Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 887 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 17/01/2011), n.887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.E., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Stocchi Lupoi Edda e Peter

Mocnick, elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv. Gregorio

Troilo in Roma, via Poma, n. 2;

– ricorrente –

contro

A.M., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Gigli Giuseppe,

elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma, via G. Pisanelli,

n. 4;

– controricorrente –

e sul ricorso proposto da:

A.M., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Giuseppe Gigli,

elettivamente domiciliato nel suo studio in Roma, via G. Pisanelli,

n. 4;

– ricorrente in via incidentale –

contro

B.E., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Edda Stocchi Lupoi e Peter

Mocnick, elettivamente domiciliata nello studio dell’Avv. Gregorio

Troilo in Roma, via Poma, n. 2;

– controricorrente al ricorso incidentale –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Trieste n. 1115 in

data 2 novembre 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28 ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che il consigliere designato ha depositato, in data 21 luglio 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“Con atto notificato il 31 agosto 2006, B.E. – esponendo che A.M. era avvezzo a compiere ripetuti ed abbondanti lavaggi del proprio terrazzo sovrastante a quello di essa attrice (siti entrambi nel condominio di via del (OMISSIS)), nonchè all’innaffiamento della piante ornamentali poste sul relativo bordo, con frequenti travasi e percolazioni sul detto terrazzo attoreo, che avevano altresì provocato danni al parapetto ed ai serramenti lignei, ed inoltre con accumulo di residui delle potature e terricci, senza che il predetto desse riscontro alle richieste e promesse di intervento per ovviare agli inconvenienti – ha convenuto in giudizio l’ A. dinanzi al Giudice di pace, in particolare invocando gli artt. 844 e 2043 cod. civ., nonchè artt. 635 e 674 cod. pen., e quindi chiedendo accertarsi e dichiararsi la responsabilità del convenuto e la conseguente sua condanna a cessare dall’attività illecita, ponendo in essere a sua cura e spese tutti gli accorgimenti tecnici atti ad impedire il ripetersi delle lamentate infiltrazioni e percolazioni, oltre al risarcimento dei danni materiali, morali ed esistenziali. L’ A., nel costituirsi in giudizio, ha chiesto, tra l’altro, il rigetto della domanda attorea ed il risarcimento per lite temeraria, in particolare eccependo l’illiceità dell’innovazione apportata allo sporto del balcone dell’attrice e la conseguente imputabilità ex art. 1227 cod. civ. della situazione denunciata al comportamento della stessa pretesa danneggiata. L’adito Giudice di pace di Trieste – rilevata la propria incompetenza per valore sulla domanda risarcitoria dell’attrice – ha accolto la domanda della B., accertando e dichiarando la responsabilità in via esclusiva dell’ A. per le immissioni, e conseguentemente lo ha condannato ad apportare a proprie spese ai supporti e contenitori delle piante allocate all’esterno dei propri poggioli ed ai relativi scarichi modifiche idonee ad evitare il ripetersi delle immissioni, sospendendo comunque l’annaffiatura e le altre attività di giardinaggio potenzialmente invasive fino al risolutivo completamento dell’opera; ha inoltre condannato il convenuto alla rifusione delle spese processuali e degli oneri di c.t.u..

Giudicando sull’appello dell’ A., il Tribunale di Trieste, con sentenza n. 1115 del 2 novembre 2009, ha confermato il primo capo della sentenza impugnata, riformando il secondo, ordinando all’appellante di astenersi da eccessive immissioni di acqua per lavare le proprie terrazze o innaffiare le piante, ovvero di adottare una maggiore cura ed attenzione nella pulizia del pavimento e nella potatura delle piante; ha rigettato le residue domande; ha dichiarato le spese di lite interamente compensate tra le parti, relativamente ad entrambi i gradi del giudizio, ponendo gli oneri della c.t.u. in primo grado a carico di entrambe le parti, in quote uguali.

Per la cassazione della sentenza del Tribunale la B. ha proposto ricorso, sulla base di cinque motivi. Ha resistito, con controricorso, l’intimato A., proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a due mezzi.

Il primo motivo del ricorso principale denuncia nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.; violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 346 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. Si assume che il Tribunale avrebbe parzialmente riformato un capo della sentenza di primo grado in mancanza di impugnazione sul punto, o comunque di indicazione di specifici motivi da parte dell’appellante.

Il mezzo è privo di fondamento. Nessun vizio di extrapetizione è configurabile, posto che l’appellante non si è limitato a dolersi dell’an della propria responsabilità e della valutazione di intollerabilità delle immissioni, ma si è anche lamentato, specificamente, della “inaccoglibilità della richiesta volta a conseguire l’ordine … di assumere ogni più opportuno accorgimento tecnico atto ad evitare le lamentate tracimazioni”, rilevando come da parte dell’ A. fossero già stati spontaneamente disposti ante causam “tutti i possibili accorgimenti”.

Passando all’esame dei due motivi del ricorso incidentale, il cui scrutinio appare pregiudiziale in ordine logico, con essi ci si duole della ritenuta intollerabilità delle immissioni, lamentandosi la violazione e falsa applicazione dell’art. 844 cod. civ., anche in relazione all’art. 1227 cod. civ., nonchè motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria.

Entrambi i motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

Essi, al di là della astratta deduzione anche del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mirano ad una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata. Ma una simile revisione, in realtà, non è altro che un giudizio di fatto, risolvendosi sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità.

Del resto, nella specie non sono configurabili i lamentati vizi, avendo il giudice d’appello rilevato, per un verso, la legittimità, anche “condominiale”, dei balconi della B. e sottolineato, per altro verso, anche alla luce dell’esame delle numerose deposizioni testimoniali, che il comportamento dell’ A. nell’uso della propria terrazza non sempre è stato improntato a correttezza e sufficiente rispetto del reciproco rispetto e vivere civile; il che ha indotto il Tribunale “a far ritenere superati i limiti della tollerabilità delle riferite immissioni, sia pure rapportati alla persona di media sensibilità, oltre che alla particolare situazione dei luoghi”.

Con il secondo motivo del ricorso principale si prospetta omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, nonchè violazione dell’art. 844 cod. proc. civ., in relazione all’art. 844 cod. civ..

Il motivo è infondato.

La domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità, non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata, ben potendo egli ordinare l’attuazione di quegli accorgimenti che siano idonei ad evitare la situazione pregiudizievole (Cass., Sez. 2^, 5 agosto 1977, n. 3547).

A questo principio di diritto si è correttamente attenuto il Tribunale, il quale – riformando, sul punto, la sentenza di primo grado, che aveva condannato il convenuto ad apportare a proprie spese ai supporti e/o contenitori delle piante allocate all’esterno dei propri poggioli ed ai relativi scarichi modifiche idonee ad evitare il ripetersi delle immissioni – ha rilevato che, in realtà, nessuno specifico accorgimento tecnico può essere ragionevolmente ordinato all’ A., se non quello di astenersi da eccessive immissioni di acqua per lavare le proprie terrazze o innaffiare le proprie piante, ovvero di adottare una maggiore cura e attenzione nella pulizia del pavimento e nella potatura delle piante; dovendo per converso la B. tollerare eventuali cadute o depositi accidentali, specie in tempo di pioggia o vento, cadute e depositi non evitabili nemmeno con le precauzioni già adottate dall’appellante, come osservato dallo stesso c.t.u., e ciò in ragione del particolare assetto dei luoghi (diversa sporgenza delle terrazze). La misura individuata dal giudice del gravame per far cessare le immissioni pregiudizievoli in allenum è congrua e frutto di un ponderato bilanciamento delle risultanze di causa, sicchè la ricorrente non può pretendere in questa sede l’imposizione di accorgimenti tecnici, asseritamente ritenuti più efficaci.

Con il terzo ed il quarto motivo, la ricorrente in via principale denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., comma 2, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonchè nullità della sentenza o del procedimento, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, lamentando che il Tribunale abbia proceduto alla integrale compensazione tra le parti delle spese di lite, erroneamente sussumendo la fattispecie sotto la qualificazione di “parziale soccombenza reciproca”. Le censure sono infondate.

La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92 cod. proc. civ., comma 2), sottende – anche in relazione al principio di causalità – una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate, e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero anche l’accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorchè essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo (Cass., Sez. 3^, 21 ottobre 2009).

A tale principio si è attenuto il Tribunale.

Nel caso di specie l’attrice aveva chiesto non solo l’accertamento della intollerabilità delle immissioni e la condanna a cessare l’attività illecita, ma anche l’imposizione al convenuto di accorgimenti tecnici atti ad impedire il ripetersi delle lamentate infiltrazioni.

Questa domanda è stata accolta integralmente dal Giudice di pace, mentre il Tribunale, riformando un capo della pronuncia di primo grado, ha ritenuto sufficiente, nella sua discrezionalità, una condanna del convenuto ad astenersi da eccessive immissioni di acqua per lavare le terrazze o innaffiare le piante, ordinandogli di adottare una maggiore cura e attenzione nella pulizia del pavimento e nella potatura delle piante, ritenendo eccessiva la pretesa dell’attrice rivolta ad ottenere modifiche tecniche ai supporti e ai contenitori delle piante, precisando altresì che la B. deve tollerare eventuali cadute o depositi accidentali, specie in tempo di pioggia o vento, cadute e depositi non evitabili nemmeno con le precauzioni già adottate dall’appellante, come osservato dallo stesso c.t.u., e ciò in ragione del particolare assetto dei luoghi (diversa sporgenza delle terrazze).

Essendo la reciproca soccombenza ragione sufficiente a fondare la pronuncia di compensazione, resta assorbito l’esame del quinto motivo del ricorso principale (omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione), con cui si censura la ratio aggiuntiva a cui ha fatto ricorso il giudice del gravame per motivare la compensazione, ravvisata nell’obiettivo assai modesto (in termini di interessi in gioco) della controversia, che avrebbe dovuto indurre entrambe le parti a ben più miti e ragionate soluzioni (certo ottenibili col semplice buon senso e il reciproco rispetto e tolleranza). In conclusione, i ricorsi possono essere trattati in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., per esservi, entrambi, rigettati”.

Considerato che, preliminarmente, i due ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambi proposti contro la stessa sentenza;

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, pertanto, il ricorso principale ed il ricorso incidentale devono essere, entrambi, rigettati;

che l’esito del giudizio di cassazione impone l’integrale compensazione tra le parti delle spese di questo grado.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta, entrambi. Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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