Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8886 del 11/04/2013
Civile Sent. Sez. 1 Num. 8886 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO
SENTENZA
sul ricorso 10890-2006 proposto da:
PELUSO
GIOVANNI
(c.f.
PLSGNN68T18Z133B),
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAURIANOVA
101,
presso
rappresentato
l’avvocato
e
difeso
DAMIANI
dall’avvocato
GIOVANNI,
Data pubblicazione: 11/04/2013
FASANO
FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente
2013
contro
383
CAVALERA
EUPREMIO,
BROCCA
FRANCESCO,
PELUSO
ANTONIO;
1
- intimati sul ricorso 10894 2006 proposto da:
–
PELUSO
ANTONIO
(C.F.
PLSNTN42E01H147K),
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PRATI
FISCALI 284, presso l’avvocato COLELLA STEFANO,
MASSIMO, giusta procura a margine del controricorso
e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro
PELUSO
GIOVANNI,
FRANCESCO,
BROCCA
CAVALERA
EUPREMIO;
– intimati avverso la sentenza n.
435/2005 della CORTE
D’APPELLO di LECCE, depositata il 21/06/2005;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 07/03/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
rappresentato e difeso dall’avvocato BASURTO
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso
per il rigetto del ricorso.
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Svolgimento del processo
1.- Il Tribunale di Lecce, con sentenza 19 luglio 2002,
veniva adito da Peluso Giovanni, quale amministratore della
ditta individuale PE.GI . di Peluso G., il quale chiedeva la
condanna di Cavalera Eupremio al pagamento di £. 30.500.00,
a titolo di corrispettivo per merce venduta e non pagata.
Il Cavalera riconosceva il proprio debito e affermava di
non avere pagato per l’incertezza nell’individuazione
dell’avente diritto e su richiesta degli stessi soci della
società di fatto, costituita da Peluso G., Brocca Francesco
e D’Ippolito Carlo, nella quale era stata conferita la
ditta PE.GI . Nel giudizio interveniva il Brocca il quale
confermava quanto esposto dal Cavalera e chiedeva il
pagamento in suo favore dell’importo di £. 22.159.841, da
detrarre dal totale di £. 30.500.00, con la differenza di
£. 8.349.159 che spettava a Peluso G. Interveniva anche
Peluso Antonio, padre di Giovanni, il quale, sostenendo di
vantare un credito verso la ditta PE.GI . per l’opera
prestata nel 1991 e 1992 e che l’unica garanzia era
costituita dal credito della medesima ditta verso il
Cavalera, chiedeva la condanna del Cavalera a pagare a
Peluso G. e la condanna di quest’ultimo e del Brocca a
pagare a lui la somma di £. 20.000.000. Lo stesso Peluso A.
aveva chiesto al Pretore del lavoro di Lecce il sequestro
conservativo della somma di £. 30.500.00, a garanzia del
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credito derivante da prestazioni lavorative eseguite per la
società.
Riuniti i giudizi, il tribunale adito, con sentenza 19
luglio 2002, ordinava lo svincolo della somma di
e
15.751,94 (corrispondente a £. 30.500.00) già depositata
dal Cavalera su un libretto bancario a seguito di ordinanza
emessa dal giudice istruttore ex art. 186
ter c.p.c. e la
ripartiva in C 10.597,70 a favore del Brocca e in E
5.154,23 a favore di Peluso G.; riteneva che Peluso A.
aveva già ricevuto quanto gli spettava per i titoli dedotti
in giudizio.
2.- Proponevano separati appelli Peluso G. e Peluso A.,
entrambi rigettati dalla Corte di appello di Lecce, con
sentenza 21 giugno 2005, che condannava gli appellanti a
pagare le spese in favore del Cavalera e del Brocca. La
corte, dichiarata inammissibile l’eccezione di nullità
della c.t.u. svolta in primo grado, ha affermato di
condividere i criteri seguiti dal c.t.u. per la
ripartizione della somma di E 15.751,94 tra Peluso G. e
Brocca; ha ritenuto che Peluso A. nulla aveva chiesto per
l’attività di factotum della società di fatto né per essere
stato effettivo socio di questa e aveva ricevuto quanto
dovutogli per l’attività di amministratore della società.
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3.- Avverso detta sentenza ricorrono Peluso G., che propone
censure riassumibili in sei motivi, e Peluso A., che
.
formula sostanzialmente quattro motivi. Brocca e Cavalera
non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Esaminando il ricorso principale, nel primo motivo,
..
Peluso G. censura la sentenza impugnata per
contraddittorietà della motivazione, per avere la corte
ritenuto che Peluso A. era socio effettivo e, allo stesso
tempo, per avere assegnato pro quota a lui stesso Peluso G.
il residuo attivo del patrimonio sociale, nonché per
carenza di motivazione, avendo aderito acriticamente alle
conclusioni del c.t.u. e ripartito erroneamente il residuo
attivo della società.
..
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente Peluso G. non ha interesse a dolersi della
asserita contraddittorietà della motivazione attinente a un
profilo della decisione che è per lui favorevole
(l’attribuzione a suo favore del residuo attivo del
patrimonio sociale).
Inoltre, occorre osservare che, alla luce dei noti principi
di
specificità
e
autosufficienza
del
ricorso per
cassazione, ove parte ricorrente denunzi l’omesso o
–
insufficiente esame di fatti, circostanze, rilievi mossi
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alle risultanze d’ordine tecnico e al procedimento seguito
dal consulente d’ufficio, il motivo non può essere limitato
a censure d’erroneità e/o d’inadeguatezza della motivazione
o d’omesso approfondimento di determinati temi d’indagine,
prendendo in considerazione emergenze istruttorie
asseritamente suscettibili di diversa valutazione e
traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è
pervenuto il consulente d’ufficio poi recepite dal giudice;
è, per contro, necessario che la parte ricorrente non solo
precisi e specifichi, svolgendo concrete e puntuali
critiche, le risultanze e gli elementi di causa dei quali
lamenta la mancata o insufficiente valutazione, ma che
indichi le controdeduzioni alla consulenza d’ufficio
effettivamente svolte nel giudizio di merito e dimostri
come le stesse siano state neglette e come ciò abbia
comportato l’erroneità della decisione impugnata.
Nella specie, nelle deduzioni di parte ricorrente non
risulta adeguatamente esplicitato se, in quali termini, in
quali occasioni e con quali atti, alla corte di merito
siano stati segnalati errori del consulente d’ufficio, così
nell’elaborazione dei dati posti a base della relazione,
come nello svolgimento dell’iter logico iniziato con
l’analisi di quei dati e terminato con le rassegnate
conclusioni. Il ricorrente si è limitato a fare riferimento
ad alcuni elementi di giudizio e a trarne le proprie
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personali conclusioni per dimostrare l’assunta erroneità
delle argomentazioni del consulente d’ufficio e della corte
territoriale, così traducendosi il motivo non in una
specifica censura ma in una semplice prospettazione di tesi
difformi da quelle recepite dal giudice
a quo,
del tutto
irrilevante in questa sede, attenendo all’ambito della
discrezionalità del giudice del merito nella valutandone
dei fatti e nella formazione del proprio convincimento, dei
quali si finisce per chiedere una revisione inammissibile
nel giudizio di legittimità.
2.- Il secondo motivo di ricorso deduce la nullità della
c.t.u. espletata in primo grado per violazione degli artt.
194, 198 c.p.c. e 90 disp. att. c.p.c., essendosi il
consulente avvalso di informazioni assunte dalle parti e di
documenti (il cd. manoscritto “Maglie 19.2.2002” privo di
sottoscrizione) senza il consenso delle parti o
un’autorizzazione del giudice il quale gli aveva chiesto
solo di ricostruire il bilancio.
Il motivo è inammissibile.
Come correttamente rilevato dalla corte territoriale,
l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio
proposta per la prima volta in sede di appello era
inammissibile e, di conseguenza, lo è anche in questa sede,
alla luce del principio che l’eccezione di nullità della
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c.t.u.,
dedotta per vizi procedurali inerenti alle
operazioni peritali, avendo carattere relativo, resta
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sanata se non fatta valere nella prima istanza o difesa
successiva al deposito (Cass. n. 1744/2013, n. 8347/2010).
3.- Nel terzo motivo si deduce violazione di legge (artt.
1241 ss., 2280, 2282, 2733 c.c. e 112 c.p.c.) per avere i
. giudici di merito affermato che Peluso A. era socio
effettivo della società, sebbene risultasse che i soci
erano Peluso G. e Brocca, nonché per avere il c.t.u. e le
“decisioni impugnate” ritenuto erroneamente estinto per
compensazione il credito di Peluso G. (per rimborso di un
finanziamento alla società di £. 21.942.317 e per rimborso
del capitale conferito di £. 27.750.000) con il debito di
un terzo, cioè del presunto socio Peluso A. per la
• reintegrazione del patrimonio sociale, essendosi
quest’ultimo appropriato di denaro della cassa sociale, con
conseguente erronea ripartizione dell’attivo di e
15.751,94.
Il motivo è inammissibile.
Avendo la sentenza impugnata rigettato le domande di Peluso
A., non si vede quale sia l’interesse di Peluso G. a
censurare la sentenza impugnata per l’incidentale
affermazione contenuta nella motivazione che suo padre
..
sarebbe stato socio della società. Inoltre il tema della
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compensazione non è stato trattato dalla corte territoriale
e, quindi, il motivo non coglie la
ratio decidendi della
sentenza impugnata.
4.- Il ricorrente principale, nel quarto motivo, deduce
violazione dell’art. 97, comma l, c.p.c. per la sua
condanna alle spese in favore della parte appellata
Cavalera (in solido con Peluso A.), chiamato in giudizio
per ordine del giudice in uno dei due giudizi di merito.
Il motivo è infondato, alla luce del principio secondo cui
colui che attivamente o passivamente si espone all’esito
del processo, oltre a conseguire i vantaggi, deve anche
sopportare le eventuali conseguenze sfavorevoli che, in
ordine alle spese, sono stabilite a suo carico in base al
principio della soccombenza e ciò anche se si tratti di
spese non rigorosamente conseguenziali e strettamente
dipendenti dall’attività della parte rimasta soccombente
(Cass. n. 9049/2006).
5.- Venendo al ricorso incidentale di Peluso A., il primo e
secondo motivo deducono contraddittorietà e illogicità
della motivazione e violazione di legge (sono indicati gli
artt. 116, 229 c.p.c. e 2733 c.c.), per avere i giudici di
merito ritenuto che egli avesse ricevuto quanto dovutogli,
aderendo acriticamente alle conclusioni della c.t.u. e
senza una adeguata motivazione, nonché per avere prima
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affermato che Peluso Antonio era socio effettivo e poi
liquidato il capitale soltanto in favore di Giovanni Peluso
e Brocca Francesco.
Entrambi i motivi sono inammissibili: quello relativo alla
I
del ricorso principale;
c.t.u., per le ragioni espresse in risposta al primo motivo
quello relativo all’asserita
. contraddittorietà della motivazione, perché prescinde dalle
ragioni esposte dai giudici di merito, i quali hanno
osservato che Peluso A. ha ricevuto regolarmente i compensi
per il suo lavoro di “direzione svolto all’interno
dell’azienda e, in particolare, per la sua funzione di
amministratore della società” e che per l’attività di
factotum e di socio della società “nessuna somma può
,
–
essergli
•
w
alcunché”.
riconosciuta”
non
avendo
egli
“richiesto
6.- Il terzo motivo dell’incidentale deduce violazione di
legge per avere i giudici di merito ritenuto sussistente la
prova del fatto estintivo del diritto al compenso azionato
da Peluso A. mediante semplice relazione alle
argomentazioni del c.t.u.
Il motivo ripropone la medesima critica alla c.t.u.
giudicata inammissibile in relazione al primo motivo del
ricorso principale.
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7.- Il quarto motivo ripropone la medesima questione sulle
spese, giudicata infondata, introdotta nel quarto motivo
del ricorso principale di Peluso G.
8.- Entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati. Sussistono
cassazione, tenuto conto della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso
incidentale; compensa le spese del giudizio.
Roma, 7 marzo 2013.
Il Presid
giusti motivi per compensare le spese del giudizio di