Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8849 del 30/04/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 8849 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 21451-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE 11210661002 in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente contro
CAPEZIO ROBERTO in proprio ed in qualità di titolare della ditta
individuale Capezio Roberto, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA BOCCA DI LEONE 78, presso lo studio dell’avvocato UGO
DE LUCA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO
VALLERGA, giusta delega a margine del controricorso e ricorso
incidentale;

– contro ricorrente e ricorrente incidentale –

— cci,t.a
C. U ..• t »tz (.

Data pubblicazione: 30/04/2015

■.,-C • )

avverso la sentenza n. 1/2/2013 della Commissione Tributaria
Regionale di GENOVA dell’11.2.2013, depositata il 27/03/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/03/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

In fatto e in diritto
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un
unico motivo, contro la sentenza resa dalla CTR Liguria n.1/02/13, depositata il
27.3.2013, che in parziale accoglimento dell’appello proposto da Capezio
Roberto, ha rideterminato il reddito complessivo del contribuente in euro
314.486,26, in tal modo riducendo il reddito accertato per l’anno 2005 dalla
Direzione provinciale di Savona. Ha resistito con controricorso e ricorso
incidentale, affidato a tre motivi, la parte contribuente.
La CTR, dopo avere ritenuto che la mancata allegazione dell’autorizzazione
alle indagini bancarie non incideva sulla validità dell’avviso di accertamento
osservava, nel merito, che i maggiori costi riconosciuti dal giudice di primo
grado andavano maggiorati in relazione all’importo dei prelevamenti risultanti
dai conti, integranti dei veri e propri acquisti in nero. Ragion per cui la media
fra tali prelevamenti maggiorati dei costi già accertati in primo grado e i
versamenti sul conto corrente evidenziava una percentuale del 41,93, dalla
quale era possibile desumere, tenuto conto delle indicazioni offerte dalla parte
contribuente, un dato medio del 45 % da detrarre rispetto al maggior reddito
accertato. Aggiungeva poi che le sanzioni applicate derivavano
dall’occultamento di reddito imponibile.
Con controricorso e ricorso incidentale, affidato a tre motivi, il contribuente ha
chiesto il rigetto del ricorso.
Con l’unica censura proposta l’Agenzia deduce la violazione dell’art.32 dPR
n.600/73 e dell’art.51 dPR n.633/72. Lamenta che la CTR aveva dato vito ad un
vero e proprio ribaltamento della giurisprudenza di questa Corte resa in tema di
determinazione dei redditi in via induttiva attraverso l’esame delle
movimentazioni bancarie, dalla quale derivava che i prelevamenti ed i
versamenti non giustificati andavano imputati a ricavi conseguiti dalla propria
attività, spettando al suddetto l’onere di superare la presunzione legale nascente
dall’art.32 cit. attraverso la dimostrazione di averne tenuto conto nella
determinazione della base imponibile.
La parte contribuente ha dedotto l’infondatezza del ricorso.
Orbene, la censura esposta nel ricorso principale è fondata.
Ed invero, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che le
presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a
considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente
non riesca a dare giustificazione-cfr.Cass.n.4688/2012-. Si è poi chiarito nella
decisione da ultimo evocata, che per poter accertare la natura di costi degli
addebiti e la loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova
Ric. 2013 n. 21451 sez. MT- ud. 04-03-2015
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CONTI.

Ric. 2013 n. 21451 sez. MT – ud. 04-03-2015
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contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie (Cass.n
16341/2008). In altri termini, l’Amministrazione finanziaria, in sede di
accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione
reddituale complessiva del contribuente tenendo conto anche delle componenti
negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti,
ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, dovendosi peraltro
escludere l’automatica inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni
di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili, in
quanto le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno
considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e
provare eventuali specifici costi deducibili-cfr.Cass.n.17051/2012-. Ciò perché
la presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32,
costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da
parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova-cfr.Cass.n.4688/2012;
Cass. nn. 6618/2009 e 13288/2011;di recente, v., Cass.n.23873/10
specificamente in tema di costi e anche Cass.n. 25317/2014-.
A tali principi non si è in alcun modo conformato il giudice di appello il quale,
per converso, ha ritenuto di attribuire ad una parte dei prelevamenti del conto
corrente della parte contribuente l’automatica natura di costi, muovendo
dall’errato presupposto che la Corte costituzionale —sent.n.225/2005-avesse
affermato il principio dell’automatico riconoscimento dei costi in caso di
accertamento induttivo del reddito. Presupposto, quest’ultimo, errato proprio in
ragione del fatto che incombe pur sempre sul contribuente l’onere di dimostrare
tali costi, vincendo la presunzione legale di cui si è detto, riguardante oltre che i
versamenti anche i prelevamenti.
Passando all’esame del primo motivo di ricorso incidentale, con il quale si
prospetta la violazione degli artt.7 c.1 n.212/2000 e 3 1.n.241/1990, in relazione
alla mancanza di motivazione dell’autorizzazione allo svolgimento di indagini
bancarie, lo stesso è infondato.
Questa Corte è ferma nel ritenere che la previa conoscenza dell’atto
autorizzatorio non costituisce presupposto di legittimità dell’avviso di
accertamento, né di inutilizzabilità delle prove raccolte, essendo richiesto dalla
legge soltanto che tale autorizzazione sia stata effettivamente adottata (cfr.
Cass. n./14023/2007;Cass.n.1674/2009-.
Peraltro, Cass.n.14026/2012 ha avuto modo di chiarire che <<...le "autorizzazioni" contemplate dagli artt. 32 co 1 Dpr n. 600/73 e 51 co 2 Dpr n. 633/72, non necessitano di autonoma motivazione in considerazione della assenza di una specifica previsione normativa che imponga tale requisito dell'atto, come emerge anche dal raffronto con le disposizioni contenute nell'art. 52 Dpr n. 633/72 (estese alla materia delle imposte sui redditi in virtù del rinvio operato dall'art. 33 co 1 Dpr n. 600/73) che disciplinano le autorizzazioni agli accessi nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali (per le quali è richiesta, peraltro, soltanto la "indicazione dello scopo": art. 52 co 1), ovvero alla esecuzione di accessi in locali adibiti anche ad abitazione (per le quali è richiesta "anche" la autorizzazione del procuratore della Repubblica: art. 52 co 1, ultima parte) ovvero alla esecuzione di perquisizioni domiciliari (per le quali è richiesta la autorizzazione del Procuratore della Repubblica che può essere rilasciata 'soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme del Ric. 2013 n. 21451 sez. MT - ud. 04-03-2015 -4- presente decreto": art. 52 co2). La mancanza di una previsione normativa espressa che prescriva la motivazione delle autorizzazioni di cui all'art. 51 co 2 nn. 6 bis, 7 e 7 bis (ed analogamente ex art. 32 co 1 stessi numeri) viene giustificata con la riconduzione della acquisizione di notizie, informazioni, documenti -anche presso banche, istituti di credito, società di intermediazione finanziaria. Amministrazione postale- alle competenze ed al potere di verifica delle situazioni reddituali e patrimoniali dei contribuenti (in funzione dell'eventuale successiva attivazione del procedimento di accertamento) attribuiti per legge (art. 95 co 3 Cost; art. 31 Dpr n. 600/73; art. 51 co 1 Dpr n. 633/72) alla Amministrazione finanziaria. Per quanto in particolare concerne fa richiesta alle banche di fornire dati, notizie e documenti relativi ai servizi prestati ed rapporti intrattenuti con i propri clienti, si è rilevato che la autorizzazione ha per oggetto una "richiesta" che è rivolta esclusivamente all'ente che intrattiene i rapporti con il contribuente ("deve essere indirizzata al responsabile" della struttura, sede od ufficio), con la conseguenza che, non essendo legittimato detto ente a contestare la verifica fiscale condotta nei confronti di un soggetto diverso (il cliente), al quale invece la richiesta (e tanto meno la autorizzazione) non deve essere comunicata, il requisito formale della motivazione dell'atto autorizzativo appare logicamente del tutto inutile (cfr. Corte cass. V sez. 21.7.2009 n. 16874 che richiama il precedente della V sez. 15.6.2007 n. 14023)>>.
Sulla base dei principi sopra esposti, la censura appare destituita di
fondamento, essendosi la CTR conformata ai detti principi.
Quanto al secondo motivo di ricorso incidentale, con il quale la parte ricorrente
deduce la violazione dell’art.32 c.1 n) dPR n.600/73 e dell’art.53 della
Costituzione, in ragione della ritenuta illegittimità dell’avviso di accertamento
che non avrebbe autonomamente considerato l’incidenza dei costi sul reddito
dichiarato induttivamente i lo stesso è assorbito dall’accoglimento del primo
motivo di ricorso principale.
Occorre quindi passare al terzo motivo di ricorso incidentale, con il quale si
deduce la violazione dell’art.5 d.lgs.n.472/1997, in ragione dell’assenza di
colpevolezza in capo al contribuente rispetto alle violazioni accertate. Deduce il
contribuente che ai fini dell’applicazione delle sanzioni non è sufficiente
dimostrare l’esistenza della violazione, occorrendo la prova della colpa, a carico
dell ‘Ufficio.
Tale censura è parimenti infondata.
Questa Corte ha infatti ritenuto che in tema di sanzioni amministrative per
violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del
contribuente, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, occorre che
l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta
con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza e la
prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente, sicché va esclusa la
rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il
profilo della mancanza assoluta di colpa-cfr.Cass.n.13068/2011;Cass.
n.14030/2012-.
La sentenza impugnata, pertanto si sottrae alle censura esposte dalla parte
contribuente, avendo dato conto della circostanza che l’applicazione delle
sanzioni derivava dall’occultamento (volontario e cosciente) del reddito.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso principale e
rigettati il primo ed il terzo motivo e assorbito il secondo motivo di ricorso
incidentale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della
CTR della Liguria perché applichi i principi sopra esposti, provvedendo altresì
sulle spese del procedimento di legittimità.
P. Q.M.
La Corte, visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Accoglie il ricorso principale, rigetta il primo e il terzo motivo e assorbito il
secondo motivo del ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR della Liguria
perché applichi i principi sopra esposti, provvedendo altresì sulle spese del
procedimento di legittimità.
Così deciso il 4.3.2015 nella camera di consiglio della sesta sezione civile in

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