Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8870 del 18/04/2011

Cassazione civile sez. II, 18/04/2011, (ud. 25/01/2011, dep. 18/04/2011), n.8870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al NRG. 17797/05) proposto da:

P.T., P.E., PE.El., P.

S., P.L. e P.N., rappresentati e

difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avv.to CALCAGNO Lorenzo del foro di Genova e dall’Avv.to Maria

Teresa Barbantini Fedeli del foro di Roma, elettivamente domiciliati

presso lo studio del secondo in Roma, Viale Giulio Cesare, n. 14;

– ricorrenti –

contro

P.A. quale procuratrice generale di R.M. (che

agisce in proprio e quale unica erede di PE.An. ved.

R.), rappresentata e difesa dall’Avv.to FANTE Luigi del foro di

Genova e dall’Avv.to Desiderio Baldassarini del foro di Roma, in

virtù di procura speciale a margine del controricorso, domiciliata

presso lo studio del secondo in Roma, Via del Corso, n. 42/12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 758/2004

depositata il 13 maggio 2004.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 25

gennaio 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che – assenti le parti – ha

concluso per l’inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso, con

condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 30 marzo 1982 PE. A. e P.A., quest’ultima in qualità di procuratrice generale di R.M. (figlia di An.), evocavano, dinanzi al Pretura di Bobbio, P.D. e M., lamentando che questi ultimi, quali proprietari dei fondi confinanti con quelli di proprietà delle attrici, in (OMISSIS), avevano violato i confini e le distanze tra le proprietà contigue, eseguendo abusivamente opere su immobili ed occupando illegittimamente parti di terreno di loro proprietà; chiedevano, pertanto, la rimessione in pristino, la demolizione dei fabbricati abusivi ed il risarcimento dei danni.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, che contestavano la pretesa attorea, all’esito dell’istruzione della causa, il Pretore adito, dichiarava la propria incompetenza per valore, concedendo il termine di sei mesi per la riassunzione della causa avanti al Tribunale di Piacenza.

Riassunto dalle attrici il giudizio nei termini concessi innanzi al Tribunale dichiarato competente, i convenuti si costituivano, richiamando tutte le difese della precedente fase; veniva acquisito al giudizio il fascicolo d’ufficio della Pretura.

In data 19.10.1989 veniva dichiarata l’interruzione del giudizio per decesso di P.D.. Con ricorso depositato in data 29.1.1990, notificato a P.M. e a P.S., coerede di P.D., presso l’ultimo domicilio del defunto, il processo veniva riassunto. Dopo differimenti di ufficio, con provvedimento presidenziale veniva fissata l’udienza dei 25.3.1993 per la trattazione della causa, nella quale si costituiva il solo P.M.. All’udienza successiva, dichiarato il decesso del convenuto costituito, il giudizio veniva nuovamente interrotto. Parte attrice provvedeva ad ulteriore riassunzione con ricorso depositato il 22.4.1994, notificato personalmente a tutti gli eredi, fissata la prima udienza per il 24.11.1994, data che veniva rinviata d’ufficio al 23.3.1995, poi al 15.6.1995, ancora al 29.2.1996 ed infine al 20.6.1996.

Si costituivano le convenute PE.El. (figlia di D.) e P.T. (figlia di M.) eccependo l’intervenuta estinzione del giudizio e, nel merito, contestavano le domande proposte.

Dichiarata all’udienza di precisazione delle conclusioni la contumacia di P.E., P.L., P.N. e P.S., il Tribunale adito dichiarava: a) che i confini tra le proprietà delle attrici e quelle dei convenuti erano coincidenti con quelli individuati dalla c.t.u., disponendo l’apposizione di idonei termini a spese comuni delle parti; b) la illegittima occupazione della proprietà delle attrici (mapp. 322 foglio 114 NCT Ottone) per effetto della costruzione di un portico baraccone, di un balcone e di una rampa esterna di scale facenti parte dell’immobile di proprietà dei convenuti per l’allargamento del perimetro di base dello stesso e condannava i medesimi convenuti al ripristino dello stato dei luoghi; c) l’illegittima occupazione di altro terreno attoreo (mapp. 312 foglio 114 NCT Ottone) a seguito dell’allargamento di una strada poderale su esso insistente ad opera di P.D., condannando gli eredi di questo ultimo al ripristino dello stato dei luoghi, a loro cura e spese, mediante arretramento della strada medesima; d) la responsabilità di P. D. per il crollo del muro di contenimento di altro mappale delle proprietà attoree (mapp. 402 foglio 114 NCT Ottone), condannando gli eredi al ripristino a loro spese; e) la condanna dei convenuti, secondo la rispettiva responsabilità, al risarcimento dei danni, calcolati in via equitativa ed alla rifusione delle spese di giudizio. In virtù di rituale appello interposto da tutti i convenuti, che eccepivano preliminarmente la estinzione de giudizio per mancata riassunzione nei modi e termini di legge, quanto meno nei confronti di P.E., El., S., L. e N., in via subordinata, chiedevano dichiararsi l’intervenuta usucapione in favore di P.T. delle porzioni di fabbricati e/o manufatti eretti dal padre, P.M., la Corte di Appello di Bologna, nella resistenza della appellata R., la quale precisava che nella pendenza del giudizio di primo grado era deceduta anche PE.An., per cui si costituiva in proprio e quale erede della madre, rigettava integralmente l’appello.

A sostegno dell’adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava preliminarmente che il giudice di prime cure correttamente non aveva dichiarato l’estinzione del giudizio sussistendo litisconsorzio sostanziale fra gli originar convenuti, P.D. e M., per cui essendo intervenuta la riassunzione parziale, il giudice era obbligato ad ordinare l’integrazione del contraddittorio.

Aggiungeva che la doglianza circa l’essere stati i convenuti evocati in giudizio quali proprietari di un unico terreno, mentre essi avevano diviso i loro beni comuni sin dal 1975, non teneva conto che l’ordine di demolizione era stato disposto in relazione alle rispettive titolarità dei beni.

Nè poteva essere condivisa la censura circa le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u. in primo grado non essendo state mosse contestazioni sotto il profilo tecnico, neanche da parte dei ct. di parte.

Inoltre il giudice di primo grado aveva esaurientemente chiarito che l’ampliamento aveva interessato entrambe le proprietà – di M. e di P.D. – avendo entrambi i convenuti demolito la precedente casa di pietra, edificandone, al suo posto, una nuova a quattro piani, intervenuto lo sconfinamento precedentemente alla divisione del 1975 ed anzi nell’atto di divisione del 16.11.1975 era stato inserito proprio la sopraelevazione, segno inequivocabile che al momento della divisione questa era già stata realizzata.

Nè poteva trovare accoglimento la domanda riconvenzionale di intervenuta usucapione per avere il giudice del merito ricostruito la situazione in modo differente rispetto alla prospettazione di parte appellante, per cui non erano maturati i termini perchè si compisse l’usucapione invocata, non ricorrendo, peraltro, nella specie l’ipotesi di cui all’art. 938 c.c..

Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Bologna hanno proposto ricorso per cassazione i P., eredi di M. e D., che risulta articolato su due motivi, al quale ha resistito con controricorso la R., in proprio e quale erede della madre PE.An..

Hanno presentato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c., i ricorrenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 303 e 305 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere errato la Corte territoriale a non dichiarare l’avvenuta estinzione del giudizio per mancata riassunzione dello stesso nel termine di legge, dopo la interruzione disposta il 19.10.1989, a causa del decesso di P.D., avvenuto il (OMISSIS). Infatti, risulterebbe che il ricorso in riassunzione sia stato depositato in cancelleria il 29.1.1990, ma notificato collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio di P.D. solo il 29.3.1990, dunque oltre l’anno di cui all’art. 303 c.p.c., comma 2, per cui si sarebbe prodotto l’effetto di cui all’art. 305 c.p.c..

La censura va parzialmente accolta per quanto di seguito si esporrà.

E’ preliminare l’accertamento del thema decidendum qualificando l’azione intrapresa da P.A. (unitamente alla sua dante causa, R.M.), si da potere prendere posizione in ordine alle conseguenze della mancata riassunzione nei termini del giudizio di primo grado nei confronti degli eredi di P.D., essendo pacifico che la forma di notificazione agevolata agli eredi della parte defunta, prevista dall’art. 303 c.p.c., comma 2, trovando fondamento nella presunzione legale che gli eredi, nel periodo di un anno dalla morte, facciano capo al domicilio del de cuius per tutte le questioni o i rapporti inerenti la successione, può avere come punto di riferimento oggettivo esclusivamente l’evento stesso del decesso (v. Cass. 20 ottobre 2008 n. 25548). Con la conseguenza che il citato art. 303 c.p.c., comma 2, non può essere interpretato nel senso che l’anno durante il quale è consentita la citazione in riassunzione degli eredi della parte defunta in via impersonale nell’ultimo domicilio del de cuius decorra dalla data di deposito del ricorso per la riassunzione.

Orbene dal tenore della decisione impugnata e degli atti di entrambe le parti emerge che l’intimata (e la sua dante causa) ha adito il giudice di prime cure denunciando, in primo luogo, la violazione dei confini e delle distanze operata dai convenuti, proprietari di fondi confinanti con quelli di sua proprietà, che realizzando opere di restauro di una costruzione già esistente, avevano occupato parte del suo terreno, per cui ha chiesto la determinazione dei confini e la rimessione in pristino dei luoghi (con demolizione delle parti di fabbricato insistenti sul proprio lotto). Inoltre la medesima parte intimata ha assunto l’illegittima occupazione anche di altro terreno a seguito di allargamento di strada poderale su esso insistente ad opera di P.D., nonchè la responsabilità di quest’ultimo per il crollo del muro di contenimento esistente su altro mappale della stessa intimata.

Per orientamento della giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 9 febbraio 1995 n. 1462) nell’azione di regolamento dei confini non ricorre ipotesi di litisconsorzio necessario in quanto la domanda finium regundorum è in sè strutturalmente diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa, ma allorchè sia associata a richiesta di rilascio o di riduzione in pristino della parte di fondo che si ritiene usurpata in conseguenza dell’incertezza oggettiva o soggettiva dei confini, il contraddittorio esige di essere esteso, e se del caso integrato, sul versante passivo, nei confronti di tutti coloro che vantano diritti reali su tale parte del fondo o sulle opere e sui manufatti su di essa insistenti, stante l’inscindibilità e indivisibilità della situazione dedotta in giudizio. Tale orientamento ritiene questo collegio di dovere condividere, ritenendolo adeguato alla ipotesi della coesistenza, in un unico processo, di un’azione tendente all’accertamento dei limiti della dimensione spaziale del diritto di proprietà e di una azione tendente ad ottenere la modificazione fisica di una situazione di fatto correlata ad una situazione di diritto strutturalmente plurisoggettiva ma unitaria ai fini della tutela di un interesse di cui non è concepibile il concreto soddisfacimento se non nell’esecuzione nei confronti di tutti i soggetti congiuntamente portatori di un diritto confliggente con l’interesse dell’attore, con incidenza sulla sfera giuridica di ciascuno di essi (v. Cass. 20 gennaio 2010 n. 921; Cass. 7 maggio 1997 n. 9510).

Ne discende che, relativamente alla prima domanda, sussistendo ipotesi di litisconsorzio necessario dal lato passivo, la decisione dei giudici di merito sui punto appare corretta, in quanto seppure non pronunciata la integrazione necessaria del contraddittorio, nella sostanza la estinzione del giudizio è stata evitata con la regolare notificazione a ciascuno degli eredi di P.D. del secondo atto di riassunzione (intervenuto a seguito della ulteriore interruzione del giudizio per decesso anche di P.M., evento dichiarato dopo solo una udienza dalla reintroduzione del giudizio per decesso di D.).

Nè è condivisibile l’assunto dei ricorrenti secondo cui tra i convenuti non sussisterebbe ipotesi di comunione con riferimento alla realizzazione del rifacimento del fabbricato in contesa, per avere i germani D. e P.M. provveduto alla divisione del patrimonio comune con atto del 16.11.1975, giacchè il balcone e la rampa esterna di scale di cui si chiede l’arretramento fanno parte di un unico corpo di fabbrica che è di proprietà, per quota, dei fratelli P. e dette opere hanno comportato la modificazione complessiva del perimetro dell’edificio, bene che per sua natura è strutturalmente indivisibile.

Di converso detta impostazione non può essere condivisa con riferimento alle domande di ripristino formulate dalle attrici relativamente alla strada poderale ed al muro di contenimento, essendo state le istanze proposte esclusivamente nei confronti di P.D., indicato quale unico autore dell’occupazione ovvero dell’illecito. La situazione ivi fatta valere non comporta, perciò, alcun vincolo di solidarietà fra gli originari convenuti, per essere P.M. estraneo all’occorso (come si evince già dall’assunto di parte attrice), e conseguentemente trattandosi di posizioni scindibili della lite, dovendosi considerare la controversia scindibile in più cause, seppure dedotte nello stesso giudizio, ove all’interruzione del processo per morte di uno dei contraddittori segua l’atto di riassunzione non effettuato nel termine previsto nei confronti dei suoi eredi, ma validamente e tempestivamente eseguito solo nei riguardi di uno dei convenuti, il processo è validamente riassunto solo quanto ai rapporti processuali relativi a quest’ultimo e si estingue, invece, limitatamente alla parte deceduta (e ai suoi aventi causa).

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 113 e 115 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo, giacchè la decisione dei giudici di merito troverebbe fondamento sulla relazione del C.T.U. che è errata ed il giudice del gravame non avrebbe accolto l’istanza di rinnovazione e/o supplemento di consulenza formulata dagli eredi di P.M. e D., nè avrebbe preso in esame il risultato della perizia asseverata dagli stessi prodotta.

I ricorrenti, inoltre, di dolgono del mancato accoglimento delle riconvenzionali spiegate di acquisto per usucapione ovvero ex art. 938 c.c..

Inoltre, la censura denuncia anche l’assenza di una puntuale domanda di arretramento della strada poderale oltre il confine del mappale 312, nonchè l’erronea attribuzione della responsabilità a P. D. del crollo di un muro di contenimento. Infine, viene censurata la quantificazione del danno per non avere le parti fornito alcun elemento di giudizio al riguardo.

Il motivo è in parte infondato e in parte assorbito per quanto sopra affermato.

Per ciò che attiene alle doglianze relative alla erroneità delle conclusioni del c.t.u. è notorio che la consulenza tecnica può essere sia strumento di valutazione tecnica che di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo mediante il ricorso a determinate cognizioni tecniche. Qualora si richieda a rinnovazione della consulenza contestando non i dati tecnico – storici accertati, ma le valutazioni tecniche del consulente fatte proprie dal giudice di primo grado, il giudice non ha obbligo di motivare il diniego, che può essere anche implicito, bensì solo quello di rispondere alle censure tecnico – valutative mosse dal convenuto alle valutazioni di uguale natura contenute nella decisione (v. Cass. 14 febbraio 1980 n. 1103). Nella specie, peraltro, l’omesso espresso rigetto dell’istanza di rinnovazione non da luogo a vizio di omessa pronuncia, avendo il giudice del merito con sufficiente motivazione riconosciuto come esaurienti i risultati conseguiti dal c.t.u., giacchè in tale riconoscimento risultano adeguatamente contenute le ragioni che lo hanno indotto a non ammettere le nuove indagini.

D’altro canto anche in sede di legittimità le parti ricorrenti si sono limitate a dedurre una generica erroneità della consulenza tecnica d’ufficio, senza specificare per quale vizio le conclusioni siano da ritenere incongrue, non potendo certo essere necessaria la rinnovazione per il solo fatto che gli strumenti attuali di misurazione – secondo le stesse allegazioni – sarebbero di maggiore precisione.

Relativamente alla doglianza per i mancato accoglimento della domanda riconvenzionale di acquisto per usucapione ovvero ex art. 938 c.c., si tratta di censura che attiene alla valutazione delle risultanze probatorie, che costituisce tipica prerogativa del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, risulta sorretta da congrua ed adeguata motivazione.

Uguale considerazioni valgono per la censura che investe la qualificazione del danno: precisato che il danno risarcibile è solo quello afferente all’occupazione del mappale 322 foglio 114 (a seguito dell’edificazione di un balcone e di una rampa esterna di scale, con modificazione del perimetro di fabbrica), per cui per la parte restante il motivo è assorbito dalla pregiudiziale questione della estinzione del giudizio per le domande proposte nei soli confronti di P.D., la corte distrettuale ha correttamente specificato e voci di danno e le ragioni del ricorso alla liquidazione ai sensi dell’art. 1226 c.c.. Del resto questa Corte ha avuto modo di chiarire che in fattispecie del genere di quella in esame, concernenti occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è in re ipsa, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del dominus ed alla impossibilità per costui di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso (v. da ultimo, Cass., Sez. 2^, dell’8 marzo 2010, n. 5568; Cass., Sez. 3^, dell’11 febbraio 2008, n. 3251; Cass., Sez. 3^, dell’8 maggio 2006, n. 10498). La determinazione del risarcimento del danno ben può essere operata, in tali ipotesi, facendo riferimento al cosiddetto “danno figurativo”.

Quanto, infine, la mancata formulazione da parte delle attrici di domanda per l’arretramento della strada poderale, premesso – al solo fine di meglio definire le rispettive posizioni – che già in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado le attrici hanno puntualizzato le loro istanze, nei termini sopra riportati, il motivo è ritenere assorbito per la pregiudiziale questione dell’estinzione del giudizio relativamente alle domande formulate nei confronti del solo P.D..

In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso nei limiti sopra esposti e conseguentemente va dichiarata l’estinzione del processo in relazione alla domanda di condanna degli eredi di P.D. all’arretramento della strada poderale, nonchè a quella di ripristino e di risarcimento dei danni relativa al muro crollato; va dichiarato assorbito il secondo motivo per la parte relativa al risarcimento dei danni liquidati in riferimento alle domande per le quali è stato dichiarato estinto il relativo giudizio; va rigettato per il resto il ricorso. Alla pronuncia consegue la cassazione della sentenza impugnata nei limiti di cui sopra, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.

Il giudice de rinvio come sopra individuato viene, inoltre, investito della decisione relativa all’onere delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso nei limiti di cui in motivazione e conseguentemente dichiara l’estinzione del processo in relazione alla domanda di condanna degli eredi di P.D. all’arretramento della strada poderale e a quella di condanna degli stessi al ripristino e al risarcimento danni relativa al muro crollato;

dichiara assorbito il secondo motivo per la parte relativa al risarcimento dei danni e lo rigetta per il resto;

cassa a sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011

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