Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8846 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11851-2019 proposto da:

ISTITUTO DELLE FIGLIE DI SANTA MARIA DELLA DIVINA PROVVIDENZA, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PADRE LEONARDO CATTOLICA 3, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRO CIUFOLINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIA MIRIGLIANI;

– ricorrente –

contro

ACQUEDOTTO PUGLIESE SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 390/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 05/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Istituto delle Figlie di Santa Maria Divina Provvidenza si opponeva al decreto ingiuntivo n. 2366/08, con cui gli veniva imposto, dal Tribunale di Trani, di pagare, ad Acquedotto pugliese S.p.A, Euro 23.891,88 per consumi idrici.

Il Tribunale di Bari, con sentenza n. 679/12, rigettava l’opposizione.

La Corte d’Appello di Bari, con la sentenza n. 390/2018, pubblicata il 5 marzo 2018, riformava parzialmente la decisione di prime cure, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per le pretese relative agli anni 1998, 1999, 2000, trattandosi di tributi, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’appellante al pagamento di Euro 650,80 relativi a pretese diverse, ritenute non contestate nel merito.

L’Istituto delle Figlie di Santa Maria Divina Provvidenza ricorre per la cassazione di detta sentenza, basandosi su tre motivi.

Nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede dall’Acquedotto pugliese.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al citato codice, art. 360, n. 4, per non essersi la Corte d’Appello pronunciata sui motivi di appello 8 e 9, riprodotti integralmente per soddisfare le prescrizioni di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c., ed averla, di conseguenza, condannata al pagamento di Euro 650,80.

2. Con il secondo motivo l’Istituto lamenta la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, deducendo che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, aveva specificamente contestato la debenza della somma per cui era stata condannata, affermando di non avere consumato la quantità di acqua per la quale il pagamento era stato richiesto, confutando reiteratamente le fatture inviate dall’acquedotto pugliese e chiedendo inutilmente un intervento tecnico.

3. Con il terzo motivo parte ricorrente imputa alla sentenza gravata la violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 3, perchè, stante la presunzione di veridicità della rilevazione dei consumi mediante contatore, in caso di contestazione, il somministrante avrebbe dovuto provare che il contatore era perfettamente funzionante, perciò, non avendolo dimostrato e non risultando i consumi idrici da altra fonte di prova, la Corte d’Appello avrebbe dovuto revocare il decreto ingiuntivo.

4. Il secondo motivo è fondato, per l’assorbente rilievo che non è condivisibile l’affermazione della Corte di merito, secondo cui l’odierna ricorrente non aveva contestato nel merito la debenza delle somme oggetto delle fatture.

Gli atti del giudizio di merito, ai quali la Corte ha potuto direttamente accedere in ragione della natura processuale del vizio denunciato, e che, comunque, sono stati interamente riprodotti da parte ricorrente, dimostrano, in effetti, che l’Istituto, opponendosi al decreto ingiuntivo, aveva contestato non solo la fattura del (OMISSIS), con riferimento alla quale aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ma anche le restanti fatture, relativamente alle quali aveva non solo eccepito l’incompetenza ratione valoris del Tribunale, il proprio difetto di legittimazione passiva, la prescrizione, ma aveva anche contestato il consumo da cui era scaturito il credito azionato dall’Acquedotto Pugliese, articolando prova per testi e richiesta di CTU. Ne riferisce, peraltro, giusto in questi termini la sentenza gravata alle pp. 23.

Nel giudizio di appello, sempre la sentenza gravata dà atto, tra l’altro, che l’Istituto aveva chiesto di “accertare e dichiarare che la somma ingiunta non è dovuta per non essere stato effettuato il consumo e/o per non essere lo stesso addebitabile a parte opponente e, comunque, per tutte la causali di cui in premessa, accertare che la somma ingiunta non è dovuta e/o che nessuna somma è dovuta dall’opponente all’Acquedotto opposto”; in particolare, la sentenza impugnata riferisce che, con l’ottavo motivo, l’Istituto si era lamentato del fatto che il Tribunale si fosse “sbrigativamente liberato delle richieste istruttorie, definendole generiche quando in realtà tali prove sarebbero fondamentali per escludere la propria debenza, dal momento che lo stato dei luoghi e l’assenza delle perdite provano l’erroneità del conteggio effettuato: era stato infatti dimostrato come una casa di cinque suore non poteva avere effettuato il consumo idrico riportato in fattura, paragonabile a quello di una piccola cittadina” e, con il nono motivo, aveva ribadito tali argomenti, rimproverando al giudice di aver violato l’art. 112 c.p.c..

Con il nono motivo, in particolare, l’Istituto aveva lamentato che il giudice dell’opposizione non avesse vagliato tutte le difese dedotte in atti; tra queste l’Istituto faceva riferimento non solo alla contestazione della fattura del (OMISSIS), ma anche al carteggio intercorso con l’Acquedotto pugliese in merito alla contestazione delle fatture (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), basata sulla inverosimiglianza dei consumi registrati, che sarebbero stati inficiati da errori ed inesattezze scaturenti “dalla situazione patologica pregressa che continuava ad esplicare i suoi effetti e/o da ulteriori sviluppi della stessa ancora non esattamente identificabili”. Concludeva con l’invito al Giudice, affinchè valutasse anche il comportamento extraprocessuale dell’Acquedotto pugliese, considerasse non dovuto il pagamento di alcunchè all’Acquedotto pugliese, date le palesi contraddizioni tra le misurazioni precedenti e quelle successive, la evidente ricorrenza di un conteggio frutto di errore non imputabile, per il quale aveva richiesto più volte un intervento tecnico.

Risulta, dunque, evidente che, sia nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo sia nel giudizio di appello, l’Istituto aveva adempiuto all’onere di contestazione dei fatti (costitutivi) del diritto di credito, svolgendo in giudizio una difesa che risulta oggettivamente incompatibile con il riconoscimento della relativa sussistenza.

Va, poi, considerato, che “l’onere di contestazione previsto dall’art. 115 c.p.c., comma 1, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, deve ritenersi adempiuto non soltanto quando il convenuto abbia specificamente contestato i fatti allegati dall’attore, ma anche quando lo stesso, pur non avendo espressamente contestato tali fatti, abbia tuttavia assunto una posizione difensiva che, in termini oggettivi, è incompatibile con la loro affermazione, così implicitamente negandone l’esistenza (Cass. 08/08/2019, n. 21210). Solo due delle quattro fatture indicate dalla Corte d’Appello di Bari – n. (OMISSIS) e la n. (OMISSIS) – risultano non menzionate specificamente nelle argomentazioni difensive dell’Istituto ricorrente, ma in applicazione del principio suesposto non può revocarsi in dubbio che l’Istituto abbia assunto una posizione difensiva incompatibile con la ritenuta sussistenza del diritto di credito oggetto delle fatture indicate.

5. Dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso, discende l’assorbimento del primo e del terzo motivo.

6. Ne consegue l’accoglimento del ricorso.

7. La sentenza gravata è cassata e la controversia rinviata alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti. Cassa la decisione impugnata, rinvia la controversia alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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