Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8877 del 29/03/2019

Cassazione civile sez. I, 29/03/2019, (ud. 23/10/2018, dep. 29/03/2019), n.8877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25866/2016 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliata in Roma, p.zza Cavour,

presso la Cancelleria della Prima Sezione Civile, rappresentata e

difesa dall’Avvocato Defilippi Claudio, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

H.V., in qualità di unico erede del signor H.S.,

elettivamente domiciliato in Roma, p.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dagli Avvocati Massironi Michele e Ziino Salvatore, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22120/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 29/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2018 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissiblità;

udito per il controricorrente l’Avvocato De Paulis Paolo, con delega,

che ha chiesto si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza n. 22120, depositata il 29/10/2015 e non notificata, la Corte di cassazione rigettava il ricorso proposto da B.R.. Con tale decisione veniva confermata la sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo che aveva condannato la B. al pagamento di Lire 394.000.000 a favore di H.S., quale corrispettivo di una fornitura di gioielli eseguita in favore della Gioielleria G.M. di G.G. e C, sulla base di un contratto stipulato nel 1992 presso la fiera di (OMISSIS), condanna fondata sulla qualità di accomandataria manifestata dalla B..

Avverso tale statuizione B.R. propone ricorso per revocazione con tre mezzi, assistito da memoria. Per la ditta S.H. replica con controricorso illustrato da memoria H.V., quale unico erede di H.S..

Il ricorso è stato fissato per la trattazione alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo si denuncia la inesistenza della sentenza per essere stati intrapresi il giudizio di appello e di cassazione da impresa non più esistente in quanto ceduta nell’anno 2004 alla società S.H. SPA e cancellata nel medesimo anno. Si sostiene che vi sia stato il rinvenimento di documenti decisivi non prodotti in giudizio per causa inimputabile alla ricorrente ed errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti di causa ex art. 395 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, essendo la decisione fondata sulla inesistenza di un fatto la cui verità era positivamente stabilita e non aveva costituito elemento di indagine. Si denuncia altresì la violazione degli artt. 3,24,111,117 Cost., artt. 14,6.1. e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, artt. 20,21 e 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea.

1.2. Sotto un primo profilo, la ricorrente sostiene che la controparte, avendo ceduto l’azienda, doveva ritenersi insistente e che tale circostanza era destinata a determinare – a suo parere l’inesistenza della sentenza – ma non era stata dichiarata dalla controparte nelle fasi di merito e, pertanto, non era stata valutata dalla Corte di legittimità: di conseguenza chiede l’esame della documentazione relativa allegata ex novo a dimostrazione di tale circostanza.

1.3. Il motivo proposto ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 3, è inammissibile per plurime ragioni.

Un primo profilo di inammissibilità è dato dalla non decisività del fatto dedotto, atteso che la cessazione dell’impresa individuale nel corso del processo non comporta l’estinzione del soggetto agente, che è persona fisica.

Trova inoltre applicazione il principio secondo il quale “La revocazione di una sentenza della Corte di cassazione può essere domandata solo ove sia dedotto che la decisione sia frutto di un errore di fatto che dia luogo ad un indiscutibile contrasto tra quanto in essa rappresentato e le oggettive risultanze degli atti processuali, sicchè, tale impugnazione non è ammissibile qualora, per dimostrare detto errore, sia necessario produrre documenti nuovi, non depositati nelle precedenti fasi di giudizio e non richiamati, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, con l’originario ricorso per cassazione.” (Cass. n. 14002 del 06/06/2017): giacchè è incontestato che i documenti concernenti la cessione della ditta individuale non risultavano versati agli atti delle fasi di merito del giudizio, il loro esame è precluso nel giudizio di revocazione proposto dinanzi alla Corte di cassazione. Inoltre va osservato che la parte non ha affatto illustrato le circostanze in cui i documenti di cui trattasi sarebbero stati rinvenuti e per quale ragione avrebbero dovuto essere ritenuti come prodotti tardivamente in giudizio per causa inimputabile.

Ne consegue l’inammissibilità del motivo anche ove proposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, non emergendo alcun fatto che possa ritenersi positivamente stabilito, dato che evidentemente i documenti, in quanto rinvenuti successivamente, non risultavano agli atti del processo.

1.4. Sotto un secondo profilo, la ricorrente lamenta che nel caso di specie si sarebbe verificata una lesione del principio del contraddittorio in danno della società cedente e si duole che tale lesione del diritto di difesa non possa costituire oggetto di doglianza revocatoria, sollecitando l’applicazione diretta delle norme costituzionali e comunitarie indicate.

1.5. La doglianza circa la violazione del contraddittorio prende le mosse da un fatto (la cessione dell’azienda e suoi effetti) che, come già chiarito, è privo di decisività e la sua disamina è assorbita dalla declaratoria di inammissibilità anzidetta.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la sussistenza di un contrasto di giudicati, dolo di controparte e rinvenimento di documenti decisivi non prodotti in giudizio per causa inimputabile alla ricorrente ex art. 395 c.p.c., comma 1, nn. 1, 3 e 5, errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti di causa ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere la decisione fondata sulla insussistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e non ha costituito elemento di indagine, relativo alla circostanza che i debiti sociali erano frutto di solo reato accertato in giudicato in capo a G.G..

2.2. Con detto motivo la ricorrente introduce il riferimento a vicende processuali penali che hanno visto G.G., socia amministratrice, condannata per una serie di reati relativi alla simulazione di un furto di gioielli volto ad ottenere il risarcimento assicurativo che, a suo dire, avrebbero dovuto indurre la controparte ad agire contro la G..

2.3. Il motivo è inammissibile, quanto alla prospettazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.

2.4. Giova ricordare, in proposito, che nelle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass. n. 22868 del 12/12/2012).

2.5. Nel caso di specie non solo, dall’esame della sentenza impugnata non si evince che i fatti esposti siano stati sottoposti ai giudici delle pregresse fasi di merito e di legittimità, ma la stessa ricorrente riferisce (fol. 10 del ricorso) di avere acquisito la documentazione relativa alla procedura fallimentare ed al giudizio penale che avevano riguardato la G., in base alla quale ha svolto i suoi argomenti, dopo la pronuncia della Cassazione oggetto di revocazione.

Ne consegue che la fattispecie è del tutto estranea al campo di applicazione della revocazione.

2.6. Quanto alle ipotesi di revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., comma 1, nn. 1, 3 e 5, enunciate in rubrica, va rilevato che nulla è precisato in merito nello svolgimento del motivo.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia l’errore di fatto risultante dagli atti e dai documenti di causa ex art. 395 c.p.c., n. 4, essendo la decisione fondata sulla inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e non ha costituito elemento di indagine, e cioè l’assenza di ingerenza nell’amministrazione, alla stregua degli atti secondo la ricorrente.

3.2. Anche questo motivo è inammissibile.

3.3. Richiamando quanto già esposto al par. 2.4., va ricordato anche che di recente, le Sezioni Unite hanno puntualizzato che “Il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; nè, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicchè non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonchè l’ordinata amministrazione della giustizia.” (Cass. Sez. U. n. 8984/2018, cfr. anche Cass. Sez. U. n. 30994/2017 e Cass. Sez. U. n. 13181/2013).

3.4. Nel caso di specie la censura si appunta proprio sulle valutazioni giuridiche compiute dalla Corte di legittimità, che ha confermato sul punto la statuizione dei giudici di merito e la valutazione dagli stessi compiuta nel qualificare gli atti compiuti alla B. nell’ambito del rapporto sociale e dei rapporti con i terzi, e prospetta inammissibilmente una differente valutazione degli stessi, funzionale alle aspettative della parte.

4.1. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte di Cassazione;

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00, oltre ad Euro 200,00, per esborsi, alle spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed agli accessori di legge;

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019

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