Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8851 del 30/04/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 8851 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 24010-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente contro
FANCI LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. DENZA
20, presso lo studio dell’avvocato LORENZO DEL FEDERICO, che
Io rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO MILIA
giusta procura in calce al controricorso;

controricorrente noncla contro
FALLIMENTO SIPE SPA;

Data pubblicazione: 30/04/2015

- intimato avverso la sentenza n. 921/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE DELL’AQUILA SEZIONE
DISTACCATA di PESCARA del 24/11/2011, depositata il
06/08/2012;

04/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI
CONTI.
In fatto e in diritto
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due
motivi, contro la sentenza resa dalla CTR de L’Aquila n.921, depositata il
24.11.2011, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, era stato
annullato il silenzio rifiuto dell’Amministrazione sull’istanza di rimborso di
credito IVA per l’anno 1999 presentata dal Curatore del fallimento SIPE spa.
Rilevava la CTR che era pacifica l’esposizione del credito IVA nella prima
dichiarazione utile successiva e l’istanza di rimborso presentata dal
contribuente nell’annc(2008, aggiungendo che la mancata presentazione del
modello VR non integrava una causa di decadenza, applicandosi l’ordinario
termine decennale in relazione a quanto previsto dall’art.30 dPR n.633/72,
trattandosi di rimborso conseguente alla cessazione dell’attività per intervenuto
fallimento.
Con il primo motivo l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli
artt.30 e 38 bis dPR n.633172. Lamenta che la mancata presentazione del
modello VR relativo al credito impediva l’accoglimento della domanda della
contribuente
Con il secondo motivo l’Agenzia deduce la violazione dell’art.21 c.2 del
d.lgs.n.546/1992, rilevando la tardività dell’istanza di rimborso, presenta oltre il
termine di decadenza di cui all’art.21 cit., non applicandosi il termine
decennale di cui all’art.2946 c.c.
Fanci Luigi, costituitosi in qualità di cessionario del credito reclamato in
giudizio con controricorso, ha chiesto il rigetto del ricorso. La curatela del
fallimento non ha depositato difese scritte.
Le censure esposte dall’Agenzia appaiono infondate.
Ed invero, questa Corte ha ritenuto in tema di IVA che “la richiesta di rimborso
relativa all’eccedenza d’imposta, risultata alla cessazione dell’attività, essendo
regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, è soggetta al termine di
prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546
del 1992, art. 21 applicabile in via sussidiaria e residuale, in mancanza di
disposizione specifiche; proprio perché l’attività non prosegue, non sarebbe
infatti possibile portare l’eccedenza in detrazione l’anno successivo” (Cass. n.
9794/2010; Cass. 25318/10 e 13920/11; Cass. 27948/09, Cass. n. 14070/2012 e
Cass. n. 7684, 7685, 23580/2012).
Si è chiarito che l’art. 30 cit., “laddove dispone che i contribuenti, che non
Ric. 2013 n. 24010 sez. MT – ud. 04-03-2015
-2-

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

hanno effettuato operazioni imponibili nell’anno cui il credito IVA si riferisce,
non possono optare per il rimborso, ma devono necessariamente computare il
credito in detrazione nell’anno successivo, riguarda esclusivamente le imprese
in piena attività e non esclude quindi il diritto di quelle, che hanno cessato
l’attività o che sono fallite, di ricorrere all’istituto del rimborso per il recupero
dei loro crediti d’imposta, non avendo esse la possibilità di recuperare l’imposta
assolta su acquisti ed importazioni nel corso delle future operazioni imponibili”
(Cass. 5486/2003;Cass.n.25353/2013)-.
La sentenza impugnata, nel dare rilievo alla dichiarazione IVA presentata
nell’anno 2000 dalla società contribuente rispetto al credito IVA maturato
nell’anno 1999—e indicato in dichiarazione dalla contribuente fallita- e nel
considerare l’epoca dell’istanza di rimborso- coincidente con l’anno 2008, per
come indicato dalla stessa parte ricorrente a pag.2 del ricorso e dalla CTR a
pag.2 della sentenza- ha fatto buon governo dei principi appena ricordati, non
incorrendo nei prospettati vizi dedotti dall’Agenzia.
Sulla base delle superiori considerazioni, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore del Fanci nella
misura di cui al dispositivo, non essendo luogo a provvedere nei confronti
dell’altra parte non costituita
P.Q.M.
La Corte, visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia al pagamento delle spese processuali
che liquida in favore di Fanci Luigi in euro 3500,00, per compensi, oltre euro
100,00 per esborsi e oltre accessori come per legge.
Così deciso il 4.3.2015 nella camera di consiglio della sesta sezione civile in

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