Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8873 del 14/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2010, (ud. 17/03/2010, dep. 14/04/2010), n.8873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – President – –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consiglie – –

Dott. BERNARDI Sergio – Consiglie – –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consiglie – –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17556-2007 proposto da:

M.A., quale titolare della ditta individuale Scatolificio

S. Marino di Mescoli Andrea, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

PARIOLI 43, presso lo studio i dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati ODINO LUIGI,

MARONGIU GIANNI, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

GEST LINE SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la

cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati GAVINO ERSILIO, CALISI GIOVANNI con studio in GENOVA VIA

MARAGLIANO 10/6, (avviso postale), giusta delega in calce; COMUNE DI

GENOVA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato

in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato

PAFUNDI GABRIELE, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ODONE EDDA, giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 51/2006 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 12/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il resistente l’Avvocato PAFUNDI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA VINCENZO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Genova M.A., in proprio e nella qualita’ di titolare della ditta individuale Scatolificio San Marino di Mescoli Andrea, proponeva opposizione avverso la cartella di pagamento fattagli notificare dalla competente esattoria San Paolo Riscossioni, poi denominata Gest Line Spa., per conto di quel Comune, per attivita’ di smaltimento di rifiuti solidi non pericolosi, e percio’ assimilati a quelli urbani, costituiti da residui di lavorazione per l’anno 2002. Egli esponeva che si trattava di atto esecutivo relativo a iscrizione a ruolo della tassa senza che ne ricorressero i presupposti, e segnatamente che le due delibere del consiglio comunale e della giunta, che avevano approvato rispettivamente il regolamento e la tariffa, erano state impugnate dinanzi al Tar, e pertanto non dovevano essere ritenute del tutto efficaci, sicche’ la tassa era pretesa in via provvisoria;

comunque si trattava di rifiuti speciali, allo smaltimento dei quali la stessa Falegnameria Voltrese provvedeva; percio’ chiedeva l’annullamento di quell’atto esecutivo.

Instauratosi il contraddittorio, l’ente impositore e la concessionaria eccepivano che l’impugnativa si appalesava infondata, atteso che gli atti amministrativi erano efficaci, e comunque il servizio di smaltimento dei rifiuti era stato prestato per le attivita’ artigianali di produzione svolte dalla contribuente.

Quella commissione rigettava il ricorso introduttivo.

Avverso la relativa decisione il contribuente proponeva appello, cui l’ente impositore e l’esattoria resistevano, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Liguria, la quale lo rigettava con sentenza n. 51 del 4.12.2006, osservando che la cartella di pagamento era motivata; essa era stata emessa legittimamente quando il regolamento e la tariffa erano stati emanati ed erano in vigore; il servizio era stato prestato, percio’ la tassa andava pagata; semmai la societa’ incisa poteva richiedere lo sgravio o rimborso di parte di quanto eventualmente versato solo in un secondo momento.

Contro questa pronuncia M. ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a cinque motivi.

Il Comune di Genova e la societa’ Equitalia Polis Spa., nuova ragione sociale della Gest Line, che a sua volta aveva sostituito quella precedente della San Paolo Riscossioni, hanno resistito ciascuno con separato controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Innanzitutto va esaminata la questione, avente carattere pregiudiziale, sollevata dalla controricorrente Equitalia Polis circa la carenza di sua legittimazione passiva, trattandosi di rapporto contenzioso che investe i presupposti della tassa, e non vizi formali della cartella, almeno non piu’ in questa sede.

Essa e’ infondata.

Nella disciplina della riscossione delle imposte in generale, la cartella di pagamento svolge la funzione di portare a conoscenza dell’interessato la pretesa tributaria iscritta nei ruoli, entro un termine stabilito a pena di decadenza dalla stessa, ed ha un contenuto necessariamente piu’ ampio dell’avviso di mora. In tal caso, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non gia’ al concessionario, al quale, se e’ fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non e’ configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (V. pure. Sez. U, Sentenza n. 16412 del 25/07/2007). Cio’ premesso, M. aveva dedotto vizi anche della cartella nella specie, con la conseguente evocazione in causa dell’esattoria, la cui legittimazione non poteva percio’ venire meno in sede di legittimita’, sol perche’ il ricorrente non ha piu’ insistito nelle doglianze originarie circa i vizi dell’atto esecutivo, avente anche funzione impositiva nella fattispecie in esame.

1) Cio’ premesso, col primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69 e L. n. 1034 del 1971, art. 33 nonche’ omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la commissione tributaria regionale non considerava che non poteva ritenere che il regolamento e la delibera di giunta come approvati dagli organismi collegiali dell’ente costituissero atti prodromici di imposizione provvisoria, considerati come non verosimilmente annullabili, e che in definitiva la sentenza del Tar ancora non era passata in giudicato quando l’atto esecutivo era stato emesso. Inoltre nessuna pretesa comunque poteva essere azionata dagli enti impositori sulla base del regolamento e della tariffa annullati dal giudice amministrativo, senza che poi la contribuente dovesse semmai chiedere lo sgravio o il rimborso di quanto eventualmente nel frattempo pagato.

Il motivo e’ infondato.

In “subjecta materia” la mancata approvazione del nuovo regolamento e delle relative tariffe nei termini stabiliti dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 79, comma 2, (e prorogati dapprima per effetto del D.L. 27 ottobre 1995, n. 444, art. 9, comma 2, convertito in L. 20 dicembre 1995, n. 539, e della L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 33 e successivamente, a seguito della trasformazione della tassa in tariffa disposta dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 47 per effetto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52 e del D.L. 26 gennaio 1999, n. 8, art. 2 convertito in L. 25 marzo 1999, n. 75), come pure l’annullamento di tali atti amministrativi da parte del competente giudice, non comportavano l’illegittimita’ delle delibere tariffarie adottate in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina. Infatti i predetti termini non hanno carattere perentorio, e quindi nessun obbligo di adeguamento era configurabile a carico dei competenti organi comunali. Pertanto M. non era liberato da qualsiasi obbligo di pagamento per il servizio di raccolta dei rifiuti, posto che la tariffa precedentemente vigente continuava invece a trovare applicazione, ai sensi del D.Lgs. n. 507 citato, art. 69, comma 1, ultimo periodo. Semmai egli poteva solo chiedere lo sgravio per quanto fosse previsto in piu’ del dovuto ancora da pagare, ovvero il rimborso della differenza del maggiore importo eventualmente versato (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 5722 del 12/03/2007).

Sul punto percio’ la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato e giuridicamente corretto.

2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia Violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 69, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 giacche’ il giudice del gravame non considerava che la tariffa precedente a quella annullata non poteva trovare applicazione nella fattispecie in esame, posto che non si trattava di approvazione di essa nel termine previsto del 31 ottobre dell’anno precedente, bensi’ della diversa ipotesi di annullamento di quella gia’ approvata.

La censura sostanzialmente rimane assorbita dal motivo come sopra esaminato, anche se non sembra inutile rilevare che in ogni caso la debenza del tributo discende da un obbligo di legge, ed in particolare dalla denunzia che il proprietario o detentore dell’immobile deve fare al Comune al fine dell’assolvimento della tassa in questione ex art. 70 del suindicato decreto.

Invero una volta che la denuncia era stata presentata e l’ufficio riteneva di non contestarla, legittimamente esso procedeva alla liquidazione del tributo sulla base degli elementi dichiarati dallo stesso contribuente originariamente, ovvero a seguito di denuncia di variazione ai sensi del citato art. 70, attraverso la notificazione di cartella esattoriale e senza previa emissione di alcun avviso di accertamento (V. pure Cass. Sentenze n. 1927 del 2007, n. 7951 del 2002).

3) Col terzo motivo il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, poiche’ il giudice di appello non considerava che gli enti esattori non avevano alcun titolo per pretendere il pagamento dello smaltimento dei rifiuti, una volta caducata la delibera comunale modificativa del regolamento; ne’ delibava la questione dell’assimilazione di quelli speciali agli altri urbani.

La doglianza non ha pregio.

La CTR rilevava che comunque il servizio di smaltimento era stato svolto, e quindi M. e la sua ditta dovevano pagare la relativa tassa, che si basava proprio sulla tariffa precedente, supportata dal regolamento approvato a suo tempo.

Del resto gli intimati avevano chiesto il pagamento del servizio sin dai primi atti del processo, peraltro ribaditi in appello, sostenendo in particolare che lo smaltimento dei rifiuti era stato effettuato, e pertanto la relativa prestazione andava pagata comunque.

D’altronde, com’e’ noto, il giudice che proceda alla riqualificazione giuridica della fattispecie, fermi restando i fatti addotti dall’amministrazione a sostegno della propria pretesa e senza immutare il “petitum”, non incorre nel vizio di ultrapetizione, non comportando la riconduzione del caso all’una o all’altra ipotesi di pagamento della tariffa alcun mutamento del “thema decidendum” (Cfr.

anche Cass. Sentenza n. 3936 del 18/03/2002).

E tanto basta per ritenere adeguata la motivazione della decisione impugnata, giusta anche i principi enunciati in relazione alla prima censura.

4) Col quarto motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, dal momento che il giudice di appello non poteva ritenere la tariffa dovuta in base a quella precedente, senza che gli enti esattori avessero invocato la medesima nemmeno in via subordinata, con cio’ cadendo nel vizio di extrapetizione.

La censura rimane assorbita dal motivo teste’ esaminato.

5) Col quinto motivo la ricorrente denunzia violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, oltre che omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto i rifiuti prodotti non potevano essere assimilati a quelli urbani, per i quali l’annullamento delle relative delibere ne comportava la non applicazione, e pertanto nessuna tassa doveva essere riconosciuta per essi, per i quali peraltro il giudice di appello ometteva la relativa delibazione.

La doglianza e’ infondata.

Il giudice del gravame osservava esattamente che gli enti impositori avevano tenuto conto delle aree in cui venivano prodotti rifiuti speciali non assimilati, distinguendo quelle riguardanti invece gli altri assimilati, e per i quali era stata applicata la prevista riduzione del 30% sulla tariffa, senza che il contribuente peraltro avesse provato i propri assunti, e per i quali aveva formulato censure solo in modo generico. L’osservazione e’ esatta.

Invero e’ stato lo stesso ricorrente che in questa sede ha riconosciuto che le doglianze specifiche avanzate in ordine all’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani erano state prospettate solo con la memoria difensiva depositata in vista dell’udienza di discussione, quindi sostanzialmente non con l’atto di appello, e percio’ in modo tardivo, con la conseguente inammissibilita’ della censura.

Ne discende che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese di questo giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte:

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese a favore dei controricorrenti, e che liquida per ciascuno, quanto agli esborsi, in Euro 200,00, e quanto all’onorario in Euro 800,00, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010

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