Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8862 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 31/03/2021), n.8862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30474-2019 proposto da:

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 114/B, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE COLETTA,

rappresentata e difesa dagli avvocati BICE DEL GIUDICE, LUIGI

RICCIARDELLI;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e

difesa dagli Avvocati CARLO SBRAGIA, FRANCESCO FISTESMAIRE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1615/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 02/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

CRICENTI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Ricorre M.G., sorella di M.D.. Entrambe hanno stipulato un contratto di permuta di beni ereditari con conguaglio, con il quale era previsto che il valore dei beni assegnati a M.G. era di 151 mila Euro, mentre quello dei beni assegnati a M.D. era di 32 mila Euro, cosi che restava a carico della prima un conguaglio di 119 mila Euro. Nell’atto pubblico si dava atto che il conguaglio sarebbe stato pagato per 60 mila Euro con due bonifici, per 54 mila Euro con assegno e 5 mila Euro con altro assegno.

Tuttavia, la M.G., subito dopo la stipula dell’atto, mentre ancora si era nello studio notarile, ha restituito alla sorella D. l’assegno di 54 mila Euro, e però, qualche tempo dopo, a seguito del deteriorarsi dei rapporti con la sorella ha ingiunto a quest’ultima, con decreto ottenuto dal Tribunale, proprio la somma di 54 mila Euro portata dall’assegno, asserendo di averlo restituito non già per rimettere il debito, ma per consentire alla sorella una dilazione del pagamento.

M.D. ha proposto opposizione, che però è stata rigettata dal Tribunale in primo grado, il quale ha ritenuto che, sulla base di una serie di indici emersi in giudizio, la restituzione dell’assegno non rispondeva ad uno scopo di remissione del debito, bensì di dilazione del pagamento.

M.D. ha proposto appello, il cui primo motivo è stato accolto.

La corte di secondo grado ha innanzitutto ritenuto che l’art. 1237 c.c., prevede, in caso di restituzione dell’assegno, una presunzione di remissione di debito, che deve essere l’emittente a vincere adducendo prova contraria, ossia dimostrando di aver restituito il titolo non per rimettere il debito ma per altri scopi; in secondo luogo questa conclusione risulta, secondo la corte di merito, rafforzata attraverso una serie di indici ritenuti significativi della avvenuta remissione. Ricorre M.G. con quattro motivi. V’è controricorso di M.D..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

p..- Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1237,2727 e 2729 c.c..

Secondo la ricorrente la corte di merito non ha fatto buon uso del ragionamento presuntivo, nel senso che ha tratto la conclusione di una volontà di remissione del debito da indici non gravi, nè precisi nè concordanti, tra cui il fatto che la somma era stata ripartita in due assegni, il che era dovuto alla volontà di restituirne uno per remissione del debito e non altro e che una volontà di remissione non poteva essere contenuta nel contratto di permuta se non falsando i valori immobiliari ivi dichiarati.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, non coglie la ratio effettiva della decisione

A pagina 8 infatti la corte osserva come l’art. 1237 c.c., pone una presunzione di remissione del debito in caso di restituzione del titolo originale secondo la giurisprudenza di questa Corte, la restituzione dell’effetto vale come estinzione dell’obbligazione Cass. n. 1455/2015) e ne ricava che non è stata fornita prova contraria.

Ciò consente alla corte, innanzitutto, di ritenere l’efficacia estintiva del debito, per remissione.

Solo per rafforzare questa conclusione la corte richiama alcuni elementi presuntivi della volontà di rimettere il debito anzichè di concedere una dilazione.

Ma, anche ad ammettere due rationes decidendi, la prima non è censurata qui adeguatamente, anzi, non lo è affatto; non si contesta il ricorso alla regola presuntiva di cui all’art. 1237 c.c., così che anche se fosse fondata la censura della prova logica, rimarrebbe in piedi l’argomento basato sulla presunzione di cui alla norma citata.

p.- Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., ossia contraddittorietà della motivazione.

La ricorrente attribuisce alla corte, dapprima di avere ritenuto un inesistente accordo di remissione del debito, precedente il contratto di permuta, salvo poi ad ammettere che il debito era stato rimesso dopo quel contratto: cosi che o era stato estinto con l’accordo o con il successivo atto di rimessione.

Il motivo è inammissibile.

Intanto la ratio della decisione è un’altra: la corte di merito non postula un accordo di remissione precedente il contratto, ma ritiene che in vista della eventuale e successiva remissione il conguaglio era stato sdoppiato in due assegni, uno da 54 e l’altro da 5 mila Euro, per meglio poter dunque rimettere il primo.

Ed aggiunge, correttamente, che non avrebbe potuto essere diversamente salvo a dichiarare in atto valori immobiliari inferiori. Del resto, anche ad accedere alla prospettiva della ricorrente, non vi sarebbe comunque la contraddizione rilevata, posto che ben potrebbe ammettersi un accordo di remissione del debito avente efficacia obbligatoria, ossia che non estingue affatto la situazione passiva, ma impegna il creditore ad un atto successivo di remissione.

p..- Il terzo motivo censura la sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Secondo la ricorrente la corte non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la deposizione del teste B.B., da cui avrebbe potuto ricavare la volontà della resistente di non adempiere e dunque trame argomento a favore della tesi della dilazione del debito.

Il motivo è del tutto infondato.

La sentenza a pagina 10 valuta la testimonianza e la ritiene inattendibile, per una serie di circostanze espressamente indicate in

motivazione.

p..- Il quarto motivo, che denuncia violazione degli artt. 2699 e 2700, è da valutarsi unitamente al secondo, in quanto ripropone la questione dell’accordo di remissione precedente il contratto, dato il quale accordo, la circostanza di indicare in tale atto la fonte di estinzione dell’obbligo, porta poi, sia pure surrettiziamente, la corte ad dover ammettere (ma non lo fa) che l’affermazione contenuta nel contratto circa l’esistenza del debito è simulata.

Il motivo è inammissibile, data la diversa ratio della decisione. Va da sè che la corte non postula un accordo estintivo anteriore al contratto di permuta, ma un accordo volto a convenire una remissione successiva, quindi non avente esso stesso quella efficacia: “la remissione, pertanto, non poteva che operare proprio dopo l’atto pubblico: solo la indicazione in quella sede del debito di G. verso D. permetteva poi, con la successiva remissione, di adempiere all’impegno morale verso i genitori”(p. 9).

Il ricorso va pertanto rigettato.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in 6000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte da atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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