Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8854 del 13/05/2020

Cassazione civile sez. I, 13/05/2020, (ud. 07/01/2020, dep. 13/05/2020), n.8854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4745/2019 proposto da:

I.P., elettivamente domiciliato in Roma presso la CANCELLERIA

civile della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE e rappresentato e difeso

dall’avvocato Pietro Ferrari, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 158/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/01/2020 da Dott. IOFRIDA GIULIA

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 158/2019, ha respinto il gravame di I.P., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale che, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, aveva respinto la richiesta dello straniero di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, i giudici della Corte di merito hanno rilevato che l’appello, limitato alla sola doglianza sul mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, non poteva essere accolto, non integrando un pericolo di danno grave la situazione narrata dal richiedente, riprodotta in un articolo di giornale esibito in giudizio (essere ricercato dalla Polizia per un reato di omicidio di un minore e temendo anche di essere ucciso dai parenti della vittima, che gli avevano anche già ucciso il padre, in occasione di un tumulto verificatosi subito dopo), sia per la non credibilità del racconto (in quanto la sua versione dei fatti, in ordine alla non intenzionalità dell’omicidio, era smentita da alcuni testimoni, che sostenevano che l’omicidio era da collegare a questioni di proprietà che opponevano due diversi nuclei famigliari, per dettagli differenti) sia perchè non integrante il grave danno richiesto dalla norma ai fini della protezione, trattandosi di pericolo correlato alla sottoponibilità a giudizio del richiedente per “fatto costituente comunque reato” ed ormai non attuale, essendo trascorso un lungo periodo temporale dagli eventi.

Avverso la suddetta pronuncia, I.P. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si è costituito al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, a partire dalla pag. 16 (dopo avere nelle prime pagine riprodotto il contenuto dell’atto di appello e della fase amministrativa): 1) la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 161 c.p.c., per motivazione apparente della sentenza, illogica e contraddittoria; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 2, nonchè dell’art. 161 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, sempre per motivazione apparente, avendo ritenuto che il pericolo paventato non era più attuale, senza considerare che, rispetto ai fatti verificatisi nel giugno 2013, l’istanza di tutela era stata rappresentata in sede di audizione personale, nel 2015.

2. La prima censura è infondata.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. civ. sez. un. nn. 16599 e 22232 del 2016; Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053).

Nella specie, la sentenza impugnata non può dirsi intrinsecamente incomprensibile sotto il profilo motivazionale, per avere la Corte territoriale ritenuto sia non credibile il racconto sia non attuale il pericolo descritto, trattandosi di plurime ed autonome rationes decidendi.

In ordine poi al vaglio di non credibilità operato dalla Corte di merito, come chiarito da questa Corte (Cass. 3340/2019; Cass. 27503/2018), la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito.

Nel motivo, al di là del denuncia di un vizio di violazione di legge processuale, si tende a sovvertire il giudizio di non credibilità motivatamente espresso dalla Corte di merito, sulla base dell’individuazione di specifiche lacune ed incoerenze nel racconto.

3. Il secondo motivo è, in parte, inammissibile, in parte, infondato.

Quanto al vizio di motivazione apparente o intrinsecamente contraddittoria valgono le considerazioni già svolte al par. 2.

Nella restante parte il motivo è volto a contestare soltanto una delle plurime rationes decidendi, che hanno sorretto il rigetto della doglianza, incentrata sulla sola richiesta di protezione sussidiaria; la doglianza risulta pertanto inammissibile, in quanto la sentenza, fondata sulla “ratio decidendi” non criticata dall’impugnazione, è passata in cosa giudicata (Cass. 14749/2005) o per carenza di interesse (Cass. 2108/2012; Cass. S.U. 7931/2013).

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2020

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