio delle reti e degli impianti di smaltimento e alla loro manutenzione ed integrazione onde assicurarne il perfetto funzionamento. Tale disciplina, peraltro, è stata poi confermata dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 141, art. 2, comma 1 e, infine, la Convenzione del 30.09.2002 – stipulata fra Comune e Acquedotto – aveva confermato le predette disposizioni di legge, in particolare, espressamente manlevando l’Ente proprietario dell’opera da ogni responsabilità derivante dall’esercizio del Servizio Idrico Integrato. Infine, si deduce che la semplice consapevolezza, da parte del Comune, dello stato di degrado del collettore non sia sufficiente a ritenere la responsabilità dello stesso, una volta attribuiti – ex lege e convenzionalmente – tutti i poteri di gestione e vigilanza sull’opera in capo all’Acquedotto.

4. Entrambi i motivi sono fondati e vanno trattati congiuntamente, in ragione della loro complementarietà.

4.1. Preliminarmente, deve sgombrarsi il campo da presunte ragioni di insindacabilità dei motivi in quanto comportanti rivalutazioni di fatti concernenti il merito della controversia. E’ orientamento costante di questa Corte, infatti, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricomprende tanto quello di violazione di legge, ossia l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, quanto quello della falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass., Sez. 5 -, sentenza n. 23851 del 25/9/2019; Sez. 3 -, ordinanza n. 10320 del 30/4/2018; Sez. L, sentenza n. 195 dell’11/1/2016). Nel caso in esame, infatti, non si tratta di svolgere accertamenti di fatto o interpretazioni delle risultanze processuali alternative rispetto a quelle fornite dal giudice di secondo grado, quanto di valutare la fattispecie concreta entro la cornice della disposizione di cui all’art. 2051 c.c., avuto riguardo alla normativa di settore.

4.2. Tanto premesso, il rapporto di custodia che può presumersi nella titolarità dominicale della cosa può venire meno in ragione della escludente relazione materiale da parte di un altro soggetto che, con la cosa medesima, abbia, del pari, un rapporto giuridicamente qualificato” (così, Cass., Sez. 3, n. 22839 del 2017; in senso conforme, Cass., Sez. 2, n. 15096 del 17/6/2013; Sez. 3, sentenza n. 24530 del 20/11/2009). Già solo applicando tale principio, la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere che l’ampiezza del potere di controllo sulla res attribuito – ex lege e convenzionalmente – all’Acquedotto escludesse il potere co-custodiale del Comune. E, nel caso in questione, l’Acquedotto Pugliese S.p.A. (già Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese) a norma del R.D.L. 2 agosto 1938, n. 1464, ha assunto, a partire dal primo gennaio 1940, l’esercizio e la manutenzione delle opere di fognatura appartenenti ad un gruppo di Comuni, fra cui appunto è compreso il collettore di fogna cittadina del Comune di Acquaviva. La normativa di settore prevede espressamente che in caso di affidamento all’allora EAAP della costruzione e gestione delle fognature dei Comuni “l’Ente provvede alla costruzione, all’esercizio delle reti e degli impianti di smaltimento e alla loro manutenzione ed integrazione onde assicurarne il perfetto funzionamento, in base alle norme vigenti per l’Acquedotto Pugliese, intendendosi ad ogni effetto che tutte le disposizioni riguardanti l’Acquedotto Pugliese, sono estese, in quanto applicabili, alla gestione delle fognature” (art. 3). Inoltre, dell’art. 8, comma 1, sancisce che “Le opere necessarie per le riparazioni straordinarie e per rinnovamenti delle reti e degli impianti di fognatura sono eseguite a cura dell’Ente autonomo mediante prelevamenti dai fondi di riserva di cui all’art. 6”. La disciplina contenuta nel R.D.L. del 1938, peraltro, non è stata abrogata dalla L. n. 319 del 1976; e, successivamente, la L. n. 141 del 1999 – che ha trasformato l’EAAP nella società di capitali “Acquedotto Pugliese S.p.A.” – ha confermato in capo alla nuova società le competenze precedentemente attribuite all’Ente. Tanto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “L’Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese (trasformato dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 141, in Acquedotto Pugliese S.p.A.) è tenuto, in forza del R.D.L. 2 agosto 1938, n. 1464, ad eseguire, nei comuni serviti dall’acquedotto stesso, i lavori di riparazione straordinaria della rete idrica e fognaria, onde assicurarne il perfetto funzionamento, non essendo stato abrogato il citato R.D.L. n. 1464 del 1938, dalla L. 10 maggio 1976, n. 319, ed avendo il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 141, confermato in capo alla nuova società le competenze già attribuite all’ente soppresso” (Cass., n. 14143 del 2011).

4.3. In aggiunta, deve considerarsi la summenzionata normativa speciale di settore è stata recepita dalla Convenzione del 30 settembre 2002, stipulata tra il Comune e l’Acquedotto, che prevede l’affidamento della gestione del Servizio Idrico Integrato all’AQP S.p.A., ponendo a carico del gestore il dovere di adeguare le opere, gli impianti e le canalizzazioni alle vigenti normative tecniche in materia di sicurezza. In forza della richiamata convenzione, la responsabilità derivante dalla gestione delle opere affidate all’AQP grava esclusivamente sulla detta società con l’obbligo di manlevare il Commissariato, l’Autorità d’Ambito e gli enti proprietari delle opere da ogni responsabilità connessa all’espletamento del S.I.I.. Cosicchè, le obbligazioni legali e quelle contrattuali, gravanti sull’Acquedotto, di provvedere alla manutenzione e all’esercizio del collettore fognario comporta – a suo esclusivo carico il dovere di controllare che la cosa in custodia non arrechi danni a terzi e, di conseguenza, esclude il rapporto materiale del Comune con la res de qua.

4.4. Pertanto, se si considera che la ratio del modello di responsabilità ex art. 2051 c.c., risiede proprio nello stretto rapporto intercorrente tra un soggetto (anche se non proprietario) e la cosa in custodia, tanto che giustifica la specialità del modello di responsabilità del custode, distinguendola, per taluni aspetti, dal modello generale, nel caso concreto, in virtù della normativa citata e della convenzione del 2002, il potere sul bene è da considerarsi nel completo governo dell’Acquedotto, con la conseguenza che non può normalmente residuare, neanche in via solidale e concorrente, una responsabilità di tal tipo in capo al Comune.

4.5. Nel caso specifico, a nulla rileva la eventuale consapevolezza del Comune dello stato di abbandono in cui versava il collettore gestito dall’Acquedotto, non avendone un potere gestorio. Ciò in quanto, la responsabilità del custode danneggiante non ripone tanto su un giudizio di comportamento non conforme alle generali regole cautelari di condotta, e pertanto – per andare esente da responsabilità – è necessario che il custode fornisca prova di un fattore interruttivo del nesso eziologico, di tipo oggettivo, tra la res in custodia ed il danno, ossia di un evento che integri gli estremi del fortuito. Infatti, “L’art. 2051 c.c., nell’affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa operando sul piano oggettivo dell’accertamento del rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale. (In applicazione del suesteso principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso qualsiasi profilo di negligenza – stante la mancanza, in tesi, di qualsiasi norma che imponesse l’obbligo di recinzione di una strada statale o di vigilanza per l’eventuale attraverso di animali – a carico dell’ANAS, ente proprietario della strada percorsa dal danneggiato con la propria autovettura e rimasto coinvolto in un incidente a causa della presenza di un bovino sulla carreggiata)” (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 2477 dell’1/2/2018; in senso conforme, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 12027 del 16/5/2017; Sez. 3, Sentenza n. 8229 del 7/4/2010).

4.6. Neppure ha rilievo, poi, la pregressa condizione del collettore o i suoi vizi strutturali, poichè l’obbligo di adeguare l’opera competeva, comunque, all’Acquedotto tenuto ad eseguire tutti i lavori, anche di rinnovazione e di riparazione straordinaria, ai sensi del R.D.L. n. 1464 del 1938, art. 8 (testualmente, “Le opere necessarie per le riparazioni straordinarie e per rinnovamenti delle reti e degli impianti di fognatura sono eseguite a cura dell’Ente autonomo (…)”). Infatti, secondo l’orientamento di questa Corte: “Il concessionario di un’opera pubblica è responsabile del danno subito da un privato in dipendenza del cattivo funzionamento della suddetta opera solo ove egli sia tenuto – per legge o per contratto – ad eseguire tutti i lavori di manutenzione, anche straordinaria, dell’opera. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dell’Ente Autonomo Acquedotto Pugliese per i danni derivati ad un privato dal cattivo funzionamento del sistema fognario e aveva affermato la responsabilità del Comune di Bitonto, proprietario di quel tratto di fogna, avendo accertato che i danni lamentati derivavano dall’omessa esecuzione di un’opera di straordinaria manutenzione alla cui esecuzione il concessionario, per convenzione, non era tenuto)” (Cass., Sez. 1, sentenza n. 3248 del 16/4/1997; in senso conforme, Cass., Sez. 3, sentenza n. 19773 del 23/12/2003).

4.7. In ultimo si rammenta, proprio in un caso analogo a questo, questa Corte ha avuto modo di rilevare che “Posto che l’Ente autonomo per l’Acquedotto pugliese è tenuto per legge (R.D.L. 2 agosto 1938, n. 1464) ad eseguire, nei comuni serviti dall’Acquedotto stesso, i lavori di riparazione straordinaria degli impianti di fognatura onde assicurarne il perfetto funzionamento, in capo al detto Ente è configurabile, in relazione al danno subito dal privato in dipendenza dello straripamento di liquami dall’impianto fognario per cattivo funzionamento dello stesso, una responsabilità secondo il criterio di imputazione stabilito dall’art. 2051 c.c., il quale si fonda non su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione, appunto di custodia, intercorrente tra l’Ente e la cosa dalla quale è derivato il danno” (Cass., Sez. 3, sentenza n. 19773 del 23/12/2003. In senso conforme, v. Cass., Sez. 1, sentenza n. 14143 del 27/6/2011). Anche in quel caso, questa Corte aveva escluso la responsabilità in via solidale del Comune sulla base di una corretta esegesi della stessa disciplina normativa.

5. In via subordinata, con il terzo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.. Si deduce che la Corte d’Appello abbia errato nel ritenere che il Comune, parte totalmente vittoriosa nel giudizio di primo grado, dovesse proporre appello incidentale per impugnare la sentenza del giudice di prime cure nella parte in cui, con riferimento alla sola posizione dell’Acquedotto, e non già del Comune (ritenuto privo di legittimazione passiva), aveva negato carattere di forza maggiore alle precipitazioni verificatesi il 10 giugno 2004, e cioè prima della rottura del collettore. In via ulteriormente subordinata, con il quarto motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omesso esame di alcuni fatti decisivi che erano stati oggetto di discussione tra le parti. In primo luogo, rileverebbe che è stata Delta Frutta stessa a confessare l’eccezionalità della pioggia alla data dell’evento; in secondo luogo, che il giudice di secondo grado non avrebbe considerato che l’eccezionalità degli eventi atmosferici verificatisi dal (OMISSIS) al (OMISSIS) avevano già danneggiato le coltivazioni di Delta; in terzo luogo, non si sarebbe accertato se vi era – alla data dell’evento (26 (OMISSIS)) – la prova dell’esistenza e dell’entità del raccolto; infine, la prova del cedimento del collettore per forza maggiore sarebbe già stata fornita e, tuttavia, non sarebbe stata considerata dal Collegio barese.

Con il quinto motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Si ritiene che il danno non fosse stato provato dal danneggiato e che il giudice di secondo grado abbia fondato la propria decisione direttamente sulla CTU svolta in primo grado che, tuttavia, non può considerarsi esonerativa dell’onere probatorio. Con il sesto ed ultimo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione del principio del tantum devolutum quantum appellatum ex art. 342 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., e del principio di conoscibilità erga omnes degli atti amministrativi. La Corte d’Appello, per ritenere la non conoscenza, da parte di Delta Frutta, dell’ordinanza del 13/1/1995 relativa al divieto di coltivazione nella zona, avrebbe indagato – in violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. – su profili mai messi in discussione dalla società. Peraltro, rileva che in capo a Delta Frutta sussisterebbe, comunque, un dovere giuridico, morale e professionale di conoscere la menzionata ordinanza.

5.1. I motivi nn. 3, 4, 5 e 6 sono assorbiti dall’accoglimento dei primi due motivi del ricorso. Conclusivamente il ricorso deve essere accolto relativamente al primo e al secondo motivo, determinante la cassazione della sentenza. La Corte, pertanto, decidendo nel merito, dichiara il difetto di legittimazione del ricorrente Comune di Acquaviva delle Fonti. Condanna C.F. e Acquedotto Pugliese S.p.A., in via tra loro solidale, alle spese di primo grado a favore del Comune ricorrente, liquidate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge; condanna C.F. alle spese di secondo grado a favore del Comune ricorrente, liquidate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge; condanna i controricorrenti C.F. e Acquedotto Pugliese S.p.A. alle spese del presente giudizio, liquidate come di seguito in base alle tariffe correnti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e decidendo nel merito, accoglie il primo e il secondo motivo, assorbiti il terzo, il quarto, il quinto e il sesto, e dichiara il difetto di legittimazione del ricorrente Comune di Acquaviva delle Fonti. Condanna C.F. e Acquedotto Pugliese S.p.A., in via tra loro solidale, alle spese di primo grado a favore del Comune ricorrente, liquidate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge; condanna C.F. alle spese di secondo grado a favore del Comune ricorrente, liquidate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge; condanna i controricorrenti C.F. e Acquedotto Pugliese S.p.A. alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.200,00, oltre 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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