Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8854 del 14/04/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/04/2010, (ud. 12/02/2010, dep. 14/04/2010), n.8854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI COPPARO in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO 12 presso lo studio

dell’Avvocato TROVATO DANIELA TIZIANA, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ANSELMO FABIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE RERO DI G. MAZZONI & C. S.N.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 76/2003 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di BOLOGNA, depositata il 10/03/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2010 dal Consigliere Dott. DI IASI Camilla;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Il Comune di Copparo propone ricorso per Cassazione nei confronti della Immobiliare Rero di G. Mazzoni e C. s.n.c. (che è rimasta intimata) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di rettifica della dichiarazione ICI concernente un complesso immobiliare adibito a frigorifero industriale relativo al 1998, la C.T.R. Emilia Romagna, in parziale accoglimento dell’appello della società, riformava parzialmente la sentenza di primo grado (che aveva rigettato il ricorso della società), dichiarando che per l’anno 1998 la rendita catastale del complesso immobiliare in questione da porre a base dell’ICI doveva essere rideterminata in L. 50.000.000.

I giudici d’appello motivavano la propria decisione affermando che il contenzioso relativo alla rendita da attribuire al complesso immobiliare in questione si era concluso con una conciliazione giudiziale che fissava il valore condiviso di L. 50.000.000 in luogo del valore di L. 95.000.000 (così rideterminato in data 24-07-97 ed impugnato dalla parte).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Coi due motivi (congiuntamente trattati in ricorso), deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 46 e 48, D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 e D.M. n. 704 del 1994, art. 1, oltre che vizi di motivazione, il Comune ricorrente afferma che la conciliazione era intervenuta nel 2003 e pertanto poteva avere efficacia ai fini ICI solo per il periodo di imposta successivo al 1- 1-2004, non essendo efficace in relazione ad atti impositivi già emessi ed oggetto di autonomo contenzioso.

In particolare, premesso che la conciliazione in materia tributaria ha caratteristiche peculiari discendenti innanzitutto dalla circostanza che una delle parti è pubblica, e che, trattandosi di istituto che deroga ai principi generali, non può trovare applicazione generalizzata, il ricorrente rileva che la conciliazione de qua era intervenuta in altra causa, avente ad oggetto il recupero ICI per l’annualità 2000, senza che fosse siglato alcun accordo tra le parti circa il recupero dell’ICI relativo ad altre annualità, e che il consenso prestato dal Comune costituiva “una scelta strettamente processuale” relativa a quel determinato contenzioso e non valevole per il passato.

Il ricorrente inoltre precisa: che non era mai intervenuta una conciliazione giudiziale ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 48, unica ammissibile in tema di crediti per tributi altrimenti irrinunciabili; che in ogni caso nessuna conciliazione era intervenuta per gli anni di imposta 1997-1998-1999, rispetto ai quali il Comune ha sempre coltivato il contenzioso; che agli atti risulterebbe non una conciliazione bensì una semplice “non opposizione” ad una domanda spiegata in via subordinata dalla società nel contenzioso relativo all’ICI per l’anno di imposta 2000;

che la pretesa conciliazione invocata sarebbe in ogni caso intervenuta non solo in altro processo ma anche tra altre parti.

Il ricorrente aggiunge che al momento dell’acquisto da parte della società l’immobile era già iscritto al catasto e pertanto non vi era alcun motivo di determinarne il valore sulla base delle scritture contabili; che non era nella specie applicabile neppure la rendita di L. 36.100.000, essendo l’UTE intervenuta ai sensi del D.M. 11 febbraio 1997 ad effettuare la rettifica della rendita erroneamente attribuita; che l’atto impositivo conteneva tutti gli elementi essenziali previsti per legge e che nella specie erano applicabili interessi e sanzioni.

Le censure sopra esposte sono in parte infondate e in parte inammissibili.

Al fine di delimitare immediatamente la materia controversa, giova innanzitutto evidenziare che le questioni da ultimo prospettate, ove configurate come censure, sono inammissibili perchè non colgono una corrispondente statuizione della sentenza, non avendo i giudici d’appello nè affermato che nella specie dovesse determinarsi il valore sulla base delle scritture contabili nè che si potesse fare riferimento alla rendita di L. 36.100.000 nè che l’atto impositivo mancava degli elementi essenziali nè, infine, che nella specie non fossero applicabili interessi o sanzioni, bensì (e solo) che l’atto impositivo doveva essere corretto in relazione al valore della rendita catastale. Peraltro, in assenza di appello incidentale della controparte, il Comune non ha neppure interesse a tornare sulle predette questioni.

Quanto alla questione relativa all’intervento di una conciliazione giudiziale, i giudici d’appello hanno affermato: che c’era stata una conciliazione che aveva avuto ad oggetto la rendita da attribuire all’immobile, che essa era intervenuta tra le stesse parti in un contenzioso riguardante l’impugnazione della rendita, che pertanto la rendita fissata in sede di conciliazione doveva ritenersi sostitutiva di quella contestata.

Tanto premesso, le affermazioni del Comune (secondo le quali che non era mai intervenuta una conciliazione giudiziale ma solo una semplice “non opposizione” ad una domanda spiegata in via subordinata dalla società nel contenzioso relativo all’ICI per l’anno di imposta 2000, che in ogni caso tale conciliazione era intervenuta non solo in altro processo ma anche tra altre parti e che comunque essa non poteva riguardare gli anni di imposta 1997-1998-1999) configurano una censura della interpretazione data dai giudici d’appello all’atto de quo (alla sua configurabilità come conciliazione giudiziale, al suo contenuto e alla sua portata), inammissibile sia perchè non vengono neppure indicati i criteri ermeneutici violati dai giudici d’appello, limitandosi il Comune a contrapporre a quella dei giudici della C.T.R. una propria interpretazione dell’atto, sia per difetto di autosufficienza, posto che non viene riportato in ricorso il contenuto testuale di detto atto ed eventualmente di altri atti (ad esempio il verbale dell’udienza in cui sarebbe eventualmente intervenuta la conciliazione de qua) idonei a consentire a questo giudice di legittimità di valutare la fondatezza della censura sulla base del solo ricorso, senza ricorrere ad atti esterni ad esso (nella specie, peraltro, concernenti un diverso processo).

Quanto all’affermazione del ricorrente, secondo la quale la conciliazione intervenuta nel 2003 poteva avere efficacia ai fini ICI solo per il periodo di imposta successivo al 1.1.2004, essa deve ritenersi infondata perchè non considera che nella specie non ci troviamo di fronte all’attribuzione di una nuova rendita, bensì di fronte ad un atto (conciliazione) che definisce un contenzioso nel quale si è contestata la rendita attribuita, con richiesta di accertamento giudiziale in ordine a quale avrebbe dovuto essere la rendita da attribuire.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attività difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2010

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