Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 886 del 17/01/2020

Cassazione civile sez. II, 17/01/2020, (ud. 29/10/2019, dep. 17/01/2020), n.886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11755/2018 R.G. proposto da:

OFFICINA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Biagio Riccio, con domicilio

eletto in Roma, alla Via Parioli n. 63, presso lo studio dell’avv.

Massimiliano Terrigno;

– ricorrente –

contro

COSTRUZIONI VIGI S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Giulio Santagostino, con domicilio

eletto in Roma, alla Via Pereira n. 41, presso lo studio dell’avv.

Italo Debenedictis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4252/2017,

depositata in data 11.10.2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29.10.2019

dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso, chiedendo

il rigetto del ricorso;

Uditi l’avv. Biagio Riccio e l’avv. Italo de Benedictis.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del contratto stipulato in data 30.12.2008, con cui la Costruzioni Vigi s.r.l. aveva venduto alla Officina Immobiliare s.r.l. l’immobile sito in (OMISSIS), ritenendo che il trasferimento fosse avvenuto in attuazione di un prestito usurario.

Il Giudice distrettuale ha rilevato che, con sentenza ex art. 444 c.p.p. P.G., socio ed amministratore della società ricorrente, era stato condannato per il reato di usura, per essersi fatto promettere interessi illeciti da V.A., V.M., e V.G., soci di Edilvalerio s.r.l. e della Costruzioni Vigi s.r.l., ottenendo, al momento della dazione del denaro, il rilascio di cambiali e la sottoscrizione di contratti preliminari.

Ha stabilito inoltre che l’atto di cessione immobiliare del 30.12.2008 è affetto da nullità ex art. 1418 c.c. in quanto la sua causa è illecita; in particolare presenta gli estremi del reato di usura in quanto il trasferimento è avvenuto come pagamento di interessi usurari e la cessione del bene ha costituito un mezzo utilizzato dall’agente per conseguire vantaggi usurari, non essendo solo il mutuo il solo strumento giuridico con cui si può realizzare l’usura”.

Ha ritenuto che la condotta del P., amministratore della Officina Immobiliare s.r.l., fosse imputabile alla società ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5 poichè l’atto illecito, benchè doloso, costituiva esplicazione dell’attività della Officina Immobiliare s.r.l., tendendo “al conseguimento dei fini di quest’ultima”.

La cassazione di questa sentenza è chiesta dalla Officina Immobiliare s.r.l. sulla base di due motivi di ricorso.

La Vigi Costruzioni s.r.l. ha depositato controricorso.

Con ordinanza interlocutoria n. 14841/2019, la Sesta sezione ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla controricorrente, contiene una sufficiente esposizione delle vicende processuali e delle questioni dibattute, sollevando censure che non attengono al merito ma che propongono quesiti in diritto, suscettibili dello scrutinio di legittimità.

2. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 101,102 e 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che P.G., amministratore della società ricorrente, era parte necessaria del giudizio di nullità, non potendosi accertare l’illiceità del negozio senza consentire l’esercizio del diritto di difesa al soggetto che aveva materialmente concluso il contratto.

Il motivo è palesemente infondato, dovendo rilevarsi che il P., ritenuto responsabile del delitto di usura per essersi fatto dare o promettere interessi illeciti e per aver procurato l’acquisto dell’immobile in corrispettivo del prestito usurario, non era parte della vendita, avendo pacificamente contratto nell’esercizio dei poteri gestori e in nome e per conto della Officina Immobiliare s.r.l., unica parte sostanziale del negozio di vendita.

La partecipazione al giudizio dell’amministratore non era necessaria, potendo rilevare solo a fini probatori, non configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario, poichè la domanda – di mero accertamento – era diretta a privare di effetti il contratto illecito e, pertanto, la successiva sentenza dichiarativa della nullità era suscettibile di pratica attuazione fra le parti sostanziali del rapporto (cfr. in tema di rappresentanza, Cass. 1701/1974; Cass. 9581/1991; Cass. 135/1977).

3. Il secondo motivo censura la violazione del D.Lgs. n.. 231 del 2001, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto che la condotta illecita dell’amministratore fosse direttamente imputabile alla società ricorrente in virtù del rapporto di immedesimazione organica, non considerando che il P. aveva agito esclusivamente nell’interesse proprio.

La sentenza di applicazione della pena su richiesta non poteva avere effetti nel giudizio civile e – inoltre – i fatti oggetto del giudizio penale erano pertinenti anche ad altre vicende, non sussistendo alcuna identità con quelli dedotte in sede civile.

Il motivo è infondato, dovendosi correggere la motivazione della sentenza, che è conforme a diritto nel dispositivo.

La responsabilità penale di P.G., amministratore della Officine Immobiliare s.r.l., per il delitto di usura, è stata oggetto della sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p.. Il P. era stato imputato per aver ottenuto, tra l’altro, il trasferimento del complesso immobiliare per cui è causa.

All’atto della concessione dei prestiti, con interessi oscillanti tra il 5 ed il 10% mensili, questi si era fatto consegnare taluni preliminari di vendita immobiliare sottoscritti dalle vittime.

La Corte distrettuale ha accertato che l’atto di vendita, oggetto del presente giudizio, era “proprio lo stesso del giudizio penale” (cfr. sentenza pag. 3).

Non viene dunque in rilievo la possibilità di imputare alla Officine Immobiliari l’agire dell’amministrazione ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5.

Dalla ricostruzione in fatto operata dalla sentenza impugnata è agevole evincere che il trasferimento immobiliare si è attuato mediante un contratto a causa illecita, essendo concepito – tramite la consegna dei contratti preventivamente sottoscritti – come attribuzione di uno specifico vantaggio usurario a titolo di corrispettivo del prestito.

Ha evidenziato il giudice di merito che “l’atto di vendita presentava gli estremi del reato di usura, in quanto il trasferimento è avvenuto come pagamento di interessi usurari e la cessione del bene ha costituito un mezzo utilizzato dall’agente per conseguire vantaggi usurari, non essendo solo il mutuo il solo strumento giuridico con cui si può realizzare l’usura” (cfr. sentenza pagg. 3 e 5).

In definitiva, il contratto aveva attuato uno scambio tra la proprietà dell’immobile (dal valore dichiarato di Euro 400.000,00), ed il prestito di Euro 100.00,00 al tasso di interessi mensile oscillante tra il 5% ed il 10% mensili.

Sulla scorta di tali non contestate conclusioni cui è pervenuta la Corte distrettuale, era dunque irrilevante che l’operazione illecita fosse stata conclusa dal P., nella qualità di amministratore unico della società acquirente, poichè la violazione dell’art. 644 c.p. sussiste anche qualora il profitto illecito sia rivolto a vantaggio di un soggetto diverso dall’autore materiale del reato, restando comunque impregiudicata – sotto il profilo civilistico – l’illiceità del negozio, posto inoltre che il trasferimento dell’immobile aveva costituito proprio il “vantaggio” patrimoniale cui era rivolto la condotta penalmente rilevante posta in essere dall’amministratore stesso (cfr., Cass. pen. 2134/1978, con riferimento alla formulazione dell’art. 644 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche di cui alla L. n. 108 del 1996).

Va difatti ribadito che al fine d’integrare il fatto contemplato dall’art. 644 c.p., come novellato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, è richiesto solo il requisito oggettivo dello squilibrio legalmente qualificato nell’ambito del contratto a prestazioni corrispettive.

Ne consegue che la linea di demarcazione tra condotta penalmente rilevante e operazione lecita in relazione alle concrete ed eventualmente complesse caratteristiche del rapporto, è dettata proprio dalla sproporzione dei vantaggi unilateralmente conferiti ad una sola delle parti (Cass. 17882/2011, in tema di rescissione per lesione).

L’accertamento, svolto dal giudice distrettuale, in ordine alla corrispondenza tra i fatti dedotti a fondamento della domanda e le condotte sanzionate ai sensi dell’art. 644 c.p.c. nel processo penale a carico del P., e in merito alla consumazione del reato, da parte di quest’ultimo, tramite il perfezionamento della vendita, giustificava il giudizio di illiceità della causa (Cass. 21098/2013; Cass. 8138/2009, con riferimento all’originaria formulazione dell’art. 644 c.p.c) e la pronuncia di nullità del contratto, non occorrendo verificare l’operatività dei meccanismi di imputazione della condotta dell’amministratore ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 5.

3.1. Correttamente la sentenza ha desunto l’illiceità del contratto dalla sentenza di patteggiamento, la quale – pur non avendo effetti vincolanti nel giudizio civile – è elemento di cui il giudice può tener conto quale elemento liberamente valutabile, idoneo anche da solo a giustificare la decisione (Cass. 2500/2018; Cass. 30328/2017), posto inoltre che, come già osservato, la Corte di merito ha riscontrato la perfetta corrispondenza tra i fatti oggetto dell’incolpazione penale con l’operazione di trasferimento impugnata in sede civile, non rilevando che l’imputazione e la condanna riguardassero anche altre vicende.

Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro. 7500,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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