Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8872 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. II, 18/04/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 18/04/2011), n.8872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18517-2005 proposto da:

T.A. assistito e difeso da se stesso ex art. 86 c.p.c. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA 88, presso lo studio dell’avvocato BONANNI

BRUNO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TITO

ANTONIO;

– ricorrente –

contro

A.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 26/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 17/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 7/3/1995 il presidente del Tribunale di Palermo ingiungeva ad A.A. di pagare all’avvocato T. A. la somma di L. 7.745.000 oltre interessi e spese a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali rese in due distinti procedimenti penali.

L’ingiunto proponeva opposizione asserendo che l’unico soggetto obbligato al pagamento sarebbe stato il sindacato di Polizia al quale egli apparteneva e che, a suo dire, avrebbe conferito il mandato professionale. In sede di precisazione delle conclusioni l’ A. chiedeva che il compenso fosse liquidato alla stregua della tariffe in vigore con la condanna del T. alla restituzione delle somme indebitamente percepite a seguito di esecuzione forzata.

Il Tribunale respingeva l’opposizione; l’ingiunto proponeva appello chiedendo che la pretesa economica di controparte fosse contenuta nelle giuste proporzioni, comunque inferiori a quanto stabilito dal decreto ingiuntivo.

La Corte di Appello di Palermo con sentenza del 17/1/2005 rideterminava in L. 3.247.000 il compenso dovuto per onorari all’avvocato T. e determinava la somma totale dovuta, comprensiva di interessi e accessori di legge, in Euro 2.577,53; condannava l’avv. T. a restituire all’ A. la somma di Euro 5.757,40 oltre interessi.

La Corte osservava:

– che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di diritti e onorari è sufficiente anche una contestazione generica per investire il giudice del potere-dovere di verificare la fondatezza della contestazione e per determinare a carico del professionista l’onere di provare l’attività svolta e la corretta applicazione della pertinente tariffa;

– che nessun elemento di prova era stato fornito in merito all’entità delle prestazioni professionali in quanto l’appellato non aveva neppure depositato il fascicolo del primo grado e, di conseguenza, per determinare il compenso dovuto era necessario considerare le prestazioni indicate dallo stesso appellante, sulla base delle quali, quindi, liquidava il dovuto.

Ricorre per Cassazione l’avv. T. sulla base di tre motivi; il ricorrente ha depositato memoria.

Non si è costituito l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), art. 183 c.p.c. (contenente la regolamentazione della prima udienza di trattazione) e art. 345 c.p.c. (divieto di domande ed eccezioni nuove in appello) assumendo che il giudice di appello avrebbe potuto pronunciarsi solo sulla validità della domanda originaria e che la richiesta di determinazione dei compensi avrebbe dovuto essere dichiarata tardiva e inammissibile.

Il motivo è del tutto infondato perchè muove dall’erroneo presupposto che la richiesta di verifica della fondatezza e congruità della pretesa azionata sia una domanda, mentre l’appellante non ha formulato una nuova domanda o nuove eccezioni, ma si è limitato a rilevare la mancanza di prove atte a giustificare le voci tariffarie applicate e a chiedere la verifica delle prestazioni che, comunque, devono essere provate dall’attore; la richiesta di determinazione del compenso secondo tariffa e secondo quanto provato non è una domanda e non è neppure una eccezione, ma è una mera deduzione difensiva il cui contenuto si esaurisce nella richiesta che sia verificato se l’attore, il quale esercita la pretesa creditoria, abbia assolto all’onere di provare il proprio credito.

Infatti, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si configura – come noto – quale giudizio ordinario di cognizione e si svolge seconde le norme del procedimento ordinario; secondo i principi generali in tema di onere della prova incombe, a chi fa valere un diritto in giudizio il compito di fornire gli elementi probatori a sostegno della propria pretesa. Pertanto, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali (così come per il pagamento di forniture o servizi) spetta a chi fa valere tale diritto fornire la prova del fatto costitutivo; la parcella (ancorchè tarata dal consiglio dell’ordine), pur essendo titolo idoneo per l’emissione del decreto, non può costituire fonte di prova in favore della parte che la ha emessa (cfr., tra le tantissime, Cass. 2 5/6/2 00 3 n. 10150; Cass. 30/7/2004 n. 14556; Cass. 31 marzo 2008 n. 8397; Cass. 15/2/2010 n. 3463).

D’altra parte, ogni contestazione, anche generica, sollevata dall’opponente-convenuto in ordine all’espletamento dell’attività ed all’ortodossia dell’applicazione delle tariffe o, come nella specie in ordine alla prova dell’espletamento dell’attività, è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l’onere probatorio in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa (Cass. 24/1/00 n. 736, 26/1/95 n. 942, 16/8/93 n. 8724, 14/12/92 n. 13181).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), art. 115 c.p.c. (principio della disponibilità della prove), art. 345 c.p.c. (domande ed eccezioni nuove in appello) e art. 356 c.p.c. (ammissione e assunzione di prove in appello).

Si assume che, se ritenuta ammissibile la richiesta di rideterminazione del compenso, il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere in termini l’appellato per la richiesta di prove.

Il motivo è inammissibile perchè richiama norme processuali totalmente estranee all’oggetto della censura e perchè esula dai casi di rimessione in termini la concreta fattispecie nella quale il parziale rigetto della domanda attorea dipende esclusivamente dall’ingiustificato mancato assolvimento dell’onere di deposito del fascicolo di parte, come si apprende dalla lettura della sentenza impugnata laddove si afferma che non è in atti “alcun elemento da cui possa desumersi l’entità delle prestazioni svoltè (l’appellato non ha depositato il fascicolo di parte del precedente grado) …”;

in conseguenza di ciò la Corte territoriale ha ritenuto che potesse farsi riferimento solo alle indicazioni dell’appellante nell’atto di impugnazione e ha deciso di conseguenza.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione della Tariffa Forense di cui al D.M. 31 ottobre 1985 assumendo che dagli atti esistenti nel fascicolo risulterebbe che l’attività del professionista sarebbe stata maggiore di quella considerata dal Collegio.

Il motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza in quanto fa riferimento a non meglio identificati “atti esistenti nel fascicolo” senza indicare quali siano e quale sia il loro contenuto, con la conseguenza che non consente a questa Corte di valutare la rilevanza degli atti ai fini del giudizio sulla fondatezza del motivo.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso,senza statuizione sulle spese del presente giudizio,stante l’assenza dell’intimato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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