Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 885 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. VI, 17/01/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 17/01/2011), n.885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.G., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv. Bernardi Giuseppe, elettivamente

domiciliato nel suo studio in Roma, via Monte Zebio, n. 28;

– ricorrente –

contro

B.E., rappresentato e difeso, in forza di procura speciale

a margine del controricorso, dall’Avv. Borromeo Chiara, elettivamente

domiciliato nel suo studio in Roma, via Alessandria, n. 25;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n.

4398 del 9 novembre 2009;

sentito l’Avv. Chiara Borromeo;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso: “aderisco

alla relazione”.

Udita, la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 ottobre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che il consigliere designato ha depositato, in data 16 luglio 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.:

“Con atto di citazione notificato l’11 novembre 1989, B. E., premesso che con scrittura privata del 4 ottobre 1983 D. F.V. gli aveva venduto per il prezzo di L. 62.000.000 la nuda proprietà dell’appartamento sito in (OMISSIS), con riserva di usufrutto in favore dell’alienante, la conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma affinchè venisse dichiarata trasferita, o, in subordine, fosse trasferita la nuda proprietà dell’immobile suindicato. La convenuta, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda, facendo presente che: per evitare la vendita dell’appartamento oggetto di un procedimento di esecuzione forzata, aveva chiesto ed ottenuto dal B. il prestito della somma di L. 62.000.000; contestualmente alla consegna dell’importo suddetto, aveva sottoscritto senza leggerlo un atto che il B. aveva definito di quietanza, senza avere mai inteso vendere l’immobile de quo. Pertanto, in via riconvenzionale, instava perchè fosse dichiarata la risoluzione del contratto o ne venisse dichiara la nullità o pronunciata la rescissione per lesione ultra dimidium.

Con sentenza del 18 ottobre 1995 il Tribunale, in accoglimento della domanda proposta dall’attore, dichiarava trasferita la nuda proprietà dell’immobile de quo, rigettando la riconvenzionale formulata dalla convenuta.

Con sentenza del 10 marzo 2003 la Corte territoriale rigettava l’appello proposto dalla D.F.. I giudici del gravame rilevavano che dalla confessione stragiudiziale resa dall’appellante con l’atto di denuncia dalla medesima presentata alla Procura della Repubblica era risultato che le parti avevano stipulato effettivamente l’atto di vendita, posto consapevolmente in essere dalla D.F. che, con il prezzo ricavato, aveva estinto il debito per soddisfare il quale l’immobile sarebbe stato oggetto di vendita forzata: d’altra parte, le risultanze della confessione erano confermate “benchè non ve ne sia bisogno” dalla deposizione del teste P., notaio dal quale le parti si erano recate per la stipula dell’atto pubblico di trasferimento. Nè sussisteva la dedotta nullità del contratto per violazione del patto commissorio, dal momento che nella specie il trasferimento del bene, che era avvenuto in via definitiva, ed il pagamento del relativo prezzo non avevano la finalità di costituire una garanzia provvisoria a favore del creditore. Infine il termine per proporre l’azione di rescissione era prescritto.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la D. F. sulla base di tre motivi, resistito dal B..

La Corte di cassazione, con sentenza n. 9467 del 19 maggio 2004, ha accolto il primo ed il secondo motivo del ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata. Ha rilevato la Corte che i giudici di appello, nell’accertare che effettivamente fra le parti venne conclusa la vendita senza alcuna funzione di garanzia, hanno fatto riferimento al contenuto e all’efficacia probatoria della denuncia presentata dalla ricorrente alla Procura della Repubblica, in cui la stessa aveva riferito che, per evitare la vendita all’asta, era stata costretta ad accettare la proposta del B. alienando per il prezzo di L. 62.000.000 la nuda proprietà dell’immobile del valore di L. ottocento milioni.

La Corte di appello, pur qualificandola come confessione stragiudiziale resa al terzo, ha affermato la piena validità confessoria della denuncia, considerando per ciò solo senz’altro provata la domanda proposta dall’attore:

ha ritenuto quindi inammissibili le istanze istruttorie formulate dalla D.F. in merito alla natura del rapporto dedotto in giudizio (testimonianze del B. e degli ispettori di polizia giudiziaria che avrebbero dovuto confermare la tesi del prestito formulata dalla ricorrente), in quanto considerate superate dalla ricordata confessione. Così argomentando – ha rilevato la Corte di cassazione – la sentenza impugnata mostra sostanzialmente di attribuire efficacia di prova legale alla confessione stragiudiziale resa al terzo, senza considerare che la confessione stragiudiziale fatta a un terzo, ai sensi dell’art. 2735 cod. civ., non ha il valore di prova legale come la confessione giudiziale o la confessione stragiudiziale resa alla parte o a chi la rappresenta, in quanto il giudice, seppure può fondare su di essa anche in via esclusiva il proprio convincimento, deve comunque liberamente apprezzarne il contenuto ed il valore probatorio attraverso la valutazione complessiva degli altri elementi probatori acquisiti, valutazione che invece nella specie è assolutamente mancata. Infatti – ha proseguito la Corte di cassazione -il giudice d’appello, limitandosi a prendere atto dell’efficacia della denuncia, non solo non ha compiuto alcuna analisi critica del contenuto delle dichiarazioni rese con la denuncia e delle altre risultanze processuali, ma addirittura non ha ammesso i mezzi istruttori specificamente invocati dalla ricorrente per dimostrare le circostanze dalla medesima dedotte sulla natura e sull’oggetto del rapporto intercorso fra le parti: tali mezzi di prova erano ammissibili e rilevanti, giacchè avevano ad oggetto la dimostrazione di fatti evidentemente decisivi per la risoluzione della controversia. Giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Roma – dinanzi alla quale, deceduta nelle more la D.F., si è costituito B.G., legatario dei diritti relativi all’appartamento oggetto di causa – con sentenza n. 4398 del 9 novembre 2009 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ha interposto ricorso il B., sulla base di un motivo.

Ha resistito, con controricorso, il B..

Con l’unico mezzo, il ricorrente denuncia vizio di insufficiente ed incongrua motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.

Il motivo è infondato.

All’esito delle prove raccolte in primo grado e nella sede di rinvio, la Corte di merito ha rilevato che non è stata raggiunta in alcun modo la prova che la vendita costituisse in realtà una garanzia della restituzione di un prestito. La Corte territoriale ha messo in luce come la stessa condotta della D.F. ricollega la conclusione della vendita, che appare effettivamente voluta, ad una sorta di “ricatto morale” del B. riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 1447 cod. civ.. La sentenza della Corte d’appello appare logicamente e congruamente motivata ed è priva di vizi giuridici. Il ricorrente denuncia che questa conclusione della Corte di merito rileverebbe un incompleto esame degli elementi probatori acquisiti.

In realtà, con il motivo, che non si articola nella precisa indicazione della carenze o lacune che si avrebbero nell’argomentazione che sostiene la sentenza impugnata, il ricorrente mira ad una revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata.

Ma una simile revisione, in realtà, non è altro che un giudizio di fatto, risolvendosi sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., per esservi rigettato”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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