Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8887 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. III, 13/05/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 13/05/2020), n.8887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5E44/2019 proposto da:

AZIENZA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI (OMISSIS), in persona del

Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TRIONFALE, 5637, presso lo

studio dell’avvocato GABRIELE FERABECOLI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PAOLO VINCI;

– ricorrente –

contro

L.M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEDILUCO

9, presso lo studio dell’avvocato PAOLO DI GRAVIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI PIETRO PASSONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1127/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 11/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/02/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2009, L.M.F. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bergamo – Sezione distaccata di Treviglio, l’Azienda Ospedaliera Ospedale Treviglio-Caravaggio, chiedendo di accertarne la responsabilità per il decesso del coniuge B.D. e per l’effetto condannarla al risarcimento per danno morale, oltre al danno iure proprio, patrimoniale e non patrimoniale, conseguente alla rottura del vincolo familiare.

A fondamento della domanda, l’attrice espose che, nella mattina del (OMISSIS), il B., affetto da cardiopatia ischemica nota con pregresso PTCA e stenting su coronaria destra e ramo interventricolare anteriore, si era recato presso il pronto soccorso dell’Ospedale lamentando forte dolore al torace; che erano stati eseguiti accertamenti di routine, da cui era emerso un alterato valore pressorio, mentre gli enzimi cardiaci erano risultati nella norma; che il paziente era stato dimesso due ore dopo il suo ingresso, con indicazione di eseguire un ecocardiogramma color doppler e una visita cardiologica e di fare rientro in ospedale in caso di ricomparsa della sintomatologia dolorosa; che nei giorni successivi il dolore si presentava con carattere intermittente e non intenso; che la sera del (OMISSIS) il B. aveva perso i sensi in seguito a dolore precordiale ed era poco dopo deceduto.

Si costituì in giudizio l’Azienda convenuta, eccependo la nullità dell’atto di citazione per indeterminatezza del petitum e della causa petendi e, nel merito, chiedendo il rigetto della domanda. Allegò che, in base alla cartella clinica, sarebbe stato desumibile che i sanitari del pronto soccorso avevano correttamente svolto gli accertamenti del caso, dai quali era emerso unicamente un alterato valore pressorio, peraltro rientrato prima della dismissione; che, inoltre, al paziente era stato rivolto espressamente l’invito a far rientro in ospedale qualora il dolore si fosse ripresentato e comunque a sottoporsi ad accertamento strumentale e a visita cardiologica; che non vi era alcuna certezza su quanto fosse avvenuto nell’intervallo di tempo tra dimissione e decesso e che, in ogni caso, se pure il B. avesse avvertito nuovi dolori, il mancato reingresso in pronto soccorso era stato frutto di una sua libera scelta, sicchè il decesso non era attribuibile alla condotta dei sanitari.

Istruita la causa mediante produzioni documentali, prova orale e c.t.u., il Tribunale adito, con la sentenza n. 59/2013, accolse la domanda, condannando l’Azienda convenuta al risarcimento dei danni subiti da parte attrice.

Per quel che qui ancora rileva, il Giudice di prime cure osservò che la c.t.u. aveva accertato che il decesso del B. era da attribuire ad imperizia, negligenza ed imprudenza del personale sanitario, che lo aveva precocemente dimesso, non interpretando correttamente il quadro clinico, non disponendo ulteriori indagini, nè richiedendo una consulenza cardiologica, senza trattenerlo in osservazione per almeno 612 ore al fine di valutare l’eventuale ricomparsa dei sintomi dolorosi e la possibile alterazione dei valori degli enzimi indicativi di una lesione miocardica in atto, in modo da escludere la presenza di una sindrome coronarica acuta. Quanto al danno non patrimoniale, il Tribunale ritenne che il pregiudizio per perdita del congiunto dovesse essere quantificato nella media dei valori indicati nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, tenuto conto, da un lato, dell’incremento determinato dal rapporto di coniugio in essere, dell’età biologica ancora giovane e della modalità improvvisa della scomparsa del B., elementi tali da aver determinato nella attrice una maggiore sofferenza, nonchè, dall’altro lato, della accertata cronicità della cardiopatia ischemica, che avrebbe consentito una ridotta aspettativa di vita.

2. La decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Brescia, con la sentenza n. 1127/2017, depositata l’11 agosto 2017.

La Corte territoriale, premesso che la metodologia, l’iter argomentativo e le conclusioni della c.t.u. non avevano formato oggetto di specifiche, circostanziate ed argomentate censure da parte del consulente di parte convenuta, ha ritenuto comunque non condivisibili le doglianze mosse dall’Azienda alle risultanze.

Secondo i giudici dell’appello, il c.t.u., con argomentazione logica e condivisibile, aveva accertato la condotta colposa dei sanitari, i quali, pur essendo a conoscenza della pregressa storia clinica del B. (soggetto cardiopatico e sottoposto in precedenza ad interventi), lo avevano dimesso in maniera superficiale e frettolosa, senza tenerlo in osservazione per un tempo sufficiente ad escludere una nuova patologia cardiaca e senza ripetere gli esami.

La Corte di merito ha inoltre ritenuto condivisibile la decisione di primo grado nella parte in cui aveva individuato nella patologia infartuale miocardica la causa della morte, in considerazione dei dati fattuali emersi – il paziente, affetto da seria cardiopatia, era deceduto dopo aver accusato, in casa, un forte dolore peristernale, pochi giorni dopo l’accesso in pronto soccorso – e della mancanza di qualsiasi indizio indicante una diversa eziologia dell’evento.

La Corte non ha invece ritenuto rilevante, al fine di escludere o ridurre la responsabilità dell’Azienda, il fatto che il B. avesse deciso di non far rientro in pronto soccorso nonostante i nuovi sintomi. Secondo i giudici dell’appello, l’essere stato dimesso senza che fosse completato l’iter di osservazione, aveva indotto il paziente a sottovalutare il significato della sintomatologia dolorosa avvertita. Inoltre, l’indicazione fornita al momento della dimissione sarebbe stata generica, non avendo i sanitari specificato a fronte di quali specifici sintomi, e di quale intensità degli stessi, il B. avrebbe dovuto ripresentarsi in pronto soccorso.

Infine, relativamente alla quantificazione del danno non patrimoniale, i giudici dell’appello hanno ritenuto congrua la valutazione effettuata dal Tribunale, pur in base ad argomentazioni parzialmente diverse.

La Corte, infatti, premesso che il rapporto di coniugio costituisce il presupposto fattuale del danno da perdita del congiunto e che il B. aveva (OMISSIS) anni ed era comunque affetto da una patologia cronica, ha tuttavia valorizzato la circostanza della repentinità del decesso.

L’improvvisa morte, verificatasi in casa, nelle circostanze riferite, dopo che il marito era stato dimesso dal pronto soccorso ad appena due ore dall’accesso, avrebbe indotto nella coniuge uno stato di maggior angoscia, essendosi trovata di fronte ad un evento inaspettato.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di (OMISSIS), nella quale è confluita la titolarità dei rapporti attivi e passivi facenti capo all’Azienda Ospedaliera Treviglio-Caravaggio.

3.1. Resiste con controricorso la signora L.M.F..

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c., per avere la Corte d’appello ritenuto non condivisibili in quanto tardive le contestazioni mosse alla c.t.u. in assenza di specifiche osservazioni mosse dal consulente di parte. Secondo la giurisprudenza di legittimità, pure in mancanza di osservazioni alla c.t.u., non sarebbe comunque precluso alle parti di criticare l’operato del consulente nella comparsa conclusionale, con il solo divieto di introdurre in giudizio fatti nuovi, nuove domande o eccezioni o nuove prove.

Pertanto, erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto non condivisibili le censure mosse dalla ricorrente alla c.t.u., trattandosi di semplici allegazioni difensive, già enunciate nella comparsa conclusionale del primo grado.

Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

La Corte d’appello, dopo aver premesso che le censure articolate dalla ricorrente nei confronti della metodologia, dell’iter argomentativo e delle conclusioni della c.t.u. – alle cui risultanze aveva aderito la sentenza di primo grado – dovevano ritenersi tardive, le ha comunque prese in considerazione, ritenendole infondate.

Non essendo state censurate tali ulteriori argomentazioni, l’eventuale accoglimento del presente motivo non permetterebbe alla ricorrente di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile.

4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., nonchè il vizio di motivazione, con riferimento all’erronea ricognizione sotto il profilo del dolo del comportamento del de cuius.

La Corte d’appello avrebbe infatti escluso il concorso del B. nella produzione dell’evento sulla base della mera mancanza di una volontaria e cosciente cooperazione dello stesso alla produzione dell’evento.

La Corte, invece, avrebbe dovuto valutare l’incidenza causale della condotta colposa del paziente, il quale, pur reso edotto della necessità di ritornare in pronto soccorso, disattendeva tale indicazione, lasciando che la patologia di cui era affetto facesse il suo corso fino a portare all’arresto cardiaco.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha correttamente escluso, con valutazione scevra da vizi logico-giuridici, la sussistenza di un concorso colposo del B. nella causazione dell’evento.

Ha infatti osservato che il paziente era stato indotto a sottovalutare il significato della sintomatologia dolorosa avvertita dalla condotta dei sanitari – i quali lo avevano dimesso dopo poche ore dall’accesso, senza sottoporlo ad esami più approfonditi – e che, comunque, l’indicazione ricevuta al momento della dimissione di ritornare al pronto soccorso qualora il dolore si fosse ripresentato era generica, non avendo i medici specificato in presenza di quali sintomi, e di che intensità, avrebbe dovuto tornare.

La motivazione appare del tutto scevra da vizi logico-giuridici di tale gravità da porla al di sotto del minimo costituzionale richiesto da questa Corte per ritenerla passibile di legittima censura, nè la ricorrente evidenzia, in concreto, l’esistenza di un fatto storico non oggetto di discussione in sede di merito di cui il giudice territoriale avrebbe omesso del tutto la valutazione.

4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 1226 e 2059 c.c., per avere la Corte d’appello erroneamente quantificato il danno non patrimoniale invocato dall’attrice in assenza di prove a sostegno di quanto dalla stessa affermato.

In particolare, la Corte d’appello avrebbe ritenuto equa la quantificazione del danno da perdita parentale compiuta dal Tribunale secondo i valori medi, ancorando il risarcimento ad una maggiore angoscia asseritamente subita dalla moglie per l’improvvisa scomparsa, la quale però non sarebbe stata nè allegata nè provata da parte attrice.

Inoltre, i giudici non avrebbero considerato l’accertata cronicità della cardiopatia ischemica da cui era affetto il B., che gli avrebbe consentito di sopravvivere, nei successivi 5 anni, con una probabilità stimata al 38%.

Il motivo è inammissibile.

La liquidazione in via equitativa del danno non patrimoniale (nella specie da perdita parentale) e la personalizzazione entro le percentuali massime di aumento previste nelle tabelle di Milano resta affidata ad apprezzamenti discrezionali del giudice di merito, non censurabili in sede di legittimità se non sotto il profilo motivazionale.

Nel caso di specie, invece, il ricorrente impugna il capo della sentenza in questione solo sub art. 360 c.p.c., n. 3.

In ogni caso, la motivazione della decisione in esame dà adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla personalizzazione della liquidazione, indicando le specifiche circostanze concrete di cui si è tenuto conto, ivi compreso, da un lato, il fatto, pacifico in giudizio, che la perdita era avvenuta in modo del tutto inaspettato (in considerazione del fatto che i sanitari avevano dimesso l’uomo dopo poco tempo dell’ingresso) circostanza che, presuntivamente, aveva acuito la sofferenza della moglie, provocandole maggior angoscia, dall’altro, il quadro clinico pregresso del paziente. Correttamente la Corte territoriale valorizza appieno l’aspetto della sofferenza interiore patita dal coniuge superstite, in ossequio ai più recenti arresti di questa Corte di legittimità (Cass. 901/2018, 7513/2018, 2788/2019, 25988/2019), poichè il danno morale, allegato e poi provato anche solo a mezzo di presunzioni semplici, costituisce assai frequentemente l’aspetto più significativo della perdita del rapporto parentale.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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