Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8858 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. I, 13/05/2020, (ud. 07/01/2020, dep. 13/05/2020), n.8858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8965/2019 proposto da:

F.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Ivana Calcopietro, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1552/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2020 da Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito l’Avvocato Calcopietro;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, pubblicata il 7 settembre 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da F.M. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale de capoluogo calabro. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolta alcuna difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso possono riassumersi come segue.

Primo motivo: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 17; omesso esame di fatti decisivi per il giudizio; violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.; sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Lamenta il ricorrente che il giudizio circa le condizioni della propria zona di provenienza era stato elaborato sulla base di fonti risalenti nel tempo, senza quindi procedere a un accertamento aggiornato al momento della decisione.

Secondo motivo: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8, art. 702 ter c.p.c., comma 3. L’istante deduce che il giudice d’appello non avrebbe in alcun modo svolto un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, come invece imposto dal cit. D.Lgs. n. 251, art. 3. In particolare, la Corte di merito non aveva dato corso all’audizione del richiedente, nonostante fosse stata sollecitata in tal senso. Sottolinea F. che ove avesse proceduto a tale audizione, la Corte distrettuale avrebbe potuto approfondire le motivazioni che lo avevano spinto alla fuga.

Terzo motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè dell’art. 112 c.p.c., art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.; sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria e della protezione ex art. 10 Cost., comma 3. Assume il ricorrente che il giudice distrettuale avrebbe dovuto analizzare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dell’invocata forma di protezione a prescindere dalla credibilità o meno del proprio racconto; è spiegato che nell’atto di appello era stato dato conto del profondo stato di povertà del Mali: situazione da cui avrebbe dovuto desumersi la privazione dei diritti fondamentali in cui sarebbe incorso il richiedente nel caso di rimpatrio. E’ inoltre lamentato che la Corte territoriale non abbia condotto alcuna valutazione comparativa tra le condizioni di vita dell’istante, in Italia e nel Mali.

2. – I motivi non possono trovare accoglimento e il ricorso va respinto.

2.1. – Quanto al primo motivo, è senz’altro vero che nei giudizi di protezione internazionale la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone che sono pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (per tutte: Cass. 22 maggio 2019, n. 13897). E’ da credere, tuttavia, che ove il richiedente intenda dedurre, in sede di legittimità, la consultazione, da parte del giudice del merito, di informazioni non aggiornate, invocando, sul punto, la violazione di legge, debba egli non solo indicare quali diverse e più recenti notizie avrebbero dovuto essere prese in considerazione, facendo menzione delle relative fonti, ma precisare, con la specificità richiesta dall’art. 366 c.p.c., n. 4, gli elementi di fatto che attribuiscano decisività al vizio lamentato; non appare in proposito privo di rilievo che, se pure con riferimento ad altro genere di controversia, questa Corte abbia sottolineato che la censura circa il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito implica la necessità di indicare, nel ricorso per cassazione, l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito (cfr., con riferimento ai giudizi in materia di lavoro, Cass. 10 settembre 2019, n. 22628). In senso analogo la stessa Corte risulta essersi del resto pronunciata proprio nella materia che qui interessa, rilevando che, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26728).

Nella circostanza la Corte di merito ha indicato, nel corpo del provvedimento impugnato, le varie fonti consultate e le ultime notizie riportate in sentenza circa le condizioni del paese di provenienza del richiedente datano agosto 2017, mentre la causa è stata trattenuta in decisione pochi mesi dopo: il 20 febbraio 2018. A fronte di tale quadro, in cui si colloca l’affermazione, da parte del giudice del merito circa l’insussistenza di una situazione di violenza generalizzata nella regione di Kayes, nel Mali, da cui proviene il ricorrente, non appare concludente la censura svolta, la quale è basata su informazioni pubblicate sul sito del Ministero degli affari esteri il 28 gennaio 2019 – successivamente, dunque, al deposito della sentenza – recanti menzione di un “rischio terroristico” (e non, quindi, della situazione di “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), e in cui è oltretutto assente alcuno specifico riferimento all’area sopra indicata.

2.2. – Venendo al secondo mezzo, può osservarsi quanto segue. La Corte di appello ha puntualmente indicato le ragioni per cui le dichiarazioni rese dal richiedente (incentrate sulla pratica di sacrifici umani che avrebbe interessato il villaggio da cui egli proveniva) non potessero essere considerate veritiere a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Ciò posto, l’istante non può dolersi del giudizio formulato, in proposito, dal giudice di secondo grado, giacchè la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503); nè lo stesso ricorrente può genericamente addurre, a sostegno della presente impugnazione, la mancata rinnovazione della propria audizione da parte della Corte di appello, dal momento che quest’ultima, a fronte del maturato convincimento circa la palese infondatezza delle domande di protezione internazionale basate sulle menzionate pratiche sacrificali, non vi era tenuta.

2.3. – Quanto al terzo motivo, la situazione di vulnerabilità deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure, ora, Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, in motivazione). Nè può attribuirsi rilievo ad aspetti della vita del ricorrente che siano indicativi del suo inserimento nel tessuto sociale del nostro paese: a prescindere dal fatto che l’istante non chiarisce cosa abbia dedotto e dimostrato avanti ai giudici di merito in ordine a tale specifico profilo, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072; nel medesimo senso ora anche Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459).

3. – Nulla è da statuire in punto di spese processuali.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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