Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8859 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. I, 13/05/2020, (ud. 07/01/2020, dep. 13/05/2020), n.8859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10102/2019 proposto da:

M.D., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Leonardo Bardi, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1697/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 02/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, pubblicata il 2 ottobre 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da M.D. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo calabro. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, ha depositato un atto, in cui non è formulata alcuna difesa, “al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Il secondo motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio è stato oggetto di discussione tra le parti.

I due motivi, svolti congiuntamente dal ricorrente, censurano la pronuncia impugnata avendo riguardo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria; essi si fondano sul mancato apprezzamento, da parte della Corte di appello, della condizione personale dell’istante, analfabeta e privo di qualsiasi relazione socio familiare in Bangladesh, oltre che sulla situazione generale di grave instabilità politica e sociale di tale paese: situazione che esporrebbe lo stesso ricorrente a un grave danno in caso di rimpatrio.

2. – I due motivi sono inammissibili.

Il ricorrente fa questione del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, con riferimento alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b). Con riferimento a tale forma di protezione (oltre che con riguardo a quella correlata allo status di rifugiato), il giudice distrettuale ha osservato come la vicenda narrata dall’appellante esulasse dalla materia che qui interessa, dal momento che la vicenda prospettata aveva ad oggetto dissidi maturati nell’ambito di una comunità locale e che, a fronte di tali contrasti, il richiedente aveva la “possibilità di richiedere protezione allo Stato in caso di minaccia”.

Il richiamo, svolto nel ricorso, alla generale sulla situazione socio-politica del Bangladesh appare, del resto, non conferente. L’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame, va escluso, dal momento che la Corte territoriale ha negato, come si è visto, che l’episodio descritto dal ricorrente desse ragione del rischio dell’esposizione a un “danno grave” D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, lett. g) e art. 14, lett. a) e b). Considerazioni analoghe varrebbero, del resto, nel caso in cui la menzionata situazione fosse invocata a fondamento della protezione umanitaria: infatti, la situazione di vulnerabilità che rileva per tale forma di protezione deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, in motivazione).

Parimenti non concludente è quanto dedotto con riferimento alla situazione personale dell’istante (in quanto analfabeta e privo di relazioni socio-familiari nel paese di provenienza). Si tratta di profili fattuali, astrattamente rilevanti con riguardo alla domanda di protezione umanitaria, ma che il ricorrente non spiega se e come siano stati prospettati nel corso del giudizio di merito. E’ da considerare, sul punto, che la Corte di appello, con riferimento a questa seconda forma di protezione, ha evidenziato come l’odierno ricorrente non avesse allegato particolari situazioni soggettive che fossero fonte di una qualche vulnerabilità: e a fronte di tale rilievo – che risulta conforme al diritto, dal momento che chi agisce per il riconoscimento della protezione internazionale ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016) – l’odierno istante non si è mostrato in grado di opporre alcunchè.

3. – Nulla deve disporsi in punto di spese processuali, stante l’assenza di attività difensiva da parte del Ministero.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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