Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8873 del 29/03/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/03/2019, (ud. 22/02/2019, dep. 29/03/2019), n.8873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10804-2017 proposto da:

R.I., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANGELO RICCIO;

– ricorrente –

contro

G.R., in proprio e nella qualità di Curatore e legale

rappresentante pro tempore del FALLIMENTO (OMISSIS) SRL,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUIGI LILIO 95, presso lo

studio dell’avvocato TEODORO CARSILLO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato STEFANIA TRANIELLO GRADASSI;

– controricorrenti –

contro

V.C., M.L., RE.ST.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 535/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

R.I. ha proposto ricorso, sulla base di quattro motivi corredati da memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia, in epigrafe indicata, che ha respinto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della (OMISSIS) SRL in liquidazione, cancellata dal Registro delle imprese sin dall’11/3/2016, pronunciata dal Tribunale di Rovigo il 16/11/2016.

La Corte di appello ha respinto il motivo di impugnazione, che prospettava il vizio della sentenza di primo grado per avere il Tribunale, in luogo della pronuncia di estinzione del giudizio a seguito della mancata rinnovazione della notifica del ricorso fallimentare disposta dal G.D., deciso il ricorso, e ciò avendo acceduto ad una valutazione della notifica stessa, eseguita tramite posta certificata alla casella PEC della società cancellata ai sensi del novellato L. Fall., art. 15,comma 3, diversa da quella compiuta dal G.D. ed averla ritenuta valida, in applicazione dei principi espressi da Cass. n. 17946/2016, sulla premessa che era stato correttamente assicurato l’esercizio del diritto di difesa della fallenda, senza ravvisare alcun overruling processuale. La Corte di appello ha anche escluso che potesse ravvisarvi un abuso dei creditori istanti, rilevando la mancata produzione di documenti a sostegno di tale tesi da parte della reclamante, ed ha altresì respinto la doglianza relativa alla mancanza del presupposto dell’insolvenza, sull’osservazione che la società, in liquidazione e già cancellata, avrebbe dovuto provare, ma non lo aveva fatto, che il patrimonio era sufficiente a fronteggiare i debiti, mentre ciò non emergeva dal bilancio 2015.

Il Fallimento ha resistito con controricorso e memoria. Sono rimasti intimati i creditori istanti in fase prefallimentare V.C., M.L. e Re.St..

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il Collegio condivide la proposta di definizione della controversia notificata alle parti costituite, nel presente procedimento, anche tenuto conto delle osservazioni critiche svolte nella memoria della ricorrente.

2. Il primo motivo – con il quale si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 100,112,145,152,153,156,160 e 164 c.p.c. e dell’art. 307 c.p.c., commi 3 e 4 e della L. Fall., artt. 6 e 15, lamentando che la Corte territoriale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’estinzione del processo ex art. 307 c.p.c., comma 3, per inattività dei creditori istanti da rilevarsi anche d’ufficio ex art. 307 c.p.c., comma 4, conseguente, a parere della ricorrente, al fatto che il Tribunale non avrebbe potuto ritenere valida la prima notificazione, in relazione alla quale il G.D. aveva ordinato la rinnovazione – è infondato.

Invero, la Corte di appello, contrariamente a quanto prospettato nel motivo – si è pronunciata, affermando la legittimità della rivalutazione della notifica operata dal Tribunale, oltre che la correttezza della statuizione nel merito, ed ha escluso, in conseguenza il maturarsi di alcuna estinzione.

La decisione peraltro è conforme ai precedenti consolidati secondo i quali le ordinanze interlocutorie, tra cui rientrano quelle emesse in materia di integrità del contraddittorio – sono provvedimenti tipicamente ordinatori, con funzione strumentale e preparatoria rispetto alla futura definizione della controversia, giammai decisori e, conseguentemente, sono modificabili e/o revocabili e non possono costituire sentenza non definitiva suscettibile di separata impugnazione o riserva di appello e, in difetto, di passaggio in giudicato (in tema, Cass. n. 17898 del 06/07/2018; n. 10886 del 11/05/2007; n. 14104 del 13/11/2001, n. 14104).

Infine non trova alcun riscontro processuale la dedotta carenza di interesse dei creditori istanti nel giudizio di primo grado, in ragione dell’inattività nella rinnovazione della notifica: tale questione, oltre che nuova e non circostanziata, risulta irrilevante, risultando accertata la regolarità della originaria notifica del ricorso per declaratoria di fallimento.

3. Il secondo motivo – con il quale si denuncia la nullità della sentenza e la violazione degli artt. 75,101,145,156 e 160 c.p.c., della L. Fall., artt. 6 e 15 e dell’art. 2495 c.c., nonchè degli artt. 24,111 e 117 Cost., oltre che il vizio motivazionale – è infondato.

La ricorrente si duole che la notifica, finalizzata alla comparizione del debitore, fosse stata eseguita senza la personale convocazione della socia amministratrice, attesa la pregressa cancellazione della società dal Registro delle imprese.

Il motivo è infondato, anche quanto alla doglianza per vizio motivazionale.

La censura trascura che la questione della notifica alla società estinta si inserisce nella procedura prefallimentare, soggetta a disciplina speciale, di guisa che la giurisprudenza evocata (Cass. n. 5735 del 23/3/2016), relativa a fattispecie non fallimentari, non risulta pertinente, nè idonea a sostenere un overruling processuale.

E’ vero, infatti, che anche alla società estinta, che per fictio iuris è considerata ancora esistente L. Fall., ex art. 10, va notificato il ricorso per fallimento in persona dell’ultimo amministratore o liquidatore, il quale già ne aveva la rappresentanza legale, entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, ma ciò deve avvenire ai sensi della L. Fall., art. 15: orbene la L. Fall., art. 15, comma 3, con norma speciale propria del procedimento prefallimentare, stabilisce che la notificazione – come avvenuto nel caso di specie – si esegue all’indirizzo di pec del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti (Cass. n. 17946 del 13/09/2016), come è avvenuto nel presente caso, senza che si ravvisi alcuna delle violazioni denunciate.

4. Il terzo motivo – con il quale si denuncia la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 24 della Cost, degli artt. 99,115,116,132, 153 e 294 c.p.c., della L. Fall., artt. 5,6 e 18; oltre che la violazione degli artt. 1175,1195,1375,1218 e 1460 c.c.; ed ancora l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in merito alla ricorrenza degli elementi di fatto comprovanti l’abuso del diritto da parte dei creditori istanti – è infondato.

Invero, la ricorrente sostiene di avere prodotto in appello alcune quietanze di pagamento, non allegate al reclamo per disguidi telematici e sostiene che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di deposito e non la avrebbe rimessa in termini, ledendo anche il diritto di difesa.

Contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Corte di appello si è pronunciata ed ha escluso che fosse stato comprovato sia il deposito della documentazione che il lamentato disguido (fol. 7), deponendo nell’opposto senso sia le contestazioni della controparte che la disamina degli atti risultanti dalla consolle dell’Ufficio; quanto alla questione della richiesta di remissione in termini la stessa è proposta, inammissibilmente, in modo del tutto assertivo, oltre che non documentato.

5. Il quarto motivo – con il quale si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 99,101,112,115 e 132 c.p.c.; oltre che la violazione della L. Fall., artt. 1,5 e 6; ed ancora l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in merito alla ricorrenza del presupposto dello stato di insolvenza ed alla prova da parte dei creditori istanti della esistenza di indici esteriori – è inammissibile.

Invero, la ricorrente propone doglianze del tutto assertive e prive di riferimenti puntuali al caso concreto a fronte della puntuale disamina delle emergenze istruttorie (avvenuta cancellazione della società in liquidazione, perdite di esercizio e debiti risultanti dal bilancio 2015 a fronte di crediti nettamente inferiori, ammontare dei crediti azionati, pignoramenti mobiliari infruttuosi) compiuta dalla Corte di appello dando corretta applicazione al principio secondo il quale “Quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò in quanto – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte.” (Cass. 25167 del 07/12/2016, Cass. n. 19414 del 03/08/2017) e ciò, a maggior ragione, quando la società è già cancellata.

6. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00, oltre Euro 100,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2019

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