Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8876 del 04/05/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 8876 Anno 2015
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: DE MARINIS NICOLA

SENTENZA

sul ricorso 12809-2012 proposto da:
CAPPUZZELLO

EMANUELE

C.F.

CPPMNL69L05H163X,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MERULANA 141,
presso lo studio dell’avvocato ANTONFRANCESCO
VENTURINI, che lo rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

665

COLACEM S.P.A.

P.I.

01157050541,

in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA GARIGLIANO 11, presso lo

Data pubblicazione: 04/05/2015

studio dell’avvocato NICOLA MAIONE, rappresentata e
difesa dall’avvocato GIUSEPPE DIMARTINO, giusta
delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 132/2012 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/02/2015 dal Consigliere Dott. NICOLA
DE MARINIS;
udito l’Avvocato ALVITI MAURIZIO per delega verbale
VENTURINI ANTONFRANCESCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto.

di CATANIA, depositata il 14/03/2012 R.G.N. 32/2009;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 14 marzo 2012, la Corte d’Appello di Catania, confermava la decisione
con cui il Tribunale di Ragusa aveva rigettato l’impugnativa proposta da Emanuele
Cappuzzello avverso il licenziamento disciplinare intimatogli dalla Colacem S.p.A., sua
datrice di lavoro, avendo disatteso la prospettazione del lavoratore per cui il provvedimento
datoriale doveva ritenersi espressione di una illegittima reazione alla situazione di difficoltà

proprio stato di salute e tali da impedirgli il corretto adempimento della prestazione,
situazione che, lungi dal sollecitare il datore a porvi rimedio, anche attraverso la dotazione
di mezzi di protezione, cui non aveva, viceversa, provveduto, in violazione dell’art. 2087
c.c., aveva costituito occasione per la comminatoria, in un breve volgere di tempo, di una
pluralità di sanzioni conservative da ritenersi strumentali al successivo recesso qualificato
come licenziamento per recidiva di cui all’art. 66, n. 4) del CCNL applicato.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto il recesso intimato,
non ritorsivo, ma genuinamente disciplinare, stante la rilevanza sotto tale profilo, per essere
rimaste prive di giustificazione, a fronte delle verifiche di idoneità al lavoro disposte dalla
Società e la disponibilità di questa ad un impiego del lavoratore pur sempre nelle medesime
mansioni ma secondo le sue contingenti esigenze, tanto gli episodi di insubordinazione in
precedenza fatti oggetto di sanzione conservativa, quanto l’ennesimo comportamento di tal
genere da ultimo posto a base dell’intimato licenziamento, qualificato dalla Società, nella
stessa comunicazione di recesso e aldilà della contestata recidiva, di gravità tale da risultare
di per sé idoneo ad integrare _gli estremi della giusta causa ex art. 64, n. 1), del CCNL.
P4 CAAithivev1/4′
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eplie.#
>sa’, 5 ZAAL ‘ItirvLt JZA- CA:41-6.45 4
Entrambe e parti hanno presentato memona.
,

MOTIVI DELLA DECISIONE
I tre motivi di impugnazione formulati dal ricorrente risultano tutti volti a censurare la
valutazione della Corte territoriale in ordine alla ritenuta ricorrenza nella specie di una
giusta causa di recesso, articolandosi secondo una sequenza argomentativa che, in via
gradata, investe, innanzitutto, la configurabilità stessa della contestata violazione delle
regole di disciplina in relazione agli episodi di insubordinazione in cui la Società pretende
si sia sostanziata quella violazione, per essere viceversa il rifiuto, periodicamente reiterato,
dal ricorrente opposto allo svolgimento delle mansioni affidate indotto dalla propria
condizione di salute, segnata da difficoltà respiratorie, idonea a causare ripetuti
impedimenti alla prosecuzione del lavoro in ambiente saturo di polveri, non abbattute
anche per incuria colpevole del datore, che mai ha provveduto a fornire i dispositivi di

in cui egli versava dal momento in cui era stato adibito a mansioni incompatibili con il

protezione, ed in particolare le mascherine antipolvere, il cui uso era stato prescritto al
lavoratore dallo S.Pre.S.A.L. (Servizio Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro), quale
condizione per la riconosciuta idoneità dello stesso alle mansioni assegnate; in secondo
luogo, l’inadeguatezza del giudizio di proporzionalità tra la condotta addebitata e la
sanzione inflitta, ancora a motivo della mancata considerazione delle peculiari ragioni di
salute che inducevano il lavoratore ad indulgere a quei comportamenti, giudizio, per di più,
insuscettibile di essere vanificato dal riferimento all’applicazione della norma del codice

disciplinare che ricollega l’irrogazione della massima sanzione alla mancanza che segua ad
altre già commesse e sanzionate con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione
nell’anno che precede, per l’insanabile contrasto di tale automatismo con la regola legale di
cui all’art. 2119 c.c.; ed, infine, l’irrilevanza in sé della condotta contestata, per essere stata
questa presa in considerazione dalla Società datrice semplicemente quale episodio finale
della serie di mancanze nel tempo addebitate al ricorrente e tutte poste a base del recesso,
in realtà intimato per recidiva non fatta oggetto di specifica contestazione e, perciò,
implicante la nullità della sanzione espulsiva irrogatagli.
A tale sequenza corrispondono i tre motivi intesi a denunciare, il primo, la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2087, 2119, 2697 c.c. 115 e 116 c.p.c. nonché il vizio di
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sulla valutazione delle prove
testimoniali e documentali, il secondo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c.,
3 1. n. 604/1966 e 7 1. n. 300/1970 nonché il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione sulla proporzionalità dell’irrogato licenziamento all’eventuale infrazione
commessa, il terzo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 1. n. 300/1970 in relazione
all’art. 66, n. 4) del CCNL di settore all’epoca vigente nonché il vizio di omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione sulla mancata specifica contestazione della
recidiva.
Ebbene, quanto al primo motivo, anche a voler superare le ragioni di inammissibilità dello
stesso per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, per non aver il ricorrente
indicato, se non facendo riferimento ai soli nominativi dei testi e senza riportarne, come
dovuto, i passi considerati significativi, le dichiarazioni testimoniali che assume
erroneamente valutate, deve rilevarsi l’infondatezza del motivo medesimo, dal momento
che la rilevanza disciplinare della condotta addebitata è stata ritenuta a seguito di un’attenta
valutazione, di cui la Corte territoriale dà conto nella motivazione dell’impugnata sentenza,
dell’idoneità giustificativa connessa alla peculiare condizione di salute del ricorrente,
valutazione operata con riguardo sia al profilo generale dell’idoneità al lavoro, verificata

2

più volte con esito positivo, sia pur con limitazioni ovviabili attraverso l’utilizzo di
mascherine antipolvere, tuttavia, e di tale distinzione non vi è traccia nell’odierno ricorso,
solo relativamente a lavorazioni con residui di polveri irritanti, sia agli aspetti particolari
emersi con riferimento ai singoli episodi contestati, relativamente ai quali la Corte
territoriale non manca di porre in rilievo a carico del ricorrente forme di non collaborazione
o addirittura di ostruzionismo eccedenti le difficoltà fisiche, come l’indisponibilità ad
accogliere le alternative di impiego presso zone dell’azienda diverse e a minor rischio per

essere esterne ai locali di produzione, la pretesa che gli fossero procurati da terzi gli attrezzi
di lavoro, l’abbandono immediato della postazione alternativa momentaneamente accettata.
Parimenti infondato è il secondo motivo, avendo la Corte territoriale operato e
congruamente motivato il giudizio di proporzionalità della sanzione irrogata con
riferimento appunto a quei comportamenti che, si è visto, essere stati considerati eccedenti
rispetto all’idoneità giustificativa connessa alle particolari condizioni di salute del
ricorrente, derivandone, sulla base di un ragionamento immune da vizi logici, la
configurabilità della mancanza contestata come rifiuto arbitrario della prestazione ed
insubordinazione reiterata ed aggravata dall’essere stato tale atteggiamento tenuto nei
confronti di superiori gerarchici di livello progressivamente più elevato.
Di contro, inammissibile si rivela il terzo motivo, in primo luogo, per aver il ricorrente qui
reiterato l’eccezione relativa all’omessa contestazione della recidiva, assunta come
l’effettiva causale dell’intimato recesso, senza aver impugnato la statuizione della Corte
territoriale che aveva sancito l’inammissibilità di tale ulteriore difesa come aliquid novi
non deducibile, come viceversa si era verificato nella specie, per la prima volta in sede di
gravame, in secondo luogo, ancora per la mancata impugnazione questa volta, tuttavia,
relativa alla ratio decidendi, ulteriore rispetto a quella data dalla ritenuta ricorrenza della
recidiva e rispetto ad essa autonoma, sulla quale la Corte territoriale ha fondato la propria
pronunzia, ratio costituita dalla ritenuta idoneità della condotta specificatamente contestata
e posta a base della comunicazione di recesso ad integrare, correttamente valutata nelle sue
caratteristiche oggettive e soggettive nonché sotto il profilo della proporzionalità rispetto ad
essa della sanzione irrogata, gli estremi della giusta causa, in conformità alla previsione di
cui all’art. 64, n. 1), del CCNL di settore all’epoca vigente, puntualmente richiamata nella
contestazione, contrariamente a quanto sostenuto con l’eccezione qui ribadita dal
ricorrente, quale causale in sé giustificativa del recesso.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso e condanna/’ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre spese
generali e altri accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 10 febbraio 2015.

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