Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8883 del 31/03/2021
Cassazione civile sez. trib., 31/03/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 31/03/2021), n.8883
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23519/2014 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope
legis;
– ricorrente –
Contro
Cibele Uno s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via Crescenzio n. 2, presso lo
studio dell’avv. Guglielmo Fransoni, che la rappresenta e difende
con gli avv.ti Pasquale Russo e Francesco Padovani, giusta procura
in calce al controricorso;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2547/35/14 della Commissione tributaria
regionale del Lazio, depositata in data 16 aprile 2014;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 ottobre
2020 dal Consigliere Paolo Fraulini.
Fatto
RILEVATO
Che:
1. La Commissione tributaria regionale del Lazio, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto il ricorso proposto dalla Cibele Uno s.r.l. avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS) con la quale venivano iscritte a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, le sanzioni (pari al 30%) relative al tardivo versamento degli importi dovuti a titolo di acconto e saldo dell’IRAP relativa all’anno di imposta 2006.
2. Ha rilevato il giudice di appello che la contribuente si era legittimamente avvalsa del ravvedimento operoso previsto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, nonchè dal D.P.R. n. 435 del 2001, art. 17, e che, in ogni caso, all’epoca esistevano obiettive condizioni di incertezza circa la debenza del tributo, sicchè trovava applicazione la L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, (c.d. Statuto del contribuente), in tema di esonero dalle sanzioni per incertezza della normativa tributaria sostanziale di riferimento.
3. Per la cassazione della citata sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso affidato a tre motivi; la Cibele Uno s.r.l. ha resistito con controricorso.
Diritto
CONSIDERATO
Che:
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: “Nullità per carenza della motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (quanto al primo capo)” deducendo l’assenza di alcuna spiegazione delle ragioni per cui il giudice di secondo grado è giunto a concludere che il ravvedimento si fosse ritualmente perfezionato, stante le plurime contestazioni dell’Ufficio sul punto, contenute anche nell’atto di costituzione in appello.
b. Secondo motivo: “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 57 e 51, dell’art. 345 c.p.c. dell’art. 112 c.p.c. e dei principi in tema di ultrapetizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (quanto al primo capo)” deducendo che la CTR avrebbe omesso di rilevare la tardività dell’eccezione della contribuente circa la decorrenza del termine per il ravvedimento operoso, siccome formulata per la prima volta con la memoria autorizzata in appello, con conseguente ultrapetizione.
c. Terzo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (quanto al secondo capo)” deducendo l’erroneità della sentenza laddove ha ritenuto che all’epoca dei fatti vi fosse obiettiva incertezza sull’interpretazione della normativa applicabile alla fattispecie, da ritenersi invece del tutto insussistente in tema di sanzioni per l’omesso versamento dell’Irap.
2. La contribuente argomenta l’inammissibilità del ricorso, di cui chiede comunque il rigetto nel merito.
3. Il ricorso va accolto.
4. Il primo motivo è infondato. La sentenza è nulla per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, solo quando possa dirsi apparente, nel senso precisato a far data da Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016, n. 22232, ovvero quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Tale condizione non si verifica nel caso di specie. Invero, la motivazione resa dalla CTR va letta nella sua integralità, ovvero unendo le considerazioni, obiettivamente scarne, contenute nella parte motiva, con quelle svolte nella ricostruzione fattuale contenuta nello svolgimento del processo. Tanto conduce a ritenere che, allorquando il giudice di appello ha affermato che i termini per il pagamento della sanzione in misura ridotta erano stati rispettati, così come quando ha dichiarato legittimo il ricorso al ravvedimento operoso dichiarando incerto il panorama normativo di riferimento all’epoca dei fatti, ha chiaramente inteso confutare le diverse tesi difensive erariali riportate nella prima parte della sentenza che, complessivamente considerata, consente di individuare la ratio decidendi ed esclude il vizio denunciato.
5. Il secondo motivo di ricorso è infondato. Le Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 27 del 21/02/2000) hanno precisato che nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonchè del provvedimento in concreto richiesto. Ciò che nel processo tributario si è tradotto nella considerazione che ciò che qualifica la domanda è la pretesa sostanziale di eliminazione del provvedimento impugnato, ben potendo la parte illustrare, anche in appello, la propria posizione con argomenti diversi da quelli originariamente introdotti, con il sof limite della loro riferibilità alla medesima domanda originariamente proposta (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 6391 del 13/03/2013; Sez. 5, Sentenza n. 18519 del 20/09/2005). Nella specie oggetto del contendere era la legittimità del ravvedimento operoso; ne consegue che la questione della sua tempestività, una volta che la questione sostanziale di accertamento della legittimità del procedimento era stata correttamente devoluta in appello, costituisce un’ulteriore difesa a sostegno dell’accoglimento dell’originaria domanda e, come tale, non è domanda nuova, nè eccezione in senso stretto.
6. Il terzo motivo è fondato. La questione verte sulla valutazione della legittimità del ricorso da parte della società al ravvedimento operoso, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3. Circostanza ritenuta legittima dal giudice di primo grado, che aveva fondato il rigetto del ricorso del contribuente in relazione alla diversa questione delle modalità del suo adempimento. Questione devoluta alla cognizione del giudice di appello, come la CTR mostra di ben conoscere riportando nello svolgimento del processo la relativa eccezione di inapplicabilità formulata dall’appellata Agenzia delle Entrate, e risolta nel senso della affermata legittimità, siccome all’epoca dei fatti sussisteva obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della disciplina dell’Irap, segnatamente in tema di persistente debenza dell’imposta. Tale motivazione riposa tuttavia su un’interpretazione errata della normativa applicabile alla fattispecie. Ed invero, quand’anche le succitate considerazioni rese dalla CTR volessero inquadrarsi nel contesto normativo/giurisprudenziaie esistente a proposito di Irap nell’anno di imposta 2006, come illustra la controricorrente a commento del motivo in esame, nondimeno la corretta esegesi dello stesso conduce a ritenere insussistente il presupposto per applicare il ravvedimento operoso nel senso invocato dalla contribuente. Questa Corte ha affermato il condivisibile principio, che va ribadito, secondo cui l’incertezza normativa oggettiva è caratterizzata dall’impossibilità di individuare con sicurezza e univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) iD contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente (Sez. 5, Ordinanza n. 15452 del 13/06/2018). Nel caso di specie, all’epoca dei fatti era entrato in vigore il D.L. 7 giugno 2006, n. 206, art. 1, convertito con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2006, n. 234, che testualmente recita: “In caso di violazione dell’obbligo di versamento in acconto o a saldo dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, relativo al periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, non si applicano le disposizioni in materia di riduzione delle sanzioni previste dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13 e successive modificazioni, nonchè dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma 2 e successive modificazioni.”.
Il contenuto letterale della disposizione esclude che si sia in presenza di alcuno degli indici di obiettiva incertezza sopra richiamati.
La norma è chiaramente individuabile e ha un contento precettivo chiaro e immediatamente individuabile: l’esclusione della possibilità di riduzione delle sanzioni tributarie all’ipotesi di omesso versamento dell’Irap.
Va, peraltro, rilevato, che gli indici di incertezza dedotti dalla contribuente a sostegno della diversa opinione prospettata, non riguardano la citata disposizione, ma la più generale questione della legittimità dell’imposta Irap, all’epoca oggetto di ricorso alla Corte GUE e di contrasto giurisprudenziale tra alcuni giudici tributari di merito.
Tale questione è, però, estranea alla fattispecie in esame, laddove la citata norma del D.L. n. 206 del 2006 è intervenuta proprio per sanzionare quei contribuenti che avevano ritenuto di omettere il versamento dell’imposta ipotizzando che essa non fosse dovuta per effetto del presumibile successo (poi rivelatosi infausto) della sua impugnazione in sede comunitaria.
A ciò si aggiunga che la pendenza di una impugnazione in sede comunitaria della legittimità della imposta Irap, così come le conclusioni dell’Avvocatura generale della Corte GUE non possono essere sussunte nel canone del contesto giurisprudenziale idoneo a concretizzare uno degli elementi di incertezza, peraltro del tutto fugata dalla entrata in vigore come detto di una norma interna ad hoc che ribadisca la debenza del tributo.
7. Tanto determina l’accoglimento del ricorso; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto dell’impugnazione originariamente proposta dalla Cibele Uno s.r.l. avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS).
8. Le spese di lite della fase di merito possono essere integralmente compensate tra le parti, mentre quelle dell’I’ presente fase di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo di ricorso e, decidendo nel merito, rigetta l’impugnazione proposta dalla Cibele Uno s.r.l. avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS); dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite relative ai due gradi di giudizio di merito e condanna la Cibele Uno s.r.l. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021