Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8876 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. III, 13/05/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 13/05/2020), n.8876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11773/2017 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

BRIZZOLARI, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO COSTANZA;

– ricorrente –

contro

ISLAND FINANCE (ICR4) SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 788/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata 11 28/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2020 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO COSTANZA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.G. ricorre, con atto notificato il 26/04/2017 ed articolato su di una preliminare eccezione di illegittimità costituzionale e quattro motivi relativi al merito dell’appello, per la cassazione della sentenza n. 788 del 28/04/2016 della Corte d’appello di Palermo, con cui è stato dichiarato inammissibile il suo appello avverso la sentenza del 12/05/2009 del Tribunale di quel capoluogo, definita insuscettibile di quell’impugnazione in forza del testo dell’art. 616 c.p.c., vigente al momento della sua pubblicazione.

2. Resiste con controricorso la cessionaria in blocco dei crediti dell’appellata Island Finance (ICR4) spa, Island Refinancing (ICR4) spa, per mezzo della sua mandataria Cerved Credit Management spa (già Jupiter Asset Management srl); e, per la pubblica udienza del 21/01/2020, il ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve premettersi che è inammissibile, quale motivo di ricorso per cassazione, la deduzione della violazione di norme costituzionali, poichè il contrasto tra decisione impugnata e parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma in concreto applicata (da ultimo: Cass. ord. 15/06/2018, n. 15879, ove ulteriori riferimenti).

2. Nella specie, peraltro, il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, perchè ripropone, a base della tesi dell’ingiustizia della qui impugnata declaratoria di inammissibilità dell’appello, una questione di legittimità costituzionale già a più riprese reputata irrilevante o manifestamente infondata anche da questa Corte o in merito a principi consolidati pure nella giurisprudenza costituzionale, senza farsi carico degli argomenti presi in considerazione in quelle sedi.

3. Basti, al riguardo, un richiamo alla motivazione di Cass. 29/09/2015, n. 19271, ove ulteriori riferimenti ai precedenti in ordine alla legittimità costituzionale della riforma del 2006 (introdotta nel senso dell’inappellabilità: tra i quali sia qui sufficiente il rinvio a Cass. 18/01/2009, n. 976, seguita – tra le altre – da Cass. 15/02/2011, n. 3688). Già in quella sede si è avuto modo di escludere la fondatezza della relativa questione, con motivazione che va qui per intero richiamata, sia quanto alla mancanza di copertura costituzionale generalizzata del principio del doppio grado di giudizio (Corte Cost. n. 351/07, tra le altre), sia quanto alla non irragionevolezza della scelta, discrezionalmente operata dal legislatore, di estendere il regime impugnatorio delle sentenze conclusive dei giudizi di opposizione ad esecuzione e di quelli di opposizione agli atti esecutivi (Cass. 18/10/2012, n. 17902).

4. Del pari manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale della sopravvenuta modifica normativa di cui alla L. n. 69 del 2009 e della relativa disciplina transitoria, che non ha esteso il ripristino dell’appellabilità in modo indifferenziato, mantenendo la non impugnabilità per le sentenze pronunciate in primo grado prima dell’entrata in vigore della novella del 2009.

5. Al riguardo, la costante giurisprudenza costituzionale riconosce ampia discrezionalità al legislatore nell’operare le scelte più opportune – purchè non manifestamente irragionevoli e arbitrarie per disciplinare la successione di leggi processuali nel tempo (sentenza n. 400 del 1996; ordinanze n. 294 del 1998, n. 490 del 2000 e n. 213 del 2005), sicchè (v., tra le altre, ordinanza n. 382 del 2005, sentenze n. 500 del 1995, 238 del 1984, 55 del 1983, 113 del 1977), allorchè venga in rilievo la variazione nel tempo delle forme della tutela processuale, da un lato la successione delle leggi, purchè rispondente a criteri di ragionevolezza, non può mai porsi come fonte di illegittime discriminazioni, costituendo di per sè il fluire del tempo un fattore di disomogeneità delle situazioni poste a confronto e, dall’altro, la garanzia di azione in giudizio per ottenere protezione dei propri diritti non richiede necessariamente l’uniformità degli strumenti apprestati dal legislatore (Cass. Sez. U. 02/07/2004, n. 12137).

6. E la norma in esame è l’effetto di una scelta discrezionale del legislatore che, oltre a non essere irragionevole per i motivi ampiamente illustrati nelle motivazioni dei precedenti di legittimità sopra richiamati, nemmeno implica alcuna violazione del principio di uguaglianza, in quanto relativa ad una norma processuale applicabile, in termini indifferenziati, a tutti i giudizi conclusi in primo grado rispettivamente nei diversi periodi di operatività.

7. Se, d’altra parte, è proprio di ogni normativa transitoria dettare discipline che regolano in modo in apparenza dissonante situazioni che presentano più di un tratto caratterizzante in comune, tanto non eccede i limiti della ragionevolezza elaborati dalla Consulta in riferimento all’art. 3 della Carta fondamentale, riconducendosi ad una scelta discrezionale che privilegia la certezza del rito applicabile in relazione al momento in cui è reso il provvedimento da impugnare, in diretta – sebbene articolata – applicazione del principio fondamentale di diritto processuale compendiato nel brocardo tempus regit actum.

8. Inoltre, la chiarezza del testo normativo, idonea ad allertare adeguatamente i giustiziabili già parti in una qualunque controversia civile, soddisfa in pieno anche le esigenze di certezza e prevedibilità della norma processuale quanto ai requisiti di ammissibilità, elaborate a livello sovranazionale quali estrinsecazioni del diritto di accesso al giudice (v. per tutte Corte Europea dei diritti dell’Uomo 15/09/2016, Trevisanato, richiamata anche dalla costante giurisprudenza di questa Corte, su cui, da ultimo, v.: Cass. Sez. U. 25/03/2019, n. 8312, Cass. 07/11/2019, n. 28676; Cass. ord. 16/01/2020, n. 759).

9. La manifesta infondatezza, per contrarietà ad orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, delle questioni di legittimità costituzionale della norma previgente e di quella transitoria è la premessa della piena correttezza in rito della pronuncia di inammissibilità dell’appello malamente proposto dall’odierno ricorrente, la quale, a sua volta, ha correttamente precluso la disamina del merito dei motivi di quel gravame.

10. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del soccombente ricorrente alle spese di lite; mentre, essendo il ricorso stato proposto successivamente al 30/01/2013 e dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali; tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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