Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8881 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 31/03/2021, (ud. 20/10/2020, dep. 31/03/2021), n.8881

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13067/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE SPORTIVA PEDALE CASTANESE, elettivamente domiciliata in

Roma, viale di Villa Massimo 57, presso lo studio dell’avv. Eugenio

Della Valle, che lo rappresenta e difende unitamente agli avv.to

Gianfranco Di Garbo e Guido Brocchieri;

– ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza n. 161/50/13 della Commissione tributaria

regionale di Milano, depositata il 21/11/2013 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2020 dalla Dott.ssa Valeria Pirari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In seguito alle verifiche compiute per l’anno 2007, l’Agenzia delle Entrate notificò alla Associazione sportiva Pedale Castanese plurimi avvisi di accertamento relativi all’anno oggetto di verifica e agli anni 2005, 2006 e 2008, ai fini Irap, Ires e Iva, con i quali, dopo avere distinto tra attività istituzionale e attività commerciale, aveva contestato un’indebita deduzione di spese istituzionali a fronte di entrate commerciali e un’indebita detrazione Iva, assolta in occasione di spese istituzionali, e aveva rideterminato, in riduzione, i costi deducibili in quanto afferenti a spese istituzionali.

Impugnati i predetti atti dalla contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Milano rigettò i ricorsi con sentenza n. 311/44/12, che fu riformata in secondo grado, su appello della contribuente, con sentenza n. 161/50/13.

2. Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. La contribuente resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidandolo a due motivi e illustrandolo anche con memoria ex art. 380 c.p.c., comma 1 bis.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, l’Ufficio denuncia la violazione D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 143, art. 144, comma 2, art. 148, commi 2, 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la C.T.R. aveva omesso di esaminare la natura commerciale o meno delle entrate e dei costi in discussione, limitandosi ad affermare che la contribuente svolgeva attività sia istituzionale, sia commerciale, senza fine di lucro e con utilizzo degli incassi per entrambi gli scopi, e non aveva invece tenuto conto della fattispecie concreta e delle norme che regolano il caso dell’ente non commerciale che svolga anche attività commerciale e perciò con fine di lucro, soggetta al pagamento dell’Ires, indipendentemente dalla destinazione dei ricavi a fini istituzionali.

2. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 5, art. 143, comma 1, art. 144, comma 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. sostanzialmente omesso di valutare se le entrate da sponsorizzazione e i relativi costi fossero commerciali e imponibili, avendo ritenuto di utilizzare il metodo della ripartizione dei costi non inerenti all’attività commerciale in base agli incassi ottenuti (quote dei soci e incassi pubblicitari) e avendo ritenuto deducibili tutte le spese, anzichè solo quelle relative alle entrate commerciali, senza tener conto che la deduzione in proporzione al rapporto entrate commerciali/entrate complessive vale per le spese promiscue.

3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 350 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. presunto la natura non istituzionale dei costi sulla base della proporzione tra entrate istituzionali (le quote) e commerciali (la pubblicità), senza esaminare la natura commerciale o meno di ciascun costo, benchè con gli avvisi di accertamento l’Ufficio avesse contestato l’illegittima deduzione di spese sostenute per la partecipazione a gare e competizioni ciclistiche in quanto differenti dall’attività istituzionale dell’ente e la contribuente avesse ribadito la natura commerciale delle spese in quanto sostenute per la partecipazione a gare di atleti agonisti estranei all’associazione.

4. Con il quarto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., per avere la C.T.R. apoditticamente affermato la natura mista dell’attività della società, con conseguente deducibilità di tutte le spese e l’Iva su di esse gravante, senza in alcun modo motivare.

5. Con il quinto motivo, infine, si lamenta la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 109 e 148, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. considerato di natura commerciale, ai fini fiscali, l’attività di organizzazione e partecipazione ad eventi sportivi svolta dalla Associazione, benchè questa fosse inserita, nello statuto, tra i suoi obiettivi istituzionali, sì da non poter essere considerata come commerciale soltanto perchè sostenuta con entrate commerciali. Premesso che l’attività della contribuente è quella di promozione dello sport del ciclismo, a mezzo di attività didattica e di preparazione di giovani atleti, di organizzazione/partecipazione ad eventi sportivi e di erogazione di servizi pubblicitari (sponsorizzazioni) a favore di terzi, attraverso la divulgazione dei loro marchi nelle competizioni e nelle brochure delle manifestazioni (pubblicità commerciale), la partecipazione ad eventi sportivi deve considerarsi, ad avviso dell’Ufficio, attività istituzionale naturale, come anche dunque le relative spese, ad eccezione di quelle di carattere commerciale riguardanti la realizzazione dei loghi degli sponsor sulle magliette degli atleti, siccome direttamente inerenti alle entrate commerciali provenienti dalle sponsorizzazioni, sicchè devono reputarsi istituzionali le spese di manutenzione degli automezzi e quelle per la partecipazione alle competizioni sportive (trasporto, vitto, alloggio degli atleti), in quahto strumentali alle finalità sportive dell’associazione, e commerciali quelle di riproduzione dei loghi degli sponsor.

6. Con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato, la contribuente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla dedotta illegittimità del provvedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative, sia in quanto privo di motivazione in relazione ai criteri sanciti dal D.Lgs. 19 dicembre 1997, n. 472, art. 7, che impone di valutare, al pari delle norme penali” la gravità della violazione desunta dalla condotta dell’agente, l’opera svolta per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze, la personalità dell’autore e le sue condizioni economiche e sociali, e per aver ancorato la decisione sul punto alla sola motivazione dell’accertamento, sia in quanto emesso in violazione del D.Lgs. 19 dicembre 1997, n. 472, art. 12, senza tener conto che le contestate violazioni riguardavano diversi periodi di imposta, generando un illegittimo cumulo materiale delle sanzioni irrogate.

7. Con il secondo motivo di ricorso incidentale condizionato, infine, si lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere del tutto assente la motivazione in relazione alle questioni illustrate nel primo motivo.

8. I motivi proposti col ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati.

L’Ufficio sostanzialmente censura il fatto che la C.T.R. non abbia esaminato la natura commerciale o meno, ai fini fiscali, di entrate e costi, con specifico riguardo all’attività di organizzazione e partecipazione ad eventi sportivi inserita nello Statuto e svolta dall’Associazione, nè analizzato, ai fini della loro deducibilità, la natura di ciascuno di essi, e abbia, invece, utilizzato il metodo della ripartizione dei costi non inerenti all’attività commerciale in base agli incassi ottenuti e applicato la presunzione della natura non istituzionale dei costi sulla base della proporzione tra entrate istituzionali (le quote) e commerciali (la pubblicità).

8.1 Si osserva innanzitutto che per gli enti non commerciali (residenti) il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 143, stabilisce che non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c., rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione.

L’art. 148, commi 2, 3 e 4, con specifico riguardo agli enti di tipo associativo, prevede inoltre che “si considerano tuttavia effettuate nell’esercizio di attività commerciali, salvo il disposto del secondo periodo dell’art. 143, comma 1, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto”, i quali “concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità” (comma 2), che “per le associazioni (…) sportive dilettantistiche (…) non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonchè le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati” (comma 3), e che “la disposizione del comma 3 non si applica per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, per le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, per le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e per le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali nè per le prestazioni effettuate nell’esercizio delle seguenti attività: a) gestione di spacci aziendali e di mense; b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; d) pubblicità commerciale; e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari (comma 4)”.

8.2 Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’esenzione d’imposta prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148 (già art. 111), in favore delle associazioni non lucrative dipenda non dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento, in via prevalente, di attività senza fine di lucro, rese in conformità ai fini statutari non rientranti nella fattispecie di cui all’art. 2195 c.c., mancanti di specifica organizzazione e realizzate verso pagamento di corrispettivi non eccedenti i costi di diretta imputazione (cfr. con specifico riguardo alla associazione sportiva dilettantistica, Cass. 05/08/2016 n. 16449, Cass. 30/04/2018, n. 10393, Cass. n. 31427/2019, Cass., sez. L., 30/04/2019, n. 11492; Cass., sez. 5, 11/12/2012, n. 22578), con la conseguenza che va disconosciuto il regime di favore previsto dall’art. 143 (già art. 108) del citato D.P.R. n., per carenza di detti requisiti di “decommercializzazione”, in caso di distribuzione degli utili, omessa compilazione del libro dei soci e mancata partecipazione degli associati alla vita dell’ente (vedi Cass. 21/07/2020, n. 15544).

Pertanto, non sono considerate commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, come contenute nelle clausole riguardanti la vita associativa da inserire nello statuto o nell’atto costitutivo (vedi, Cass. 30/04/2018, n. 10393; Cass., sez. 5, 11/03/2015, n. 4872; Cass., sez. 5, 12/12/2018, n. 32119), sebbene dietro pagamento di uno specifico corrispettivo, a favore dei propri associati, purchè siano concretamente rispettate quelle clausole statutarie che assicurano l’effettività del rapporto associativo, quali ad esempio il diritto di voto in relazione all’approvazione e modificazione dello statuto e dei regolamenti ed alla nomina degli organi direttivi (Cass., 4 marzo 2015, n. 4315; Cass., sez. 5, 06/06/2019 n. 15327; vedi anche Cass., sez. 6-5, 14/09/2020, n. 19070; in tema di associazione sportive dilettantistiche, come quella di specie, vedi Cass. 21/07/2020, n. 15544; Cass., 12/12/2018, n. 32119, Cass. 23167 del 2017).

La necessità di valutare l’effettiva attività svolta dall’ente, indipendentemente dalla sua qualificazione formale, e la sua conformità alle relative clausole statutarie o di quelle contenute nell’atto costitutivo sorge, infatti, dallo stesso disposto di cui al cit. art. 111, comma 2 (come detto, ora art. 148, comma 2, in virtù della riforma introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344), che disciplina l’ipotesi in cui le associazioni senza fine di lucro svolgano, di fatto, anche attività commerciale, posto che il comma 1, in forza del quale le attività svolte dagli enti associativi a favore degli associati non sono considerate commerciali e le quote associative non concorrono a formare il reddito complessivo, costituisce una deroga alla disciplina generale, fissata dal D.P.R. n. 917 (ora artt. 72 e 73), artt. 86 e 87, secondo la quale l’IRPEG si applica a tutti i redditi, in denaro o in natura, posseduti da soggetti diversi dalle persone fisiche, sicchè, non godendo gli enti di tipo associativo di uno status di extrafiscalità che li esenta, per definizione, da ogni prelievo fiscale, l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’art. 2697 c.c. (cfr Cass., sez. 5, 20/01/2006, n. 22598; Cass. 21/07/2020, n. 15544, Cass. n. 3360 del 2013; id n. 15474 del 2018; Cass. n. 23167 del 04/10/2017; cass., sez. 5, 29/07/2005, n. 16032).

Sono invece considerate commerciali, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, le attività che rientrano nella definizione di cui all’art. 2195 c.c. e dunque tutte le prestazioni di servizi rese dall’associazione nei confronti di soggetti diversi dagli associati dietro pagamento di corrispettivi specifici (Cass., sez. 5, 30/10/2002, n. 15321) e quelle svolte a pagamento nei confronti dei soci che non rientrino nelle finalità dell’ente come indicate nell’atto costitutivo o nello statuto (Cass., sez. 5, 12/10/2005, n. 19839), così come, tra le altre, la pubblicità commerciale (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 148, comma 4).

8.3 Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 144, comma 2, nello stabilire che “per l’attività commerciale esercitata, gli enti non commerciali hanno l’obbligo di tenere la contabilità separata”, prevede, per gli enti non commerciali che esercitano anche attività commerciale, un regime contabile particolare, che impone di rilevare distintamente i fatti amministrativi riguardanti l’attività istituzionale da quelli riguardanti l’attività commerciale, al fine di mantenere separati i due concorrenti ambiti e rendere più trasparente la contabilità commerciale, in quanto consente di evidenziare la natura della posta contabile (in tal senso Cass., sez. 5, 03/07/2015, n. 13751).

Ciò comporta che i fatti amministrativi che esulano dall’esenzione di cui al cit. art. 148, in quanto non afferenti all’attività istituzionale, ma aventi natura commerciale, seguono, per il calcolo delle imposte, il regime ordinario o, se prescelto, quello forfetario o, ancora, quello di cui alla L. 16 dicembre 1991, n. 398 proprio delle associazioni sportive dilettantistiche, ivi compreso, in assenza di espressa disposizione derogatoria, il rispetto del principio di competenza economica che, ai sensi dell’art. 109, viene in considerazione per la determinazione del reddito (in tal senso, Cass., sez. 5, 03/07/2015, n. 13751), rispondendo a questa logica la stessa previsione normativa della contabilità separata, altrimenti del tutto inutile.

Quanto alla deducibilità delle spese, l’unico regime speciale è quello previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 144, comma 4, con riguardo ai beni e ai servizi adibiti promiscuamente all’esercizio di attività commerciali e di altre attività, i quali “sono deducibili per la parte del loro importo che corrisponde al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”, ossia mediante la regola della proporzonalità, a condizione che il contribuente dimostri che il costo possiede effettivamente tale natura (Cass., sez. 5, 03/07/2015, n. 13751; Cass., sez. 5, 14/07/2017, n. 17454).

8.4 Orbene, la C.T.R. non si è attenuta ai suddetti principi.

Dopo avere evidenziato la difficoltà di distinguere tra costi istituzionali e costi commerciali e aver rilevato l’esiguità degli introiti provenienti dalle quote corrisposte dai soci e della loro insufficienza a far fronte alle spese di gestione della associazione, ha ritenuto, con motivazione non del tutto perspicua, di far derivare la natura commerciale dei costi dai maggiori introiti derivanti dalla pubblicità, applicando ad essi, al fine di determinare quelli non inerenti all’attività commerciale, il metodo della ripartizione degli stessi in base agli incassi (quote dei soci e introiti pubblicitari) e facendone derivare la natura commerciale della maggior parte di essi.

E’ evidente però che il metodo proporzionale adottato, in quanto afferente esclusivamente ai costi promiscui, non si attaglia affatto ai principi sopra descritti, perchè la sussistenza degli stessi non è certo ancorata alle difficoltà di discernimento di quelli istituzionali da quelli commerciali, come sostanzialmente pare di arguire dal ragionamento dei giudici di merito, nè l’onere della prova della loro imputazione, peraltro gravante sul contribuente, può dirsi sul punto assolto invocando criteri di astratta ripartizione proporzionale, come accaduto nella specie, ma deve essere correlata alla indistinguibilità delle spese perchè non direttamente connesse nè alla attività commerciale, nè a quella istituzionale, secondo quanto correttamente affermato dall’Ufficio, allorquando ha classificato come tali le spese relative alle utenze perchè non connesse direttamente nè all’attività istituzionale, nè a quella commerciale.

In ragione di ciò, deve reputarsi la fondatezza dei motivi di ricorso.

Considerato che l’esame individuale della natura dei costi è riservato all’apprezzamento di fatto del giudice del merito, la questione deve essere devoluta alla C.T.R. che dovrà provvedere al suo riesame in applicazione dei principi sopra espressi.

9. Stante l’accoglimento dei motivi proposti dall’Ufficio, devono ora esaminarsi quelli proposti dalla contribuente col ricorso incidentale condizionato, i quali devono essere considerati inammissibili.

Si evidenzia in proposito che la C.T.R., avendo accolto totalmente il ricorso della contribuente, non era tenuta a pronunciarsi sulle sanzioni, in quanto queste presuppongono la fondatezza, quantomeno parziale, della pretesa tributaria, sicchè la sentenza sul punto non può considerarsi erroneamente resa.

Peraltro, si osserva come l’accoglimento delle censure proposte dall’Agenzia delle Entrate imponga l’eventuale pronuncia sulle sanzioni una volta che il giudice di merito abbia rivalutato, in sede di rinvio, il presupposto delle stesse.

Per quanto detto, deve dichiararsi l’inammissibilità dei motivi.

10. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, mentre deve essere dichiarata l’inammissibilità delle censure proposte dalla contribuente. La sentenza va pertanto cassata, con rinvio alla C.T.R. di Milano, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso principale; dichiara l’inammissibilità del ricorso incidentale condizionato; cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR di Milano, in diversa composizione, in relazione al motivo accolto anche per le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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