Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8852 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25749-2019 proposto da:

P.C. DI A.C. & CO. SNC, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

IANNONE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIORGIA GAUDINO;

– ricorrente –

contro

C.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 274/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società Pa. di Ce. S.n.c. di A. Ce. & Co. propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 274/2019 della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 29 gennaio 2019, formulando due motivi.

Nessuna attività difensiva è svolta in questa sede dalla parte intimata.

L’odierna ricorrente rappresenta in fatto di avere convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, C.M., al fine di far accertare l’illegittimo incremento del canone di locazione, previsto dall’art. 4, del contratto stipulato il (OMISSIS), e, conseguentemente, dichiarare dovuto l’importo di Euro 3.000,00 o quello ritenuto equo.

Tra le parti intercorreva un contratto di locazione ad uso commerciale stipulato il (OMISSIS), sostituito, in prossimità della scadenza del primo sessennio, da quello stipulato l'(OMISSIS) che prevedeva un canone assai più elevato di Euro 6.000,00 mensili, ridotto, per i primi sei anni ad Euro 3.000,00, a fronte del canone di Euro 1.069,00 pattuito con il primo contratto, e che comportava a carico del conduttore la rinuncia al diritto all’indennità di avviamento commerciale ed al diritto di prelazione e non prevedeva una durata.

L’odierna ricorrente otteneva dal Tribunale di Napoli la declaratoria di nullità delle clausole nn. 3 e 4 del nuovo contratto di locazione e la loro sostituzione ex lege con quelle già concordate con il contratto del (OMISSIS) nonchè la rideterminazione del canone mensile in Euro 1069,00 per l’intera durata del contratto.

La Corte d’Appello di Napoli, investita da C.M. del gravame, dichiarava nulla la sentenza di prime cure, rigettava la domanda originariamente formulata dalla società P.C., compensava le spese del doppio grado di giudizio.

Segnatamente, la Corte d’Appello riteneva che l’odierna ricorrente avesse lamentato l’incremento del canone solo a partire dal febbraio 2014, che il primo contratto fosse stato richiamato solo a scopo illustrativo, che non fosse stata messa in discussione la validità del contratto del 2008, che l’incremento del canone previsto dal contratto del 2008 fosse legittimo, che la riduzione del canone per i primi sei anni fosse una ricompensa per la rinuncia all’indennità di avviamento commerciale ed all’esercizio del diritto di prelazione.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto viziata, per ultra-petizione, la decisione prime cure.

Il motivo è inammissibile.

Ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo, per il quale la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto processuale, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (ex plurimis cfr. Cass. 26/05/2020, n. 9778).

L’applicazione di tale giurisprudenza pacifica e consolidata non può che portare al rilievo dell’inammissibilità del motivo dedotto, non avendo parte ricorrente riportato nei loro esatti termini ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, l’atto di citazione contenente le richieste formulate al giudice di prime cure.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 392 del 1978, art. 32, art. 79, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto che la riduzione del canone per i primi sei anni fosse messa in relazione con la rinuncia all’indennità di avviamento commerciale e all’esercizio del diritto di prelazione. Al contrario, la previsione di un canone iniziale di Euro 3.000,00 e di Euro 6.000,00 dopo il primo sessennio, secondo la prospettazione della ricorrente, rappresenterebbe una violazione del divieto sancito dalla L. n. 392 del 1978, art. 79, stante l’inverosimiglianza della tesi secondo cui la locatrice avrebbe rinunciato ad Euro 216.000,00, a fronte di Euro 108.000,00 (indennità per la perdita di avviamento) da pagare solo eventualmente, nonchè ad Euro 36.000,00 annui per sei anni, a fronte della rinuncia all’ipotetico esercizio del diritto di prelazione che comunque non comporta nessuna rinuncia economica, posto che il diritto di prelazione richiede la parità di condizioni.

Anche questo secondo motivo risulta inammissibile.

Non è stata riportata nel ricorso nemmeno la pattuizione, contenuta nell’art. 23 del contratto di locazione, con cui, stando a quanto si evince solo dalla sentenza, essendo privo di qualunque riferimento puntuale il ricorso, la conduttrice avrebbe rinunciato all’indennità all’avviamento commerciale ed all’esercizio del diritto di relazione, ottenendone, in cambio una riduzione del canone mensile per i primi sei anni; non è stato individuato l’error in iudicando in cui sarebbe incorso il giudice di appello, essendosi limitata la ricorrente ad instillare il dubbio che la pattuizione di cui all’art. 23 del contratto di locazione fosse lesiva della L. n. 392 del 1978, art. 79.

La Corte d’Appello ha escluso la ricorrenza di elementi atti a dimostrare l’elusività del divieto di cui all’art. 79, non emergendo nè dal testo del contratto nè da elementi extratestuali, che era onere della società conduttrice produrre in giudizio, che la pattuizione di un canone c.d. a scaletta perseguisse surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dalla L. n. 392 del 1978, art. 32, e così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79.

Nel caso di specie, avendo la Corte territoriale testualmente escluso l’esistenza di una volontà delle parti diretta ad eludere i limiti normativamente imposti dalla L. n. 392 del 1978, art. 32 (in ogni caso non comprovata dall’odierna società ricorrente), dev’essere altresì escluso il ricorso di alcuna violazione o falsa applicazione di norme di diritto da parte della stessa (tanto sul punto relativo alla validità del patto di “predeterminazione differenziata” del canone per frazioni di tempo nell’arco del medesimo rapporto quanto in relazione alla corretta distribuzione degli oneri di allegazione probatoria tra le parti in conflitto circa eventuali finalità elusive delle stesse nonchè in punto di interpretazione della clausola contrattuale, censurata in termini del tutto generici e meramente assertivi).

3. Ne deriva l’inammissibilità del ricorso.

4. Nulla deve essere liquidato per le spese di giudizio non avendo l’intimata svolto alcuna attività difensiva.

5. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della parte ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se donato, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA