Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8845 del 05/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/04/2017, (ud. 14/02/2017, dep.05/04/2017),  n. 8845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 18868/2015 proposto da:

UNICREDIT LEASING SPA, in persona del suo procuratore speciale Dott.

C.L.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO

CATAVELLO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.

BAIAMONTI 10, presso lo studio dell’avvocato ROSA PATRIZIA SANTORO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA

RAVINALE giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 953/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/02/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per improcedibilità ex art.

369 c.p.c., condanna aggravata alle spese e statuizione sul

contributo unificato;

udito l’Avvocato ALVISE VERGENIO per delega;

udito l’Avvocato ROSA PATRIZIA SANTORO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La UniCredit Leasing spa ricorre, affidandosi ad un unitario motivo, per la cassazione della sentenza n. 953 del 20.5.15, con cui la corte di appello di Torino ha dichiarato inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, il suo appello avverso la sentenza con cui il tribunale di quello stesso capoluogo aveva accolto l’opposizione di M.F. al decreto ingiuntivo nei suoi confronti ed in favore di essa ricorrente emesso per il pagamento dei canoni scaduti e da scadere di un contratto di locazione finanziaria per l’acquisto di una unità da diporto del costo originario di Euro 621.390,00 oltre IVA, collegato alla compravendita del bene intercorsa tra la finanziatrice e la produttrice Innovazione e Progetti srl, alla quale però non era seguito il pagamento da parte del cliente, che aveva contestato il ritardo nella consegna e gravi vizi nella cosa consegnata, ma il pagamento alla venditrice del prezzo, cui la UniCredit Leasing spa era stata costretta nel corso di una precedente azione intentata da quest’ultima nei suoi confronti.

2. La ricorrente denunzia, con un unitario motivo, “nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4. Violazione dell’art. 342 c.p.c.”, contestando la qualificazione di non specificità dei motivi dell’appello da essa proposto ed in base alla quale la corte di merito ha dichiarato inammissibile il suo gravame.

3. La corte di appello individua come non attinte da specifiche censure le questioni:

– dell’applicabilità al contratto stipulato inter partes del codice del consumo;

– della ricostruzione analitica dello specifico contenuto contrattuale ed in particolare della “ritenuta nullità delle clausole n. 5 V) e 14 V) CGC” e della “ricostruzione del significato e della ratio delle clausole n. 3 e 5”;

– della “individuazione della domanda di dichiarazione di inefficacia del contratto” e del “potere di rilievo d’ufficio di mancato avveramento della condizione”;

– della “valutazione degli eventuali effetti del pagamento effettuato da Unicredit Leasing a Innovazioni e Progetti per effetto del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Forlì, il rapporto tra le commissioni d’ordine del 14.3.2009 e 26.5.2009, il rapporto del contratto di leasing e il precedente contratto intercorso tra il M. e Innovazione e Progetti”;

– della “applicazione dell’art. 1460 c.c.”, o, comunque, della “valutazione di proporzione, giustificazione e adeguatezza del rifiuto opposto in buona fede dal M.”;

– delle “valutazioni di difformità espresse dal CTU” e della loro rilevanza in ordine alla configurabilità dell’aliud pro alio.

4. La controricorrente resiste con controricorso, illustrandone le ragioni con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. ed instando altresì, una volta richiesta dal pubblico ministero di udienza la declaratoria di improcedibilità per omesso deposito della copia notificata della sentenza gravata, per la distrazione delle spese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio rileva che il ricorso involge due questioni di massima di particolare importanza in materia processuale: una prima, benchè oggetto di consolidata giurisprudenza, probabilmente da sottoporre a verifica alla stregua dei più recenti arresti in tema di requisiti formali del processo di legittimità; una seconda, relativa ad una recente riforma del rito civile ed alla funzione stessa di uno dei suoi gradi di impugnazione, finora variamente interpretata dai giudici del merito e tuttora priva di un’autorevole presa di posizione da parte delle Sezioni Unite di questa Corte:

– se l’improcedibilità comminata dall’art. 369 c.p.c. per il caso di mancato deposito della copia notificata della sentenza gravata di ricorso per cassazione da parte del ricorrente, una volta che della notifica della medesima sia stata data menzione nel ricorso stesso, debba essere pronunciata anche nel caso in cui una copia notificata completa della relata si rinvenga nella produzione del controricorrente o comunque negli atti di causa;

– quale sia l’ambito della nozione di specificità dei motivi di appello, ora prevista a pena di inammissibilità dal testo dell’art. 342 c.p.c. – di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. Oa), conv. con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 154 – (e dell’omologo art. 434 c.p.c. per il rito del lavoro) ed in particolare se essa imponga all’appellante un onere di specificazione di un diverso contenuto della sentenza di primo grado, se non perfino un progetto alternativo di sentenza o di motivazione, o non piuttosto soltanto una compiuta contestazione di bene identificati capi della sentenza impugnata e dei passaggi argomentativi, in fatto o in diritto, che la sorreggono, con la prospettazione chiara ed univoca della diversa decisione che ne conseguirebbe sulla base di bene evidenziate ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice.

2. Quanto alla prima questione, infatti, va rilevato che la ricorrente ha addotto la circostanza che la gravata sentenza le era stata notificata il 27/5/15: ciò che ha attivato, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il suo indefettibile onere di depositare la copia notificata della sentenza, non bastando la mera copia conforme, cioè non notificata, della medesima, nè potendo acquisirsi aliunde la prova della data della notifica, tranne il solo caso della produzione con le formalità e nei termini di cui all’art. 372 c.p.c. (Cass. sez. U. ord. 16/04/2009, n. 9005; giurisprudenza assolutamente consolidata; da ultimo, per tutte: Cass. 27/01/2015, n. 1443; Cass. 28/12/2016, n. 27184), oppure quello in cui, avutasi la notifica del ricorso entro i sessanta giorni dalla medesima pubblicazione della sentenza, il termine è necessariamente rispettato (Cass. 10/07/2013, n. 17066).

3. Però, nel fascicolo della ricorrente vi è solo la copia conforme della sentenza gravata, ma non anche la copia notificata, cioè munita della relata di notifica (resa indispensabile dalla deduzione dell’avvenuta notificazione), secondo quanto è del resto reso evidente dalla descrizione dei documenti contenuta nel ricorso e nella nota di deposito a suo tempo depositati: ciò che quindi dovrebbe comportare sic et simpliciter la declaratoria di improcedibilità del ricorso, visto che la sentenza è stata pubblicata il 20.5.15 e che la notifica del ricorso non si è avuta prima del 24.7.15, sicchè non potrebbe soccorrere la ricorrente – che nemmeno si è avvalsa della facoltà di depositare la copia notificata nelle forme e soprattutto negli ormai spirati termini di cui all’art. 372 c.p.c. – neppure la sola eccezione suddetta di cui a Cass. 17066/2013, dell’intervallo tra pubblicazione della sentenza e notifica del ricorso inferiore al termine breve.

4. E tuttavia la peculiarità della fattispecie sta in ciò: non tanto nel fatto che pure il M., cioè il controricorrente, non contesta la data della notificazione della sentenza e la identifica nel suo controricorso nel 27.5.15 (circostanza che effettivamente non rileverebbe, non potendo rimettersi alla disponibilità delle parti l’osservanza delle norme processuali imposte a pena di procedibilità dei gravami, siccome previste a presidio del conseguimento del giudicato e da ritenersi quindi di ordine pubblico processuale), ma, assai significativamente, nel fatto che è proprio nella sua produzione che si trova una copia notificata della sentenza di secondo grado, dalla quale risulta che la notifica di essa si è avuta, benchè in data 26 e non 27 maggio 2015; pertanto, risulta in modo eclatante e soprattutto inconfutabile la presenza agli atti di causa, benchè non nel fascicolo di parte ricorrente e soltanto in quello del controricorrente, del documento imposto a pena di improcedibilità, consistente nella copia notificata della sentenza impugnata.

5. Ritiene il Collegio che in questa situazione la conclamata giurisprudenza di questa Corte, solennemente affermata con la richiamata pronuncia del 2009 e da quel momento costantemente ribadita, possa essere sottoposta a rimeditazione almeno per il caso in esame, quale questione di massima di particolare importanza, alla stregua dell’acquisita maggiore sensibilità per il principio di effettività della tutela giurisdizionale e quindi per un’interpretazione delle norme processuali che non riduca le formalità ad esasperati ed inutili formalismi, idonei solo a precludere l’accesso ad una decisione nel merito, in violazione di principi di rango costituzionale e di rango sovranazionale (quali quelli desunti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali e soprattutto del suo art. 6).

6. Basti al riguardo un richiamo integrale ai principi sviluppati dalle Sezioni Unite di questa Corte in Cass. Sez. U. 13/12/2016, n. 25513 (punti 2.3.1 e 2.3.2), anticipati, quanto alla validità delle formalità nel giudizio di legittimità, da Cass. ord. 07/12/2016, n. 25074, ma confermati pure da Cass. ord. 23/12/2016, n. 26936; ed alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (alla quale il giudice nazionale deve pur sempre prestare ossequio, nell’interpretare le norme su tali diritti, ogni qual volta non sussistano norme nazionali di tenore espressamente contrario, nel solo quale caso è inevitabile la rimessione degli atti alla Corte costituzionale: da ultimo, v. Corte cost. 26 marzo 2015, n. 49), che può fungere da fondamento per escludere la lesione anche dei parametri costituzionali domestici, può operarsi un utile riferimento anche in questo caso, prendendo a base del ragionamento la sua sentenza 15 settembre 2016, in causa Trevisanato c/ Italia (ormai definitiva dal 15.12.16) su ricorso n. 32610/07; per confermare la validità di ogni formalità dell’accesso al giudizio di legittimità, che non solo non viola l’art. 6 della Convenzione, ma anzi è funzionale alla tutela del ruolo nomofilattico della Corte di legittimità e quindi al conseguimento dei valori fondamentali, benchè non espressamente codificati nella Convenzione, della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia; purchè, però, sia assicurato, per la compresente esigenza di un contemperamento della tutela del diritto del singolo, che ogni soluzione possa superare il consueto vaglio di proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati.

7.- Pertanto, condizione necessaria per la legittimità di ogni requisito formale di limitazione dell’accesso al giudice e soprattutto a quello di impugnazione di legittimità è che l’interpretazione che se ne faccia in concreto non leda la sostanza stessa del diritto del ricorrente ad accedere alla Corte e che non sia viziata da un formalismo eccessivo, i quali comunque devono risultare già preventivamente imposti e conoscibili e chiari, ma non possono comportare uno sforzo ulteriore rispetto alla chiarezza del testo legislativo od alla particolare competenza richiesta al difensore del ricorrente; può allora ribadirsi, in accordo con la giurisprudenza della Corte Europea, che il formalismo nel giudizio di legittimità è autorizzato in generale e nella sua fase introduttiva in particolare, purchè sia superato il consueto vaglio di proporzionalità nel bilanciamento tra esigenza di certezza del diritto (e buona amministrazione della giustizia) e diritto del singolo al giusto processo; ciò che si verifica quando il singolo requisito formale:

a) è funzionale al ruolo nomofilattico della Corte di cassazione;

b) non è interpretato in senso eccessivamente formalistico;

c) è imposto in modo chiaro e prevedibile;

d) non impone un onere eccessivo per chi deve formare il ricorso, tenuto conto della particolare professionalità attesa dal difensore abilitato alla difesa della parte in Cassazione.

8. Ritiene il Collegio che, pur essendo soddisfatti i requisiti sub a), c) e d), difetti il requisito sub b): il requisito procedurale del deposito della copia notificata della sentenza da parte del ricorrente sarebbe cioè interpretato in modo eccessivamente formalistico ove, in draconiana applicazione dei principi di cui alle ordinanze n. 9004 e seguenti del 2009 di questa Corte in tema di improcedibilità, questa debba essere necessariamente comminata quale sanzione per difetto dell’unica parte onerata pure effettivamente inadempiente, cioè il ricorrente, anche quando l’esigenza pubblicistica sottesa – la verifica della tempestività del ricorso in rapporto al decorso del termine breve attivato dal fatto eventuale della notifica della sentenza gravata – sia peraltro soddisfatta in base alla documentazione in modo conclamato presente già agli atti del fascicolo di ufficio, ivi compreso quello della controparte, pur mancando in quello della detta unica parte onerata.

9. Tale interpretazione della sanzione di improcedibilità può definirsi manifestamente sproporzionata rispetto al fine perseguito dalla norma e contraria quindi ai principi del giusto processo di matrice costituzionale e convenzionale, tanto da auspicarsi, se del caso quale nuova interpretazione costituzionalmente e “convenzionalmente” orientata, una rimeditazione espressa della relativa conclusione in vista di una possibile esenzione esplicita dalla sanzione di improcedibilità nel caso disegnato; o, a tutto concedere, la relativa questione dovrebbe poter meritare, secondo il Collegio ed essendo preclusi la disapplicazione o il superamento del tassativo dictum delle richiamate ordinanze delle Sezioni Unite ad opera della sezione semplice in virtù del disposto dell’art. 374 c.p.c., di essere quanto meno valutata come questione di massima di particolare importanza.

10. Ove tale questione potesse, in base al qui auspicato intervento interpretativo delle Sezioni Unite e limitativo del precedente orientamento, risolversi in senso favorevole alla ricorrente, con esclusione quindi dell’applicazione della altrimenti doverosa sanzione dell’improcedibilità (ovvero anche in caso contrario, per l’evenienza che le Sezioni Unite ritengano di pronunziare il principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363 c.p.c. pure in caso di pronunzia di improcedibilità: fattispecie non espressamente prevista, ma certo assimilabile per identità di ratio a quella sola codificata dell’inammissibilità ed essendo quest’ultima stata già interpretata come non tassativa da Cass. Sez. U. ord. 06/09/2010, n. 19051), sarebbe poi da scrutinare l’unitario motivo di ricorso per cassazione: il quale peraltro investe una problematica processuale che integra a sua volta, ad avviso del Collegio, una questione di massima di particolare importanza.

11. Si tratta, invero, dell’esatta interpretazione da attribuire ad un rilevante profilo della recente riforma del giudizio di appello (introdotta con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) ed in particolare alla nozione di specificità dei motivi, richiesta ora a pena di inammissibilità del gravame dal vigente testo degli artt. 342 – per il rito ordinario – e – per il rito del lavoro – art. 434 cod. proc. civ., applicabile (ai sensi del capoverso dello stesso art. 54 del D.L. cit.) a tutti gli appelli proposti successivamente al giorno 11.9.12; visto che entrambe le norme esigono che la motivazione dell’appello contenga, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

12. Ora, l’ambito da attribuire alla norma processuale appena richiamata è determinante ai fini della definizione del ricorso, visto che la corte territoriale ha escluso non già la fondatezza, ma appunto proprio la specificità delle contestazioni dell’appellante ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ. novellato; e tenuto conto che allora va verificata ognuna delle doglianze qualificate inammissibili dalla corte di merito, le quali (potendosi accedere direttamente agli atti per la natura della doglianza del ricorrente: Cass. 28/11/2014, n. 25308; in generale, per il caso degli errores in procedendo, v., da ultimo e dopo Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077: Cass. 30/07/2015, n. 16164, ovvero Cass. 21/04/2016, n. 8069): sulla prima delle questioni riassunte al punto 3 dei fatti di causa, potevano ritenersi perfino non necessarie, per non essere la relativa questione controversa; sulle questioni centrali sopra riassunte, si sono avute mediante riferimento preponderante alla teoria generale della locazione finanziaria, se non altro quanto alla ricostruzione del contratto da parte del primo giudice in ordine ad una delle condizioni generali; quanto alle clausole 3 e 5 (il cui tenore testuale finalmente viene indicato, sia pure solo a pag. 18 del ricorso), si sono articolate sulla negazione della validità della ricostruzione del primo giudice in punto di incondizionata facoltà dell’utilizzatore di rifiutare la consegna, sostenendo l’equipollenza alla presa in consegna del bene da parte dell’utilizzatore del pagamento in corso di giudizio ed a seguito di ordine di pagamento; infine, sulla configurabilità di un aliud pro alio, si sono articolate con la richiesta di una complessiva rivalutazione del fatto.

13. L’interpretazione della norma in esame non è stata finora costante da parte di questa Corte: la quale, interpretando l’art. 434 c.p.c. ma con argomenti applicabili senz’altro pure all’altra norma, ha infatti, da un lato (Cass. 05/02/2015, n. 2143) escluso che il nuovo testo normativo richieda che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone al ricorrente in appello di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, sì da esplicitare l’idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata; dall’altro lato (Cass. 07/09/2016, n. 17712), ha però richiesto all’appellante un grado di specificità ben più accentuato rispetto al passato, imponendo la norma novellata un ben preciso ed articolato onere processuale, compendiabile nella necessità che l’atto di gravame, per sottrarsi alla sanzione di inammissibilità, offra una ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal primo giudice.

14. Ancora, si è ritenuto (Cass. 27/09/2016, n. 18392) che la specificità disegnata dal nuovo art. 342 c.p.c. esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono: sicchè, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata.

15. Nel caso poi dell’impugnazione complessiva della sentenza di primo grado, talvolta si è ritenuto possibile, con un vaglio complessivo dell’atto di gravame, isolare motivi di appello non generici da quelli generici e scrutinare almeno i primi (Cass. 07/10/2015, n. 20124), ma si è sempre richiesto (Cass. 27/10/2014, n. 22781) che alle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado vengano contrapposte quelle dell’appellante volte ad incrinarne il fondamento logico-giuridico, poichè la parte volitiva dell’appello deve accompagnarsi ad una componente argomentativa diretta a confutare e contrastare le ragioni addotte dal primo giudice.

16. La giurisprudenza di merito e la dottrina, dal canto loro, hanno assunto posizioni assai più differenziate, partendo da un’interpretazione sostanzialmente riduttiva (in base alla quale nulla di realmente diverso si ha rispetto al passato in ordine alla struttura stessa dell’atto di proposizione dell’appello, il cui contenuto minimo sarebbe solo più idoneamente descritto, rilevando la novella soprattutto quanto alla sanzione, che è ora appunto di inammissibilità – e quindi radicalmente insanabile – e non più di nullità) per spingersi fino a configurare la necessità di strutturare l’atto di appello come un vero e proprio progetto alternativo di sentenza, con tanto di motivazione reputata corretta, o, comunque, a disegnare in capo all’appellante oneri di forma di varia ampiezza e portata, soprattutto di variamente maggiore rigore rispetto alla previgente normativa.

17. La questione pare al Collegio di estrema rilevanza, soprattutto in un contesto ordinamentale che ha finito con l’attribuire al grado di appello, tuttora privo di usbergo costituzionale, un ruolo cruciale per l’effettività della tutela dei diritti soprattutto quanto al giudizio di fatto, vista la severa limitazione del controllo sulla relativa motivazione introdotta dalla novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (su cui, per tutte, vedi le fondamentali Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054), ma lo ha al contempo reso di assai più complessa struttura processuale, introducendo requisiti di ammissibilità molto stringenti ed offrendo strumenti di definizione accelerati (che peraltro hanno suscitato più di un dubbio applicativo, solo in parte risolto di recente, quanto all’art. 348-bis c.p.c., da Cass. Sez. U. 02/02/2016, n. 1914), di sostanziale e significativa limitazione del suo ordinario ambito di estrinsecazione (peraltro conforme ai canoni costituzionali e sovranazionali: Cass. 11/12/2014, n. 26097; Cass. ord. 23/12/2016, n. 26936).

18. Tanto avviene, oltretutto, in un contesto in cui la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte in punto di riparto dell’onere della prova in quel grado di giudizio (soprattutto a partire da Cass. Sez. U. 23/12/2005, n. 28498; ma v. pure, più di recente, Cass. Sez. U. 08/02/2013, n. 3033), riaffermando la natura dell’appello come revisio prioris instantiae, ha offerto il destro per un’interpretazione non infrequente, da parte della giurisprudenza di merito (diffusamente, v. Cass. 11/04/2016, n. 6978), che ha finito con qualificare quel mezzo di gravame come avente ad oggetto la sentenza di primo grado sic et simpliciter, tanto da (sia pure erroneamente) esigere, per il suo atto introduttivo, veri e propri requisiti di forma non previsti dalla norma, tipici invece di mezzi di impugnazione a critica vincolata come il ricorso per cassazione.

19. Poichè però i requisiti di forma – e quindi anche quelli previsti a pena di inammissibilità dal novellato art. 342 (o dal novellato art. 434) cod. proc. civ. – devono rispondere, per superare il vaglio di costituzionalità e di proporzionalità convenzionale di cui si è già detto più sopra (punto 7 delle ragioni della decisione) quanto alla sanzione di improcedibilità, a ben precise condizioni, pare al Collegio assai opportuno, per le ricadute della questione sulla struttura stessa del grado di appello e quindi sull’ambito di effettività della tutela del diritto nel dispiegamento dei successivi gradi di giudizio, investire di quella le Sezioni Unite, affinchè definiscano con chiarezza i contorni dei due requisiti di specificità ora analiticamente descritti dagli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., ovvero anche solo, in particolare, dicano se, a quel fine, sia richiesto all’appellante di formulare l’appello con una determinata forma o di ricalcare la gravata decisione ma con un diverso contenuto, ovvero se sia sufficiente – ma almeno necessaria un’analitica individuazione, in modo chiaro ed esauriente, del quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonchè ai passaggi argomentativi in punto di fatto o di diritto che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, in modo da rendere chiara – in modo esplicito o almeno chiaramente evincibile – l’idoneità di tali ragioni a determinare le singole invocate modifiche della decisione censurata.

20. Stima quindi il Collegio che ricorrano le condizioni per rimettere gli atti al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, seconda ipotesi, sulle questioni suddette, riassunte al punto 1 delle ragioni della decisione.

PQM

La Corte rimette gli atti al Primo Presidente, affinchè valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite sulle questioni di massima di particolare importanza indicate in motivazione.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2017

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