Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 8843 del 31/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 31/03/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 31/03/2021), n.8843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCRIMA Antonietta – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17384-2019 proposto da:

T.L., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DOMENICO CHELINI 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO

TORTORELLA, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, (OMISSIS), in persona del

Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, MINISTERO DELLA

SALUTE, (OMISSIS), MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE,

(OMISSIS), MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA

RICERCA, (OMISSIS), in persona dei rispettivi Ministri pro tempore,

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7748/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO

PORRECA.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

R.M.T., unitamente ad altri medici, nel 2015 (come riferisce la sentenza qui impugnata) conveniva in giudizio la Presidenza del consiglio dei Ministri, e i Ministeri dell’istruzione, della salute, e dell’economia, esponendo di aver conseguito, dopo la laurea, specializzazioni riconosciute dall’acquis communautaire”, senza vedersi riconosciuta, in particolare, la correlativa giusta remunerazione, quale prevista dalla Dir. n. 75/362, dalla Dir. n. 75/363, dalla Dir. n. 76/82, in subordine a titolo risarcitorio o di ingiustificato arricchimento, con rivalutazione e interessi;

il Tribunale, per quanto ancora qui rileva, rigettava le domande per intervenuta prescrizione, con pronuncia confermata dalla Corte di appello, secondo cui la prescrizione in parola era decorsa dal tempo di consolidamento dell’inadempimento statale, reso manifesto dall’atto di adempimento parziale in cui si era concretata l’entrata in vigore della L. n. 370 del 1999;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione gli originari attori, articolando un motivo;

resistono con controricorso le amministrazioni intimate.

Diritto

RILEVATO

che:

con l’unico motivo si prospetta la violazione del trattato CEE artt. 5 e 189, dell’art. 10 Cost., dell’art. 19TUE, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali, art. 47, della Dir. n. 82/76, della Dir. n. 75/363, della Dir. n. 93/16, degli artt. 1, 10, 11, 12 preleggi, degli artt. 2934,2935,2938 c.c., del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, della L. n. 370 del 1999, art. 11, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la prescrizione non avrebbe potuto farsi decorrere se non da quando sarebbero state elise le incertezze giurisprudenziali di settore, ovvero, quanto meno, nel 2005 sulla giurisdizione, nel 2009 sull’azione esperibile e la stessa sua prescrizione, nel 2011 sulla legittimazione passiva unica dello Stato, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria, se del caso da investire con rinvio pregiudiziale, attesa la necessità di assicurare la piena ed effettiva attuazione della normativa sovranazionale;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Rilevato che:

il ricorso è inammissibile a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1;

come noto la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della Dir. n. 82/76/CEE, riassuntiva della Dir. n. 75/362/CEE e della Dir. n. 75/363/CEE, insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati, dopo l’applicabilità del regime Eurounitario ed entro l’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente, per quanto osservato dalla Corte territoriale, dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, laddove, al contempo, in riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43 – secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c., e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato – trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a quanto verificatosi successivamente alla sua entrata in vigore, ossia al 1 gennaio 2012 (Cass., 09/02/2012, n. 1917, che riprende Cass., nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, la prima delle quali evocata in ricorso, ed è confermata da innumerevoli successivi arresti, come, ad esempio, Cass., 19/07/2019, n. 16452 e Cass., 24/01/2020, n. 1589);

la difesa ricorrente sostiene che il “leading case” del 2011 aveva preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte ha escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, dall’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa, a quella dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana, e della stessa prescrizione, a quella del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno;

gli argomenti sono del tutto infondati e inidonei a indurre un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata e, infatti, per un verso confermata in tempi ben susseguenti al 2011, per altro verso tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione allora effettuato secondo quanto obiettato dal patrocinio oggi ricorrente;

è appena il caso di osservare che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale;

per lo stesso motivo non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa;

quanto alla legittimazione passiva, premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale, qui in ogni caso contestuale alla prima, non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi della L. n. 260 del 1958, art. 4 (Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649), sicchè solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass., 25/07/2019, n. 20099), nella fattispecie non emerge neppure un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o altri soggetti, fermo restando che dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria;

è opportuno ribadire, quanto alla remunerazione, che a seguito dell’intervento con il quale il legislatore – dettando la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – ha effettuato una “aestimatio” del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito – ferma, pure in chiave CEDU, la non irrisorietà della quantificazione nazionale – anche dalla pronuncia, evocata in ricorso, della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16 (Cass., 24/01/2020, n. 1641, cui si rimanda per una più ampia ricostruzione giurisprudenziale);

quanto sopra è in linea con ciò che si deve dire per la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, applicabile, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè, in particolare, la Dir. n. 93/16, rispetto alla quale quella Dir. n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio (Cass., 14/03/2018, n. 6355, e le moltissime successive conformi, quale, solo a titolo esemplificativo, Cass., 24/05/2019, n. 14168);

ciò ad intendere che non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione;

come desumibile dai rilievi appena fatti, non vi è alcuna incertezza, sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale cui il patrocinio dei ricorrenti allude;

ne discende l’inammissibilità del ricorso;

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese processuali delle amministrazioni controricorrenti, in solidarietà attiva, liquidate in Euro 3.200,00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2021

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